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La storia dell'antica Exilles (l'Excingomagus dei Celti e Exmilia dei Romani) è meno legata a quella della fortezza omonima di quanto si possa credere. Fin dai tempi antichi nella zona vennero innalzate opere militari presidiate da un'autorità centrale (gli imperatori romani prima, i Delfini, il Re di Francia e infine il re di Sardegna), ma le guarnigioni della fortezza erano reclutate anche in paesi lontani che nulla avevano in comune con gli abitanti del luogo.
La fortezza ebbe quasi sempre funzione di base logistica per il controllo dei confini del Piemonte e della Francia e, in caso di scorrerie, il villaggio era il primo a portarne le conseguenze. Ricordiamo a questo proposito il massacro del giugno 1453 ad opera del duca Lodovico di Savoia, che mise a sacco il borgo facendo strage di abitanti. Numerosissime poi furono le incursioni dei valdesi tra il 1560 e il 1574, e nel 1650 il paese fu incendiato e saccheggiato da una banda di disertori e di soldati di cavalleria.
D'altronde, nel corso del Medioevo e fino al XVII e XVIII secolo erano frequenti le azioni di saccheggio a danno dei paesi di confine senza che le guarnigioni delle fortezze avessero modo di intervenire. Ciò spiega perché l'abitato di Exilles, che aveva alle spalle una fortezza di tanta importanza, avesse al suo interno fortificazioni proprie ed un ricetto per ospitare abitanti e derrate durante gli assedi, separando così la sua storia militare da quella del forte.
Il borgo di Exilles visto dall'alto (Federico Milesi).
L'abitato era ed è tuttora costituito1 da un quadrilatero delimitato dalle quattro vie principali del paese. Il centro abitato si è progressivamente sviluppato nel corso dei secoli a partire da un ricetto medievale dalla classica forma quadrata che ancora oggi è chiaramente riconoscibile all’interno del tessuto edilizio del borgo.
All'interno di questo complesso edilizio si poteva penetrare solo attraverso delle porte, dette "Côr" (in patois andito, passaggio coperto), una al centro del lato verso Susa, una al centro del lato verso la Dora, una al centro del lato verso Oulx e due verso la montagna. Le case che sorgono lungo i lati del quadrilatero hanno tutte una particolare caratteristica: sono cantinate ed il loro piano è più basso di 70 centimetri del piano di campagna; in più, esistono architravi di passaggi che probabilmente erano comunicanti.
All’interno del ricetto non vi erano costruzioni e lo spazio aperto serviva da ricovero per gli armenti in caso di aggressione e assedio. Il paese era diviso, in senso est-ovest, in tre zone: Corlote, Charrière e Chaclà.
Corlote era l'interno del quadrilatero centrale, mentre Charrière era l'antica strada di Francia (ora via Roma) alla cui estremità, a monte e a valle, sono visibili due strozzature, tracce delle antiche porte che ne chiudevano gli accessi. Le costruzioni che si affacciano su questa strada formano una serie di piccoli ricetti affiancati gli uni agli altri. Se ne contano ancora sette, e il più antico è quello del vicolo Sant'Antonio nel Borg du Crin (la tradizione dice che all'interno vi fosse una roccaforte che serviva da ospedale degli Antoniani, che come è noto, curavano l'ergotismo e l’herpes zoster con il lardo di maiale). Qui è ancora visibile una statuetta originale accanto ad un dipinto recente di ingenua qualità artistica.
Nel centro della Charrière scorre ancora un fosso, alimentato dall’acqua del torrente Galambra, allora detto la "Biarje", simile a quello della Grande Garguille di Briançon e probabilmente con le stesse funzioni durante gli incendi.
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La Parrocchiale di San Pietro
All'estremità sud della Charrière, su uno stretto piazzale, si trova l'attuale chiesa parrocchiale che risale al XV secolo ed è dedicata a San Pietro. Questa chiesa sorge su una basilica paleocristiana, probabilmente dedicata a Maria: ne sono testimonianza i capitelli visibili a mezzo metro di altezza sui primi due pilastri della navata centrale, che attestano l’esistenza di colonne sottostanti.
La facciata, con il portale d'ingresso sormontato da archi a sesto acuto, termina con una cornice di archetti pensili. A destra del portale sono visibili caratteristici segni araldici del Delfinato e i gigli di Francia. L’altare maggiore risale al 1682 e nella navata laterale destra si conserva un tabernacolo in legno scolpito, dal quale, secondo la tradizione, durante il saccheggio del 1453 fu asportato l’ostensorio con l’ostia consacrata.
Exilles, Parrocchiale San Pietro, Retable dell'Altare Maggiore.
La leggenda narra che il bottino fu caricato su un mulo e trasportato a Torino dove l'animale si inginocchiò e non volle più proseguire. La pisside si aprì e l'ostia consacrata si innalzò: fu il miracolo del Santissimo Sacramento, a ricordo del quale si costruì la chiesa del Corpus Domini, progettata da Ascanio Vittozzi.
Il Chaclà, detto "Chatellard" nei documenti più recenti, è la zona sud del paese ed era la porta fortificata sotto il roccione. Le case che sorgono intorno portano ancora tracce visibili dell'antica funzione militare: torri, cammini di ronda e feritoie. L’unico esempio rimasto di questa linea di fortificazioni, oltre al camminamento di Vicolo della Torre, è la torre in pietra rimasta in elevato in Vicolo San Giovanni. Forse la sommità del roccione aveva ospitato un "oppidum" celtico, base militare e posto di osservazione dei guerrieri del re coziano Donno, che si era rifugiato tra i monti per sfuggire ai Romani.
La cappella di San Rocco e San Sebastiano
La parte sud, a valle del paese, prendeva il nome di "Catra Vià" e raggiungeva il nodo stradale cui fa capo l'antica strada celtica che sul versante sinistro orografico saliva da Susa passando dalla Maddalena e arrivava a Cels. Probabilmente a questo nodo stradale si allacciava l'antico itinerario citato da Ammiano Marcellino nel XV libro delle Storie e raggiungeva il colle d'Ambin.
La cappella in una cartolina del 1929 (Archivio privato della famiglia Reymond).
Qui sorge la cappella dedicata ai Santi Rocco e Sebastiano, una delle ultime cappelle del territorio ancora oggi private che, di fianco ad un altare secondario, custodisce una statua che E. Patria attribuisce a Sant’Antonio.
La chiesetta fu commissionata da Pierre Odiard, Console di Exilles, nel 1660.
La confraternita dei penitenti bianchi, in antico dialetto chiamati i Batù, è stata uno degli ultimi grandi moti penitenziali che si sono susseguiti in Europa durante tutto il Medioevo. Sono stati presenti ad Exilles, dove gli era stato assegnato l’altare nord della chiesa maggiore dedicato a San Sebastiano, loro patrono.
Quando la piccola chiesa fu dedicata a San Rocco e San Sebastiano, i Batù lasciarono l'altare nella navata nord della chiesa maggiore e si raccolsero nel nuovo edificio sacro, fino a quando alcune divergenze con Pierre Odiard li ricondussero alla chiesa principale.
Conserva un’architrave in pietra arenaria con tre croci scolpite e alcune sculture paleocristiane sullo spigolo nord ovest: figura umana trafitta da freecce, probabilmente San Sebastiano, arco e freccia, giavellotto e cavallo.
Questi bassorilievi provenivano forse dal terreno dell'antico cimitero che Pietro Capoul comprò e donò per la costruzione della cappella nel 1658, oppure potevano essere presenti in situ: durante gli scavi sul lato ovest condotti per costituire il passaggio pedonale retrostante l’edificio, sono stati resumati degli scheletri nella calce, tumulazione riservata agli appestati. Questo porta a pensare che fosse presente un edificio di culto più antico che dopo la peste del 1600 sia stato riorganizzato e dedicato ai Santi Rocco e Sebastiano2.
Le sculture paleocristiane si prestarono a diverse interpretazioni, che il dettagliato studio di Marco Cibonfa riassume così:
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Nord: ciclo su San Sebastiano, famiglia cristiana e finestra ad arco strombato con Giglio di Francia, Delfini di Vienne e angelo alato.
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Sud: San Rocco, ciclo su San Pietro.
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Ovest: simboli paleocristiani che potrebbero essere ancor più antichi (conchiglia).
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Est: facciata principale con Golgota, data di costruzione, nome del committente -proprietario (Pierre Odiard) e altri simboli paleocristiani alla base (pesci, cerchi)
Gli unici segni non interpretabili sono quelli mancanti, trafugati negli anni del dopoguerra: mancano infatti i plinti paleocristiani che stavano nella cornice di un metro e mezzo quadrato sul lato nord ovest a completamento della crocefissione di San Pietro ed un bassorilevo dedicato a San Rocco che era inserito nell’edicola (ora murata) sul lato sud
La presenza dell'edificio testimonia però una vita associativa attiva se si pensa che nel '600 Exilles aveva ben quattro confraternite religiose (Confraternita dello Spirito Santo, del Rosario, dei Penitenti e del Santissimo Sacramento, tutte votate a scopi religiosi e caritatevoli), che tanto hanno inciso in periodi conflittuali come quelli delle lotte religiose e che hanno dato l'esempio di una piccola democrazia all'interno di un potere ecclesiastico centrale.
1 Ettore Patria, "Notizie su un antico borgo romano-medievale: Exilles", in "Segusium" giugno 1971, anno VIII.
2 Di questo aspetto (la damnatio memoriae, la reinterpretazione degli edifici di culto pagani e cristiani nel tempo) vedi Marco Cibonfa, "La cappella di Exilles dedicata ai santi Rocco e Sebastiano" in "Segusium".
Ringraziamo Marco Cibonfa per la consulenza e le precisazioni.