Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Sulla cima del Pirchiriano, a 962 m, sorge la Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte. Il dislivello sul fondovalle è di 602 m, con una pendenza fino al 93%: il monte, quasi isolato dal versante destro della Valsusa, e il fatto che è visibile, grazie alla mancanza di ostacoli orografici, dalla basilica torinese di Superga al Massiccio d’Ambin sulle Alpi, ne accentua il senso di verticalità rendendola un gioiello medievale di inestimabile valore artistico e paesaggistico.
La facciata raggiunge l’altezza di 41 m avvolgendo e prolungando verso il cielo la cima della montagna che è effettivamente inglobata, per 15 cm, all’interno del complesso architettonico: costituisce il basamento del primo pilastro a sinistra della navata centrale della chiesa. Il poeta e sacerdote rosminiano Clemente Rebora lo ha indicato con la frase “Culmine vertiginosamente santo”.
L’Abbazia è eretta intorno all’anno 1000, utilizzando pietre presenti sul luogo o nel territorio circostante. La loro storia fornisce un’interessante testimonianza dell’evoluzione delle montagne e della “Tettonica delle placche”, e ci riporta a 150-200 milioni di anni fa. L’Oceano Ligure-Piemontese divide due continenti, l’antica Africa e l’antica Europa: le Alpi non sono ancora nate. Per i movimenti del mantello magmatico, le placche lentamente si avvicinano e, a partire da circa 80 milioni di anni fa, dal loro scontro si solleva la catena Alpina che conserva nelle rocce tracce di esse e dell’oceano scomparso.
Oggi i colori delle mura e delle sculture del corpo abbaziale riflettono la varietà delle rocce, molte delle quali di origine marina e piuttosto rare da vedere in tutto l’arco alpino. Il grigio-ferrigno alla base, a partire dall’ingresso, in cima alle scalinate esterne e il verde alla sommità, all’altezza della chiesa, sono le tinte che rappresentano le due rocce più utilizzate: calcescisti e prasiniti.
Generazioni di scalpellini hanno lasciato sulla pietra il segno del loro itinerare da una fabbrica all’altra, tra tecniche di taglio ed attrezzi diversi, e della loro arte, simbologie desunte dalle Sacre Scritture, dai codici miniati e dai bestiari medioevali riportati su capitelli e portali, che hanno dato forma e sostanza all’Abbazia.
Un'idea del cantiere medioevale aperto alla Sacra ce la danno i codici miniati come quelli di Hrabanus Maurus, Rabano Mauro, erudito carolingio, monaco benedettino, abate di Fulda, Vescovo di Magonza e autore dell’ampia enciclopedia De Rerum Naturis, nota anche con il titolo De universo, composta in 22 libri tra l'842 e l’846.
Un affaccendarsi di gente di diversa provenienza, ognuna con mansioni differenti.
Falegnami che ereggono ponteggi e centine, muratori che innalzano muri, manovali che trasportano pietrisco e malta e fanno ruotare gli argani e la gabbia dello scoiattolo per sollevare i grandi blocchi di pietra che, ai piedi della costruzione, sono tagliati in forma parallelepipeda. Per il calcescisto si usa l’ascia o uno scalpello a punta, la subbia, mentre per la prasinite, più compatta e meno stratificata, si ricorre all'ascia dentata, il cui filo tagliente è formato da punte triangolari: colpendo la superficie formano una puntinatura di grande effetto.
La loggia dei Viretti.
Il numero dei denti e l’abilità degli artigiani hanno permesso di modellare in modo preciso anche le modanature dei portali, le colonne e le esili colonne che formano la Loggia dei Viretti, fra i migliori esempi di quelle romaniche.
Mentre gli scalpellini riquadrano e sagomano, gli apprendisti li riforniscono degli attrezzi appena forgiati dal fabbro o “tirano” la malta in grandi vasche.
Le capacità tecniche sono diverse. Gli scalpellini, con qualifiche superiori, rifiniscono i singoli pezzi: misurano con la squadra e lavorano forme anche complesse, ricavate tramite sagome in legno chiamate modine, i modani, riproducenti in grandezza naturale il profilo delle modanature. Il popolo dei costruttori si eleva quindi gerarchicamente con gli ornatisti, poi con l'Imagier, lo scultore d'immagini.
A partire dal secolo XI il lavoro dello scultore diviene il completamento artistico di quello del tagliapietre, con i vari Caput Magister, Maestri di Corporazione, delle diverse Taglie di mestiere.
In cima alla piramide il Maestro d'Opera, detentore dei progetti e dello scibile conoscitivo per attuarli: è a capo dei vari Maestri e tramite il Parlier, suo sottoposto, assegna loro gli incarichi.
Negli anni a cavallo fra i secoli XII-XIII ha inizio l’edificazione di una chiesa più ampia e del cosidetto Monastero Nuovo, in grado di ospitare fino a 150 monaci, quest’ultimo oggi in rovina.
Dall’ingresso si raggiunge la chiesa attraverso il ripido Scalone dei Morti risalente alla metà del secolo XII: nelle nicchie parietali fino al 1936 si custodiscono alcuni scheletri di monaci. Superati i primi scalini, a sinistra, s’innalza un pilastro di oltre 18 metri che sostiene il pavimento del tempio e a destra emerge uno spuntone di roccia.
Alla sommità dello Scalone si attraversa il Portale dello Zodiaco. È scolpito, nel marmo bianco di Foresto, intorno al 1128-30, da uno dei più importanti maestri di epoca romanica, il Magister Nicholaus, Niccolò, architetto-scultore piacentino. Negli stipiti di destra della facciata rivolta allo scalone sono raffigurati i 12 segni zodiacali, che gli danno il nome, mentre in quelli di sinistra 19 costellazioni: 13 australi e 6 boreali.
Lo scalone dei Morti.
Il Portale dello Zodiaco.
Sulle lesene l’artista lascia incise alcune frasi che tradotte dal latino così suonano: "Voi che salite, o per caso ridiscendete, leggete i versi che scrisse Niccolò”, oppure "Volga la sua attenzione a questa opera chiunque, capace, esca”, o ancora “Quest’opera spinge ad osservarla ripetutamente” e “Osservi quest’opera chi ne capisce il valore: separate i fiori dalle bestie".
L'ingresso nella chiesa è sottolineato dal passaggio cromatico delle rocce delle mura, da grigie a verdi.
I lavori di consolidamento ottocenteschi
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del successivo si rendono necessari alcuni lavori di consolidamento della struttura: sono affidati ad Alfredo d’Andrade.
L'Architetto, sulla mulattiera che scende a Chiusa, riscopre la cava da cui, nel medioevo, si sono estratte parte delle pietre impiegate nella costruzione: la Picrìa, in dialetto il luogo dei picapere, gli scalpellini. Dopo una pausa quasi millenaria l’attività viene ripresa.
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Si scava una verde prasinite di ottima qualità: il masso è staccato dalla parete percuotendo con una mazza dei cunei di ferro inseriti nella roccia, aiutandosi con leve, sempre di ferro, che ne favoriscono una progressiva spaccatura. Mediante una serie di altri cunei di lunghezze varie, battuti, all’interno di pozzetti scavati a scalpello lungo una linea precisa, se ne esegue una prima sezione.
I blocchi vengono trasportati su carrelli con binari a scartamento ridotto, sino al piazzale di cava: gli scalpellini li sbozzano secondo misure precise. Procedono, prima, con ulteriori sezionature a cunei e poi utilizzando una subbia di grande dimensione: devono ottenere una prima riquadratura delle pietre. Tolgono le grosse asperità con un grosso scalpello col tagliente a cuneo: il giadino.
Gli utensili usati sono praticamente identici fin dall’epoca romana: poche le nuove introduzioni, come la gradina, una sorta di scalpello dentato nato intorno al secolo XIV, o la bocciarda, una mazza dentata.
Una teleferica, la cui stazione di arrivo è fra quelli che oggi sono i ruderi della parte occidentale del Monastero Nuovo, trasferisce i blocchi al cantiere sovrastante.
La stazione della teleferica era a sinistra del caseggiato.
Gli archi rampanti.
Il portale d'ingresso.
In prasinite il D’Andrade costruisce l’ultima rampa di scale che collega la Porta dello Zodiaco alla chiesa, nonché i maestosi archi rampanti sovrastanti e i sarcofagi all’interno, mentre per il portale d’ingresso la impiega assieme ai calcescisti.
Nel sito della cava, oggi esaurita e ribattezzata d’Andrade, sono ancora presenti alcuni blocchi dentellati e squadrati. Sono visibili anche i resti dell’impianto funicolare, la base della costruzione che serviva come alloggiamento per gli operai e un forno.
Le foto della Sacra sono di Franca Nemo e Claudio Rosa.