Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Sembrava debellato, dopo l'infestazione che nel primo decennio del nuovo secolo aveva messo in ginocchio la castanicoltura valsusina. E invece...
Il cinipide galligeno del castagno, lo sgradito insetto il cui nome deriva dal fatto che induce la comparsa di ingrossamenti di forma tonda, denominati appunto galle, sui germogli e sulle foglie della pianta colpita, è ancora in mezzo a noi. Nulla di particolarmente allarmante, ma una situazione che necessita di un costante monitoraggio. Per evitare nuovamente la proliferazione incontrollata della specie che, a partire dal 2008, aveva flagellato le coltivazioni valsusine.
Considerato l'insetto più nocivo a livello mondiale, il cinipide attacca le piante con effetti nefasti: ne arresta la crescita e ne impedisce la fruttificazione fino a portarle, nei casi più gravi, alla morte. Originario della Cina, è stato avvistato per la prima volta in Italia, nel Cuneese, nel 2002. La propagazione lungo la penisola è stata repentina, tant’è che nel 2009 solo Valle d’Aosta, Basilicata, Molise, Sicilia, Puglia e Calabria ne risultavano esenti.
Galle di cinipide
“Le prime segnalazioni sul nostro territorio – spiega Paolo Chiaberto, vicepresidente della cooperativa valsusina La Maruna – risalgono al 2008/2009 nella zona di Almese. Sapevamo che, dopo aver colpito la provincia di Cuneo, introdotto da un’importazione di materiale di innesto dalla Cina senza il rispetto delle norme precauzionali, prima o poi sarebbe arrivato anche da noi”.
L’insetto, simile ad una vespa (è infatti chiamato anche vespa del castagno), negli anni successivi si è diffuso in valle di Susa, andando a compromettere in maniera significativa la produzione fruttifera, riducendola quasi a zero.
Il cinipide nel corso della sua esistenza attraversa quattro stadi vitali: uovo, larva, pupa e insetto adulto. Le uova vengono deposte all’interno delle gemme, nei pressi dell’apice vegetativo e non sono visibili facilmente. Dopo circa 40 giorni, ecco giungere le larve, di colore biancastro, che raggiungono i 2,5 mm di lunghezza.
Esse svernano dentro le gemme, diventando poi pupe, più brune via via che si sviluppano, fino a raggiungere la colorazione nera una volta raggiunta la maturità. Gli esemplari adulti di cinipide sono di colore nerastro, con zampe ocra ed un grande addome tondo, che termina con un ovopositore in grado di deporre le uova all’interno delle gemme.
“La larva – prosegue Chiaberto – entra nel circolo vitale della pianta ed a giugno sfarfalla, pronta a diffondersi su altre chiome. Per fortuna, nel giro di qualche anno, la lotta avviata con Regione Piemonte ed Università di Torino ha dato i risultati sperati. Si è cercato di capire come intervenire ed è stato individuato un metodo di lotta biologica che prevede la diffusione di un animale antagonista, che si insedia nella galla e cannibalizza la larva”.
L’eroe in questione si chiama Torymus sinensis ed è un imenottero parassitoide. Della sua esistenza si è venuti a conoscenza tramite studi che hanno interessato il Sol Levante: l’insetto è infatti giapponese, ed è stato allevato in laboratorio, prima di essere rilasciato in piccole quantità per avere delle zone di copertura (Villarfocchiardo, San Giorio, Mattie) ove sono stati effettuati i primi lanci.
“Nel 2015/2016 – continua Chiaberto – non eravamo certo tornati alla situazione ante cinipide, ma i segnali di ripresa erano evidenti e la produzione più che accettabile. La castanicoltura era rifiorita e si era trovato una sorta di equilibrio: insieme al cinipide si registrava anche la presenza dell’antagonista. Un buon segnale, in quanto l’anno successivo non si sarebbe arrivati allo sfarfallio dell’insetto”.
La situazione si è finora mantenuta bilanciata: in alcuni anni il cinipide si è rivelato essere più aggressivo, in altri meno. La lotta biologica è comunque stata una scelta di successo. “L’impiego di altre tipologie per contrastare la diffusione dell’insetto – conclude Chiaberto – sarebbe stato di difficile attuazione. Avrebbe voluto dire irrorare dall’alto i castagneti, operazione abbastanza impensabile. Invece, il ricorso alla lotta biologica ha avuto effetti e benefici superiori ai rischi: in certe zone dove la castanicoltura è più a livello industriale si sono tentati altri metodi, ma con scarso successo. Fortunatamente, da noi, anche le piante più colpite con il tempo si sono riprese e l’infestamento non ha provocato situazioni irrecuperabili”.
Nel periodo più critico la preoccupazione serpeggiava: si dubitava della continuazione della castanicoltura, visto che la riduzione della produzione aveva raggiunto percentuali dell’80/90 per cento.
Negli ultimi anni la produzione è stata inferiore agli anni migliori, anche a causa delle bizze del meteo. Ma, pur un continuo monitoraggio e mantenendo un livello di guardia sempre elevato, la valle di Susa dovrebbe resistere alla minaccia portata dagli insetti con gli occhi a mandorla."Ci attestiamo abitualmente su una produzione di un migliaio di quintali di marroni l'anno – ribadisce Chiaberto – e speriamo di riuscire a rispettarla anche nelle prossime stagioni".
Meno ottimista sembra invece essere Federico Pognant Gros, castanicoltore che nei suoi possedimenti di San Giorio, a 700 metri di quota, ha riscontrato un'infestazione a suo avviso superiore al passato.
"Ritengo che l'aumento del cinipide in questi anni sia preoccupante – lamenta infatti. – Il risultato ogni anno si vede al momento della fioritura, dove anche le condizioni climatiche fanno la loro parte e si inizia a capire quale sarà il livello della produzione. So che ci sono delle ciclicità, con alti e bassi tra cinipide ed antagonista, ma non sono così tranquillo. C'è davvero da augurarsi che non si registri mai più il crollo riscontrato in passato: nel momento di crisi massima, la mia produzione si era ridotta dagli abituali 45 a 4,5 quintali. Un disastro: avevo perso tutte le fiere ed i posti al mercato".
Giustificabile quindi, la sua preoccupazione, così come la soluzione adottata per garantire la sopravvivenza del Torymus sinensis. "Io sia a fine raccolto che durante la potatura non brucio mai gli sfalci, perchè in tal modo si distrugge anche l'antagonista. So che molti preferiscono ridurre tutto in cenere, ma è un atteggiamento sbagliato, che contribuisce a vanificare la potenza della lotta che stiamo combattendo da tempo. Meglio usarli come compostaggio naturale, permettendo la sopravvivenza del Torymus". E, di conseguenza, fronteggiare l'avanzata del cinipide.