Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
L'arte casearia ha una tradizione plurimillenaria: già 25mila anni fa in Piemonte erano diffuse la razza bovina piemontese ed una razza di vacche alpine, più piccole ma che producevano molto latte. Queste mucche si chiamavano “Ceva” ed erano state portate in Piemonte probabilmente dai Celti. Già Plinio nei suoi scritti riportava la parola Ceva, dal quale ha preso il nome non solo l'omonima cittadina piemontese, ma anche il nome latino dei formaggi, che i romani chiamavano Caseum.
Tra storia e leggenda invece è la tradizione, viva ancora oggi, che vuole che Annibale, attraversando le Alpi con i suoi elefanti il 23 settembre del 218 a.C. diretto a Torino per conquistarla, abbia scoperto in Val di Susa le tome locali, e che i suoi soldati ne furono talmente conquistati che molti di loro decisero di restare in Piemonte, creando una nuova stirpe nata dall'incrocio tra i Cartaginesi e le donne valsusine.
Che sia leggenda o storia una canzone popolare racconta che Annibale calà dal Moninever coi soldà pien d'aptìt, diret a Roma, a l'à 'ncrosià la rasa...per 'na toma (sceso da Monginevro con i soldati affamati, diretto a Roma, ha “incrociato la razza” per colpa delle tome).
Non solo tome comunque, se nel 1477 Pantaleone da Confienza (città della Lomellina che faceva parte della provincia sabauda di Vercelli), professore alle Università di Vercelli, Pavia e Torino, ricercò e studiò i formaggi dei suoi tempi, e, primo in questo campo e non soltanto in Italia, raccolse i suoi studi in una poderosa opera dal titolo “la Summa lacticiniorum completa omnibus idonei”.
Tome d'alpeggio (Azienda Agricola Giovale Manuel).
Una monografia contenuta in questo studio, intitolata appunto De caseis, è dedicato proprio al latte e ai formaggi: quattordici capitoli dedicati ai caci Vallis Augustae (Valle d'Aosta), Vallis Lancii (valli di Lanzo), Vallis Secusiae (Val di Susa), ecc... In questo trattato, al capitolo 7, De caseo Vallix Secuxie et Motiscinixii (il formaggio della Valle di Susa e del Moncenisio), si legge: “la Valle di Susa è fertile in grano, vino, frutta e in bestiame e di conseguenza in formaggio. La produzione di formaggi è scarsa nella pianura, ma abbondante sui monti, in particolare sul Moncenisio, dove vi è una tale estensione di pascoli che anche da località assai lontane conducono qui a pascolare il bestiame durante l'estate, sia per l'abbondanza dei pascoli sia per la bontà delle erbe”.
Pantaleone attribuisce la bontà dei formaggi della Val di Susa proprio al fatto che il bestiame viene portato in alpeggio da maggio a settembre. In questi alpeggi i pascoli sono ben ventilati e l'erba di buona qualità, così che il latte, prodotto in abbondanza, risulta particolarmente gustoso.
Riporta Pantaleone che l'erbaggio dei pascoli montani sia così buono, che il bestiame non ha bisogno di sale aggiunto alla normale alimentazione, mentre in pianura questa risulta una pratica molto diffusa per sopperire appunto alla scarsa qualità del foraggio. Addirittura Pantaleone ritiene che anche la pratica di offrire alla chiesa i formaggi prodotti nei giorni festivi giovi alla salute del bestiame!
Tome in stagionatura a Cascina Ranverso.
Anche alla fine dell'800 si torna a parlare di formaggio della Val di Susa; in un manuale datato 1884 e intitolato “Monografia agraria illustrata della Valle di Susa” si legge infatti: “l'industria casearia nel nostro circondario è maggiormente sviluppata sopra le alpi dell'altipiano del Moncenisio ricche di pascoli. Tutto il restante del territorio nostro è dotato anche di discrete montagne ove la produzione non è da disprezzare. I prodotti caseari che si ottengono sono le grivere, le fontine, formaggi bleu detti moriannesi o moriennenghi, i formaggi bianchi o tome ed i formaggi scadenti detti Sairas”.
Occorre precisare che qui, l'aggettivo “scadente” riferito al seirass sta ad indicare il fatto che questo veniva prodotto con il residuo della lavorazione del formaggio, con il metodo utilizzato per produrre la ricotta, alla quale assomiglia. Il nome di questo formaggio, tradisce la sua origine antica: seraceum è infatti come i romani lo definivano e un tempo veniva prodotto sopratutto a partire dal latte di pecora.
Il Seirass
Oggi per produrre il Seirass non si parte più dal siero, ma dal latte intero di mucca, con una lavorazione che unisce le tecnologie del formaggio a quelle della ricotta. Ne risulta un prodotto che non solo è formato dalle sieroproteine (come nella ricotta da siero) ma anche da una parte delle caseine, oltre al grasso, che il latte contiene in maggior quantità del siero.
Anzitutto si scalda il latte, abbastanza rapidamente e mantenendolo in agitazione. Alla temperatura di circa 20 gradi si procede all'aggiunta di sale da cucina, raggiunti i 35 °C si aggiunge il caglio, poi si scalda ulteriormente sino a 80 °C.
Al raggiungimento di tale temperatura, inizieranno a formarsi in superficie i fiocchi di ricotta, formando una strato superficiale abbastanza spesso. Si interrompe quindi il calore e l'agitazione, si lascia affiorare per alcuni minuti e si procede all'estrazione del Seirass, sgocciolandolo parzialmente prima di deporlo su un tavolo spersoio in inox, dove deve ancora perdere un poco di siero, ma senza diventare particolarmente asciutto.
Passate circa 8-12 ore si procede al trasferimento della massa all'interno di un contenitore dove viene sbattuta con un frustino da cucina per rendere l'insieme fine e vellutato. Terminata la sbattitura si pone la massa all'interno degli appositi sacchetti a forma di cono, tradizionalmente in lino fine, oggi in nylon alimentare a trama fine.
Si appendono o si appoggiano i coni così preparati ancora in un contenitore per permettere un ulteriore sgrondo del siero in eccesso, ma senza farli spurgare troppo. In altre zone del Piemonte questo formaggio è messo a scolare in cestini di giungo, e allora prende il nome di “gioncà”.
Il "Seirass del fen" (maturato nel fieno) proposto dalla "Table dlouz Amis".
Il risultato è un formaggio a pasta bianca, umida, morbida, di tessitura finissima che si scioglie in bocca; il sapore è dolce di latte, delicato, molto gradevole e vellutato al palato, il gusto si distacca molto dalla classica ricotta per morbidezza e dolcezza.
Il Seirass si consuma fresco, così com'è, oppure si può utilizzare per il ripieno di ravioli di magro, come ingrediente per torte salate oppure come dessert abbinato a miele o confetture di frutta. Con il Seirass si preparano anche dei morbidissimi gnocchi, leggeri e delicati, richiedono un condimento semplice, come un buon burro d'alpeggio fatto spumeggiare insieme ad alcune foglie di salvia, anche questa rigorosamente di montagna!
Qualche parola va spesa anche per altre specialità locali, parliamo di tomini, preparati con latte intero vaccino, morbidi e poco stagionati, che si servono da soli o conditi con olio, peperoncino, pepe o con il tipico bagnet vert.
Nella zona dell'Orsiera-Rocciavrè (che comprende i comuni di Bussoleno, Chianocco, Coazze, Fenestrelle, Mattie, Meana di Susa, Roure, San Giorio di Susa, Susa, Usseaux e Villar Focchiardo) e in Val Sangone si produce il cëvrin, come già il nome suggerisce preparato con latte di capra e dal sapore caratteristico.
Tome (Azienda Agricola Cibrario).
Più raro e di probabili origini francesi il murianengh (il nome richiama infatti la vicina regione della Maurienne), stagionato negli alti pascoli del Moncenisio e della Novalesa, a pasta dura e erborinata. Nella stessa zona si produce anche il reblochon: meno raro del precedente ha in comune con il murianengh le origini d'oltralpe. In francese antico infatti reblocher significa “mungere una seconda volta” e si riferisce all'usanza dei pastori che, dovendo consegnare giornalmente il latte ai proprietari delle mandrie, dopo la collecte du regisseur, cioè la visita dell'incaricato della raccolta, mungevano clandestinamente una seconda volta.
Con il poco latte raccolto, ottenuto in modo illecito e molto grasso, i marghè producevano piccole tome tonde, a pasta pressata e a latte crudo, che dopo qualche mese di stagionatura si coprivano di una crosta gialla, rosata o arancio, dalla consistenza cremosa e dal sapore dolce, con sentori di nocciola.
Anche oggi ogni cascina, ogni alpeggio produce una sua “toma”, più o meno grassa, fresca o stagionata con la quale concludere un pranzo, come portata principale di una cena o per una merenda sinoira consumata in un pomeriggio d'estate.
La ricetta: Gnòch ëd Seirass
Ingredienti:
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500 g di seirass
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100 g di farina (più un po' per la spianatoia)
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1 uovo
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un pizzico di pepe
In una ciotola mescolate il seirass, la farina e l'uovo lavorando inizialmente con un cucchiaio. Una volta amalgamati gli ingredienti trasferite il composto sulla spianatoia ben infarinata e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto compatto, ma morbido. Coprite l'impasto con la stessa ciotola capovolta e lasciatelo riposare per una ventina di minuti.
Nel frattempo portate ad ebollizione una pentola capiente con abbondante acqua salata. Procedete quindi a preparare gli gnocchi nel modo classico: formate con le mani dei filoncini grossi come un dito e ritagliate dei tocchetti. Infarinate sempre bene il piano di lavoro per evitare che l'impasto si attacchi, in quanto è particolarmente morbido.
Una volta pronti tutti gli gnocchi di seirass tuffateli poco per volta nell'acqua bollente e scolateli con una schiumarola una volta che arrivano a galla. Metteteli nei piatti individuali e irrorateli con il burro fuso, senza mescolare per non rompere i delicati gnocchi.
Altre ricette di Rosa Del Gaudio sul blog Il Folletto Panettiere