Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
L'avvento degli elettrodomestici ha decisamente agevolato i compiti casalinghi, e ci ha privati di alcune abitudini che appartengono ormai alla memoria del passato.
Uno di questi è l'usanza delle lavandaie, diffusa fin dall'inizio del secolo scorso, di ritrovarsi al lavatoio o sulla riva del fiume con montagne di panni sporchi. Queste donne, abitualmente di estrazione povera, si occupavano di fare il bucato per conto di categorie più benestanti: professionisti, commercianti facoltosi.
Svolgevano il lavoro in locali specifici adibiti a tale scopo: talvolta si trattava di vecchie stalle attrezzate all'uopo, ma molto più spesso le lavandaie facevano il bucato lungo canali, corsi d'acqua, fiumi o al lavatoio, mettendosi a servizio per recuperare qualche soldo da destinare all'economia famigliare.
Quello della lavandaia era un mestiere faticoso, che comportava la sfregatura ritmica ed in maniera energica della biancheria, anche in virtù del fatto che un tempo non ci si cambiava d'abito con la frequenza odierna e quindi si aveva a che fare con sporco ostinato e difficile da rimuovere.
Lavandaie (nella rievocazione storica ExillesCittà)
Le lavandaie si spezzavano la schiena, stando ore e ore chine sui panni sporchi e le loro mani erano raggrinzite dalla lunga permanenza in acqua. Ciò nonostante, spesso, trovandosi in gruppo al lavatoio, mentre usavano olio di gomito, intonavano canti corali che le aiutavano a trascorrere il tempo con maggiore serenità.
Sovente, il lavaggio avveniva in acqua di fiume. Si cercava una pietra che potesse fungere da asse, sulla quale strofinare il capo con energia, risciacquandolo poi più volte nell'acqua corrente.
Da questo gesto deriva il detto "cativa lavandera (che diventa "grama lavandera" nella versione patois) a treuva mai na bona pèra", ovvero la cattiva lavandaia non trova mai la pietra adatta. La similitudine è presto fatta: in questo modo ci si riferisce a chi, pur di non portare a termine un compito, tentenna trovando un pretesto o lamentando carenze di attrezzatura.
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Per lavare i panni nei fiumi serve infatti un masso idoneo, su cui poter distendere il capo prima della strofinatura con acqua e sapone o con la famosa liscivia (costituita da un miscuglio di acqua bollente e cenere di legno o carbone di legna).
Nessuna pietra è perfetta, ma chi attribuisce alla mancata individuazione del sasso idoneo l'impossibilità di lavare il bucato sta cercando una scusa per delegare il compito ad altri. E quindi, con tutte le ragioni, è da considerarsi una cattiva lavandaia.
Lavandaie al fiume in una foto d'epoca
Un termine che si presta alla medesima interpretazione in qualsiasi contesto, sia esso famigliare, di lavoro, politico; chi non vuole fare qualcosa, trova mille pretesti per non accollarsi l'impegno.
In merito al detto citiamo una curiosità, che gli appassionati di libri ed i cinefili sicuramente conosceranno. Nel romanzo dei torinesi Fruttero e Lucentini, "La donna della domenica", il proverbio figura come indizio chiave per la risoluzione dell'assassinio di un architetto. Dal libro nel 1975 venne tratto un film di grande successo, diretto da Luigi Comencini e interpretato da Marcello Mastroianni e Jacqueline Bisset.