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Chianocco, Cannucium di antica origine, si trova a sinistra della Dora Riparia, bagnato dal torrente Prebec. La cava di marmo è ai piedi della Gran’Uja, in regione Sant’Ippolito, nella zona del vecchio cimitero, tra l’abitato e la strada antica di fondovalle.
La roccia che si estende alle spalle del paese è di calcare dolomitico, con intercalazioni di micascisti e calcescisti: la stessa di Foresto. Se l’origine è comune variano però i minerali accessori che conferiscono, a volte, colorazioni diverse che vanno dal bianco al grigio chiaro, talora listato.
Quello di Chianocco è bianco avorio, tendente a sfumature ocracee, ed è cavato in pezzature di dimensioni ragguardevoli: lo spessore raggiunge i 10-12 metri. Questo ne permette un largo impiego per fusti di colonne o elementi architettonici di grandi dimensioni.
Le zone di escavazione dei due marmi giacciono alla medesima altezza e sullo stesso versante della valle, a 3 km l’una dall’altra: per questo si trovano spesso citati come marmo di Foresto o Chianocco.
Forniscono uno dei materiali più usati nei secoli XVII-XVIII: gli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte, Guarino Guarini e Filippo Juvarra sovente lo adottano nei loro cantieri.
In epoca romana è sicuramente utilizzato per il fregio delle Porte Palatine a Torino, ma alcuni reperti architettonici sparsi fanno pensare che, nell’area, almeno un altro monumento, forse il teatro, abbia una facciata rivestita in questo materiale.
Nel medioevo l’uso è locale: la casaforte e il castello del paese, il portale della chiesa del Convento di San Francesco e la cattedrale di Susa ne sono degli esempi.
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Porte Palatine (Franca Nemo).
Casaforte di Chianocco (Claudio Rosa).
Il portale di San Francesco a Susa (Claudio Rosa).
I primi documenti conosciuti relativi alla cava riguardano la fabbrica del Duomo di Torino, San Giovanni Battista, voluto dai Savoia e dal Vescovo Domenico della Rovere e affidata all’architetto ed ingegnere Amedeo de Francisco da Settignano detto Meo del Caprino.
Nel 1493 si ricercano siti alternativi a Foresto e si acquista un appezzamento di prato a Chianocco: il 2 Settembre si iniziano a cavare i marmi per i pilastri, le murature interne e la facciata. Per il trasporto a Bussoleno, sulle sponde della Dora, si usano degli slittini: qui, in primavera, parte una chiatta trainata da due cavalli e quattro uomini. Ad Alpignano vengono scaricati e portati a Torino via terra. Il trasporto dura 3 giorni.
Il Duomo di Torino
La scalinata di Palazzo Reale (Franca Nemo).
Nel 1500 l’attività estrattiva è probabilmente e nuovamente limitata a cantieri locali, ma il 4 ottobre 1607 il piccapietra, scalpellino, Luigi Vanello, fornisce 95 colonne per Piazza Castello.
Nel 1646 i marmi impreziosiscono la decorazione dell’atrio e lo scalone di Palazzo "Nuovo" (Palazzo Reale): la scalinata sarà ultimata nel 1661 con una balaustra in marmi di Venasca e ancora di Chianocco.
I Vanello, piccapietre ma anche scultori, nel 1648 sottopongono la pietra all'architetto Andrea Costaguta: vogliono servirsene per le colonne del loggiato di Villa della Regina da lui disegnata. La sua risposta è negativa, e Benedetto Nicolis Conte di Robillant, mineralogista e anche Ispettore delle miniere, nel suo Essai Geographique del 1784-85 lo ribadirà: i porticati seicenteschi realizzati con quel materiale hanno presentato già cedimenti e lesioni nei basamenti, nelle colonne e negli architravi, rendendo necessari interventi di restauro.
Carlo Cognengo, Conte di Castellamonte, nel 1620 lo ha infatti utilizzato nelle 88 colonne binate e relativi architravi degli ariosi portici di Piazza San Carlo: nel 1637, riprogettando la piazza, nota dei cedimenti e vi pone rimedio. Nel 1764 saranno già tutte inglobate in più solidi pilastri per garantire la stabilità degli edifici sovrastanti.
La struttura cristallina della roccia è dunque facilmente alterabile nel tempo. Causa di tutto, forse, errori nell’estrazione: troppo superficiale, senza mai toccare filoni meno esposti alle intemperie e presumibilmente più resistenti.
Il marmo di Chianocco, tuttavia, continua ad essere usato per tutto il 1600 ed oltre, tanto che a metà 1700 lo si considera “pregevolissimo” e “bianchissimo”: la facile escavazione, la poca distanza da Torino e la Dora sfruttabile per il trasporto ne determinano il successo nell’architettura barocca torinese.
Il Castellamonte ne fa largo impiego nel cantiere del Castello di Rivoli, affiancato al marmo di Foresto, per le bugne, le pietre sbozzate e sporgenti dal muro a scopo ornamentale o di rivestimento, impiegate nella torre.
Nel secolo successivo, il 20 ottobre 1712, è Michelangelo Garove, nella sua Lista dei marmi e delle pietre, a ordinarne l’uso per “ornamento di nicchie”, per pilastri “che dal piano terra devono portare le quattro colonne della Scala della facciata esteriore bugnati” e per “diverse bugne” da farsi sia sugli angoli del padiglione della Scala, sia per la facciata “avanti l’atrio suddetto”.
Nel 1718, in previsione dell’ampliamento della fabbrica verso ovest, Filippo Juvarra continua a farne lavorare ingenti quantitativi ancora per le bugne, per i cornicioni, i modiglioni e i fregi di alcune finestre, mentre gli scalini dello scalone di levante, previsti dall’architetto nello stesso materiale, saranno realizzati, nel 1726, dal collega Tommaso Prunotto in legno.
Guarino Guarini se ne serve, nel 1668, nei pilastri e negli zoccoli della Cappella della Sacra Sindone e nel 1679 lo indica nel progetto di Palazzo Carignano per i portali, i 16 piedistalli per le grandi colonne dell’atrio ellittico e la porta del Gabinetto.
Castello di Rivoli (Claudio Rosa).
Palazzo Carignano (Franca Nemo).
Amedeo di Castellamonte, nel progetto del 1675, lo prevede per le colonne del Palazzo dell’Accademia Militare. I capi mastri vincitori della gara di appalto: Busso, Ramello, Ferretto e Casella, tutti originari dei territori di Milano e Lugano, il 18 marzo sottoscrivono il contratto per l’appalto dei lavori, conservato presso l’Archivio di Stato di Torino: questo documento, insieme ad altri lì presenti, permette di ricostruire la storia della cava.
In esso si assumono l’onere di curare l’estrazione e il trasporto delle pietre dalla cava fino all’area di costruzione. Qui le riducono alle misure e al disegno prescritto.
Nello stesso anno è impiegato nell’erezione di palazzo Dal Pozzo La Cisterna, su progetto dei fratelli Maurizio e Andrea Valperga commissionato dal Conte Flaminio Ripa di Giaglione e, a partire dal 1685, nei suoi grandiosi restauri. Sempre nel 1675 Maurizio lo indica per una Porta di Vercelli, quella verso Milano.
Nel 1679 Amedeo di Castellamonte vi realizza i due Delfini della fontana di Ercole nella reggia di Venaria Reale.
Carlo Busso nel 1681 se ne serve per le colonne delle gallerie dell’Ospedale San Giovanni. In quegli anni e nel secolo successivo è inoltre impiegato nei vari cantieri aperti nel Castello di Moncalieri.
Lo Juvarra lo impiega sicuramente in quattro fabbriche torinesi: la facciata della Chiesa di S. Cristina, edificata fra il 1715-18, il Palazzo Birago di Borgaro, poi Della Valle, in Via Carlo Alberto, eretto a partire dal 1716, nel basamento della facciata di Palazzo Madama da lui disegnata fra il 1716-18 e poi restaurata con altro materiale e, nel 1720, per la scala delle Forbici a Palazzo Reale.
Santa Cristina (Franca Nemo).
Palazzo Birago Franca Nemo).
Certosa di Collegno (Claudio Rosa).
I capimastri Francesco e Carlo Busso e Giacomo Lucino realizzano il Chiostro Maggiore della Certosa di Collegno, il lato settentrionale fra il 1719-20 e quello meridionale fra il 1720-25: le 112 colonne sono in pietra di Chianocco.
Il marmo è ancora impiegato nel portone di via Alfieri del Palazzo Perrone di San Martino, costruito nel 1757, sede dell’Ambasciata di Francia fino all’Unità d’Italia e oggi della Fondazione CRT.
La cava gode ancora di una certa notorietà sul finire del 1700, ma a poco a poco cade completamente nell’oblio a favore di quella appena scoperta a Pont Canavese.
Per tutto il 1800 si estrae solo pietra da calce: Goffredo Casalis nel 1833, nel Dizionario geografico, storico, statistico commerciale scrive di “una cava di marmo bianco il quale è tenuto di pochissimo pregio”. Oggi è stata ripulita per lasciare il posto alle abitazioni.
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