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La “sòtola” (o sàtula), la trottola di legno che in passato era l’unico giocattolo ammesso durante la Quaresima, era un cono di legno alto fino a 10 centimetri, con lo spigolo del lato superiore arrotondato e con la parte inferiore appuntita e rinforzata da un chiodo metallico.
Le migliori erano di bosso, legno compatto e soprattutto pesante; per farla girare occorreva avvolgerla con un cordino (la fersa) e lanciarla sul terreno con un abile movimento del polso.
Vi erano alcune varianti diverse del gioco: nella più semplice tutti i partecipanti lanciavano contemporaneamente la trottola e vinceva quella che rimaneva più a lungo in moto.
Un’altra sfida consisteva nel prendere in mano la trottola ancora in moto eseguendo varie “figure” realizzate sfruttando il più a lungo possibile il suo prillare, vale a dire l’effetto giroscopico prodotto dalla forza centrifuga.
Altrimenti ci si sfidava nella gara di riuscire ad abbattere la trottola dell'avversario con il proprio tiro (per essere valido la trottola vincente doveva rimanere in movimento) o si ponevano una o più monete per terra, che si vincevano riuscendo a farvi prillare sopra la trottola, sia lanciandola che posandovela dopo il tiro.
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Per lanciarla la si impugnava dalla parte più grossa e, trattenendo il capo della fersa pressato con il pollice contro il legno, si tendeva un tratto della funicella fino al chiodo della punta, arrotolandola poi con giri stretti, risalendo verso la testa.
Due giri della fersa attorno all'indice e al medio uniti, garantivano una buona presa per il lancio, che si effettuava utilizzando una sola mano.1
Come nasce una “sàtula”
Guido Ostorero nel suo blog “Scuola Guido” ci descrive la costruzione si una trottola (che a Coazze si chiama sàtula) con l’aiuto di Eraldo Ruffino, oggi “in pensione” dopo aver formato per tanti anni, con la moglie Adriana, la coppia di maschere del carnevale coazzese: “lu véi e la véii”. Il loro impegno per difendere e promuovere le tradizioni locali, che li ha portati nelle scuole a insegnare antichi mestieri e giochi d’un tempo e li ha visti organizzare il “pane della carità”, prosegue convinto.
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Grazie alla disponibilità e all’abilità di Eraldo, Guido ha potuto registrare le varie fasi di “nascita” della sàtula, testimoniando come un ramo d’ulivo, modellato con lo scalpello dalle sapienti mani di Eraldo, si sia trasformato a poco a poco nel cono panciuto e scanalato che un cordino e mani esperte possono far girare a lungo sul rampone d’acciaio brunito.
Tra vorticar di trucioli e profumo di legno possiamo apprezzare la grande sapienza artigiana, che compie gesti di grande precisione con la disinvoltura data dall’abitudine. Senza bisogno di righelli o computer lo scalpello ha inciso con millimetrica misura il legno rotante, finché è emersa la nota forma, il giocattolo di tante sfide infantili che, nei rari momenti in cui è tornato recentemente in auge, ha coinvolto anche gli adulti in epici tornei, alimentati da una sana rivalità campanilistica.
Si parte da un ramo d’ulivo scortecciato, da sgrossare sul trapano con lo scalpello.
Dal cilindro di legno emerge la tipica forma della sàtula.
Si cambia il mandrino per innestare la punta per forare il vertice della sàtula, in cui infilare il rampone metallico.
Senza prendere le misure, a occhio ma con mano ferma, si praticano alla giusta distanza le scanalature in cui inserire il cordino in fase di preparazione al lancio.
Con la carta abrasiva e la cera di carrubo si liscia e lucida la superficie della sàtula.
La sàtula è finita, si può lasciare la base se si usa come soprammobile, per usarla da lancio si recide il piedistallo e si lascia solo un pezzetto sporgente, il “pìcu”.
Il video è tratto dal canale ScuolaGuido YouTube, a cui vi consigliamo di iscrivervi se siete interessati alle tradizione ed al dialetto della Val Sangone.
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1 La descrizione della trottola è tratta da Luciano Gibelli, “Memorie di cose, attrezzi, oggetti e cose del passato raccolti per non dimenticare", vol. 2, 2004, Priuli & Verlucca Editori.