Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
I due rilievi che si fronteggiano tra Villar Dora e Sant’Ambrogio, la Seja e il Pirchiriano con la Sacra di San Michele, appartengono alla stessa formazione di rocce verdi che hanno resistito all’erosione del ghiacciaio. Nel loro insieme segnano come quinte l’inizio della valle, il confine tra pianura e montagna: qui in epoca romana si trovava il confine tra l'Italia le Gallie e, nell’alto Medioevo, tra il regno dei Longobardi e quello dei Franchi.
La Torre del Colle (Tor do Còl in piemontese) è un edificio romanico situato presso l'omonima borgata di Villar Dora. La torre, isolata, domina il “Colle della Seja” detto anche “Molar del Ponte”, un rilievo allungato che sbarra la valle a nord della Dora, di fronte allo sperone del monte Pirchiriano.
La Torre fu elevata nel 1289-1290, per iniziativa di Amedeo V che voleva proteggere il nuovo insediamento di Molare del Ponte. Semplice torre isolata è posta accanto alla vecchia strada preromana e romana che, ancora percorribile, sale il versante orientale della collina, per alcuni tratti scavata nella roccia.
Sulla sella, accanto alla strada, sorgeva l’antichissima Cappella di San Lorenzo, di cui restano ruderi con tracce di grandi arcatelle romaniche.
La torre a pianta cilindrica circolare, è alta approssimativamente 19 metri ed ha un diametro di 7 metri circa. È stata realizzata in muratura di pietrame locale sgrossato sul posto, legata con malta di eccezionale resistenza confezionata con calce e sabbione di fiume. Alla sua base accoglieva un piccolo recinto che si sviluppava a settentrione.
Il coronamento di otto merli, senza caditoie, è portato in avanti da cinque cornici a sbalzo sovrapposte in lastre naturali di pietra a spacco (lose)
La parte superiore del corpo cilindrico, compresa la merlatura, è stata rabboccata con intonaco rustico per conferire maggior resistenza agli impatti e alle intemperie. All’interno lo spazio cilindrico era originariamente suddiviso in più piani da solai in legno, ed è coperto con una volta se emisferica in sommità, al di sotto dello spazio all’aperto tra i merli.
L’impermeabilizzazione era costituita da calcestruzzo con coccio pesto; lo scarico delle acque avviene a mezzo di doccioni sporgenti in pietra. Nel corpo di uno dei merli è ricavato un servizio igienico a sbalzo, affiancato da una feritoia.
L’ingresso della torre è ubicato, come di consueto, a mezza altezza, e poteva essere raggiunto con una scala a pioli appoggiata su un balcone a sbalzo in legno (oggi distrutto) difeso da una feritoia posta al di sopra.
Una feritoia svasata verso il basso illumina il piano terreno, mentre altre finestre e feritoie di illuminazione sono ubicate in corrispondenza dei piani alti.
All’ultimo piano vi è un grande camino con cappa. Nel complesso l’edificio è improntato a criteri di strettissima funzionalità senza il minimo indugio a sviluppi decorativi accessori.
L’ubicazione la concezione dell’edificio rispondevano a due chiare funzioni di base:
a) ospitare una piccola guarnigione armata a presidio del passaggio obbligato della strada romana della valle a nord del fiume, in corrispondenza del breve valico della Seja;
b) costituire l’ultimo elemento della catena di torri di segnalazione esistenti lungo la valle prima del castello di Avigliana (che era centro di Castellania e una delle sedi principali della corte di Savoia “al di qua dei monti”). Sulla piattaforma sommitale vi erano i resti (oggi distrutti) di un focolare muratura a secco con breve camino, che avrebbe potuto servire anche per segnalazioni a mezzo di fumate.
L’edificio risulta concepito e dimensionato sulla base di un modulo pari a un piede. Lo spessore del muro cilindrico è uguale alla raggio della cavità centrale. I quattro merli con feritoia (alternati ai quattro senza) sono orientati secondo i punti cardinali.
La circonferenza di base è di 72 piedi corrispondenti a 48 elementi mensolati (di un piede mezzo ciascuno) del primo anello di coronamento.
La torre fu elevata con l’impiego di 109 giornate lavorative dei mastri da muro guidati da mastro Bertrando e il ricorso a 300 giornate dei manovali: un tempo relativamente breve.
La semplicità e la povertà degli elementi costruttivi impiegati si accompagnano ad una mirabile notevole precisione realizzativa, che conferma l’importanza strategica dell’edificio e l’impegno con cui esso venne fatto eseguire dai Savoia: la Torre fu poi tenuta da questi per lungo tempo alle loro dirette dipendenze attraverso il Castellano di Avigliana.
Riferimenti:
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F. Antonielli d'Oulx, L. Chiariglione, M. Franchino, P. Scarzella, A. Viarengo (Gruppo Culturale Villardorese), Villar Dora. Contributi per una storia, Melli, Susa 1989.
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F. Carraro, L. Patria, R. Savarino, D. Vota, Caselette – Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Melli, Susa 1999.
Le foto sono di Claudio Rosa, i disegni sono tratti da Villar Dora. Contributi per una storia, del Gruppo Culturale Villardorese.