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La Certosa è situata a 1.177 metri d'altitudine nel Vallone del Gravio di Villar Focchiardo, in una radura circondata dai boschi vicino al rio Fontane e nel territorio del Parco Naturale delle Alpi Cozie, in particolare nell'ambito dell'Orsiera-Rocciavrè.
Il passaggio definitivo da Losa a Monte Benedetto avviene intorno al 27 novembre 1200.
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In una cerimonia, svoltasi il 2 giugno 1200 davanti alla parrocchia dei Santi Cosma e Damiano di Villar Focchiardo, i Signori del luogo, Enrico Visconte di Baratonia, Palmerio di Reano, unitamente al ricco residente Bosone Carbonello concedono alla Certosa, dietro compenso di quindici soldi segusini annui, un’ampia porzione di terreni locali e l’Alpe di Moschiglione, uno dei più grandi alpeggi della Valle, situata fra il paese e San Giorio, sulla sponda sinistra del torrente Gravio.
Impongono, contemporaneamente ai capifamiglia di accordare il loro assenso: la donazione non sarà mai pienamente accettata e porterà ad aperti contrasti. Il diritto di sfruttamento di questi beni spetta a pieno titolo agli abitanti: fare legna, pascolare il bestiame, raccogliere foglie e frasche per il foraggio invernale e sfruttare altre mille risorse del bosco. Ai signori sono invece riservati i diritti di caccia e quelli sulle acque. I Certosini però pretendono di esercitare un diritto di proprietà assoluto.
Monte Benedetto (Sergio Gioberto).
La certosa conta 6 monaci e 5 conversi; mentre nel secolo XIV i primi passeranno a una decina, i secondi rimarranno pressoché invariati. All’inizio l’isolamento è rispettato in modo rigoroso: un quarto dei documenti dei primi cinquant’anni è rogato sotto il grande olmo dinnanzi alla chiesa di Villar Focchiardo, di fronte al cimitero, qualcuno in casa del Visconte di Baratonia. Solo a partire dal 1270 questi iniziano ad essere firmati alla Certosa: nel 1265 il notaio è ancora relegato nel parlatorio, nel 1271 raggiunge il prato della chiesa, nel 1273 guadagna il suo portico e nel 1276 finalmente il chiostro.
Lo spostamento da Losa a Monte Benedetto segna l’inizio di un decollo economico che non conosce tregua, grazie anche alla posizione di privilegio di cui l’Ordine beneficia da sempre da parte di Casa Savoia, a cui si aggiungono altri Signori del luogo e non solo, papi, prelati vari e ordini religiosi.
Sono numerose anche le fonti documentarie che testimoniano, accanto alle numerose donazioni di terre, somme di denaro, prodotti in natura e decime, le acquisizioni fatte dagli stessi Certosini al fine di costituire un patrimonio fondiario omogeneo, concentrato nella media-bassa Valle di Susa tra Villar Focchiardo e Avigliana, tra cui, dal 20 aprile 1230, la grangia di Panzone ad Almese, che prendono in affitto, per 140 lire di Susa, da un San Giusto gravato da debiti. Le proprietà maggiori in paese sono le due grange, quelle di Banda e Comboira. A tutto si assommano i banchi al mercato di Susa.
Veduta invernale (Martina Suppo).
Monte Benedetto riveste un particolare interesse nell'ambito della storia delle strutture alpine dell’Ordine. Appartiene infatti al gruppo delle sue più antiche fondazioni in Italia ma, a differenza di altre, è stata abbandonata in età bassomedievale senza subire così le variazioni organizzative e planimetriche delle epoche successive.
Le certose sono costituite da complessi di edifici: nella loro costruzione i monaci non seguono dei piani prestabiliti ma si adattano alle caratteristiche morfologiche del luogo. Tutte, almeno sino al 1300, sono composte da due parti distinte: la casa alta, che costituisce il nucleo principale della certosa e la casa bassa o correria, disposta sulle pendici della montagna o comunque ad un'altezza inferiore rispetto alla prima.
La casa alta, la domus superior, il vero cuore religioso di Monte Benedetto, è il luogo in cui risiedono i Padri. Si compone di quattro unità fondamentali: la chiesa, il chiostro grande, il chiostro piccolo e le celle per i monaci. Oltre a questi edifici: la sala capitolare, la sacrestia, il dormitorio dei conversi, la cucina, il refettorio e la biblioteca.
Pianta della Chiesa (disegno di Elio Giuliano).
La chiesa è intitolata alla Vergine, è a navata unica rettangolare e divisa, in senso trasversale, da una struttura lignea che ha il compito di dividere il coro dei padri, più prossimo all'altare, da quello dei conversi. Le Consuetudines Cartusiae impongono infatti la costante e tassativa separazione fra le due categorie.
La concelebrazione eucaristica è riservata solo alla domenica, alle maggiori feste liturgiche e agli avvenimenti importanti della vita conventuale. Negli altri giorni all'altare vi è un solo celebrante: braccia aperte a croce per identificarsi con Gesù Cristo e preghiera eucaristica recitata a bassa voce.
La tradizione popolare vuole che di notte a Monte Benedetto ogni tanto compaiono due Certosini, contornati da una sfera di luce, inginocchiati a pregare verso l’altare. In sottofondo si odono canti e s’intravedono altre presenze luminose poco nitide. Alla fine del fenomeno centinaia di fiamme si fondono in un’unica grande luce che esplode improvvisamente per lasciare posto al buio. I due religiosi si alzano e scompaiono sfiorando appena il terreno.
La Chiesa di Montebenedetto (Claudio Rosa).
Al Piccolo Chiostro fanno capo gli elementi comuni: la sala capitolare, il refettorio, la biblioteca e il dormitorio dei conversi, ma anche quelli legati alla sussistenza del complesso, come i magazzini e la legnaia. È il luogo della preghiera: i monaci, camminando al coperto, meditano e leggono i testi sacri.
Solitamente il lunedì, per tre-quattro ore, sono liberi di dedicarsi allo spaziamento: una passeggiata settimanale, nell'intero perimetro certosino, in cui conversano liberamente in coppia. Di tanto in tanto si fermano per variare compagno. I conversi beneficiano di questo momento solo una volta al mese. Unico altro vero momento di conversazione, per tutti, è il colloquio, sempre in un angolo del chiostro, dopo il pranzo domenicale.
Per essere ricordati nelle orazioni dei padri è necessario beneficare il monastero.
Il chiostro grande e si apre sulle celle dei Padri: ognuna costituisce una singola abitazione. Quello che oggi ne rimane sono poche pietre lavorate e ancora infisse nel terreno. Appartengono ad edifici realizzati probabilmente in pietra e legno, forse a due piani: legnaia e piccolo laboratorio sotto, abitazione con scrittoio, letto e inginocchiatoio sopra e con un giardino-orto antistante.
Ricostruzione ipotetica della Certosa di Monte Benedetto nel XV secolo (disegno di Elio Giuliano).
I certosini, fra le altre particolarità, hanno la fama di godere di una vita longeva dovuta alla loro alimentazione. Fino al 1276, anno in cui la Regola è modificata, i monaci devono prepararsi e consumare i pasti nella solitudine della cella. In seguito, alla domenica, nei giorni festivi e nei momenti di ricreazione il refettorio, alle 12, accoglie tutta la comunità, padri e conversi.
Il bianco, simbolo di purezza e colore del loro abito, domina anche la mensa: l'alimento bianco, puro per eccellenza è il pesce, soprattutto quello di acqua dolce dei fiumi. Il 9 novembre 1216 Tommaso l di Savoia elargisce a Monte Benedetto il diritto di pesca lungo tutto il corso del torrente Gravio. Il 6 settembre 1260, Giovanni de Felonia, preposto di San Pietro “in Felonia” ad Avigliana, dona loro annualmente una quantità di pesci, pescati nel Messa, equivalente a tre soldi di Susa.
Altri alimenti largamente presenti sono latte e formaggi. Frequente l'uso delle uova sempre per l'allusione alla purezza spirituale offerta dal bianco dell'albume, poi legumi, ortaggi, frutta, vino, olio e pane: solitamente risorse interne della Certosa.
La casa bassa o correria, la domus inferior, più a valle, è destinata ad accogliere i conversi o fratelli. Ha caratteristiche abbastanza simili a quelle della casa alta. L'edificio più importante è anche qui la chiesa, sono poi presenti, fino a quando non sono stati introdotti in comunione nella casa alta, le celle, il refettorio, la cucina, la foresteria dove sono accolti i pellegrini e l’infermeria. Verso la fine del 1300 una modifica nelle Consutudines Cartusiae, porta al progressivo abbandono delle case basse e alla ricerca di soluzioni architettoniche diverse: a Monte Benedetto il trasferimento è avvenuto presumibilmente all’inizio del 1300.
Affresco quattrocentesco: la Vergine assisa in cattedra con il Bambino, affiancata da due Angeli e con ai suoi piedi tre figure di certosini oranti, posto sull'ingresso, ora murato, del complesso.
Nel 1378 la Certosa è elencata fra le quaranta case dell’ordine certosino in miseria per i debiti: è titolare di crediti che non riesce ad esigere. I tempi sono difficili: epidemie, razzie, danneggiamenti e le acque del torrente Gravio e dei rii della Sega e delle Fontane, che scorrono ai lati della Certosa, creano gravi problemi per le periodiche esondazioni.
Nel 1473 una straordinaria piena proprio del rio Fontane danneggia gravemente la Certosa: la Casa Alta, con le celle dei monaci è completamente distrutta, rimane in piedi solo la chiesa. Un imponente smottamento trascina a valle, per oltre 50 metri, la correria: i resti sono attualmente visibili a circa un chilometro dalla Certosa.
Per questi motivi e per il fatto che la Comunità ha spostato i propri interessi dalle attività silvo-pastorali ai fertili terreni del fondovalle, la sua collocazione viene a trovarsi in una posizione troppo decentrata: il Priore François de Pratis chiede più volte al Capitolo Generale la possibilità di trasferirsi a Banda per meglio curare i nuovi interessi: il trasferimento è finalmente approvato dal Capitolo nel 1498.
Per maggiori informazioni: CERTOSA DI MONTEBENEDETTO