Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Il più antico documento in cui è menzionato Bruzolo, Brosiolae, è il Testamento di Abbone del 739. Nel 1227 è concesso in feudo, da Tommaso I di Savoia, a Beltramino di Montmélian: il 30 agosto a Susa, viene stilato il primo documento noto relativo all’infeudamento del paese.
La casata di Beltramino, i Bertrandi, si estinguerà nel 1408. I De La Rivoire ne otterranno l’investitura fino al 1530. Da allora, di vendita in vendita, si avvicenderanno altre famiglie fino a Bertone Grosso di Carignano, Conte di Riva, Cavaliere del Santo Sepolcro e ai suoi discendenti: nel 1610, ospiteranno Carlo Emanuele I di Savoia e gli emissari del Re di Francia per il “Trattato di Bruzolo”.
LEGGI ANCHE: 1610: a Bruzolo si firmano due trattati che avrebbero potuto cambiare la storia
Il 24 dicembre 1797 l’ultima Contessa, Faustina Grosso Mazzetti, vende il vasto possesso comitale al ricco commerciante di cavalli e terraglie Giuseppe Antonio Olivero, classe 1754, nativo di Mocchie. Del patrimonio fanno parte il castello, terre, boschi, pascoli, mulini e la Fucina, risalente al secolo XIII e ancora oggi conservata.
Giuseppe è capostipite di un’altra lunga discendenza, seguita da quella dei Marconcini, con loro imparentati da parte materna: acquisteranno il nucleo centrale del castello e nel 2015 lo cederanno alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Torino. Sono il segno di una nuova epoca che avanza: l’Ottocento, il secolo della borghesia.
La fucina sorge a fianco della vecchia "bealera dei molini", nella parte alta del paese: opera tramite una forgia costruita in un edificio in pietra. Rimane di proprietà della famiglia Olivero fino alla fine del 1900.
Per funzionare necessita del torrente Pissaglio. Su di esso si basa l’economia del paese: l'acqua è utilizzata per uso domestico e irriguo, per i pochi opifici e per il bestiame. Con l’affluente Siccardera origina proprio la "bealera dei molini": dalla fine del 1400 ne sono attivi tre. Lungo il suo corso si impiantano anche due laboratori per il trattamento della canapa e poco più giù sorgono l'officina di un fabbro, un frantoio per olio e, dal 1924, la società elettrica La Bruzolese.
La ruota, in legno e pietra, che mette in funzione il maglio, è azionata proprio dall’acqua della “bealera”: quantità e velocità regolano la caduta del maglio stesso, collegato alla ruota da un albero ligneo di trasmissione del moto, determinando così i vari tipi di lavorazione.
Il primo documento in cui è citata, conservato all’Archivio di Stato torinese, è del 1282: Ugone Bertrandi de Canusco, Chianocco, Signore di Bruzolo, fa da mediatore con la Certosa di Monte Benedetto per conto di certi Carrera e Ventura che vogliono impiantare “forni e fucine per la produzione e il lavoro del ferro”, ricavando il “combustibile necessario al loro negozio” da boschi di proprietà dei monaci. Il 23 agosto i Certosini concedono loro, in enfiteusi, l’uso di terreni a patto che il legname si utilizzi solo per produrre carbone. Limitato anche l’asporto: quello necessario per alimentare un forno e una, al massimo due, fucine costruite a Bruzolo e “non altrove” perché “così fu pattuito tra essi contraenti”.
Il sottobosco è riservato al pascolo per gli armenti della Certosa: i locatari possono “pascervi” gli animali usati per i trasporti.
Tra gli stipulanti, non ufficialmente, c’è il nobile Ugone: è il principale interessato ad una fonderia-fucina nel feudo. Compare poi come garante dei due.
Il canone imposto ai locatari comprende una somma una tantum, 10 lire susine, un affitto annuo di 40 soldi e un rifornimento di cento libbre di ferro lavorato “al peso di Susa”.
La fonderia rimane attiva fino al 1720 e il 24 dicembre 1797 è così acquistata dall’Olivero. L'uomo ora vive a Condove: la scelta è dettata dalle sue attività commerciali, favorite dall’istituzione, nel 1780, del mercato settimanale.
Il 1797 è l’anno della svolta: da commerciante a castellano di Bruzolo. La vigilia di Natale, a Torino nel palazzo del Marchese Graneri, firma con la Contessa Faustina l’atto di acquisto: è ora proprietario di tutti i “beni, edifizi, effetti, diritti e mobili” posseduti da lei in paese, a San Didero, Bussoleno, Chianocco e Borgone. Il prezzo pattuito è di “cento settanta mille lire del Piemonte da soldi venti caduna” da versare, in rate di ventimila lire, dal sesto anno dall’acquisto. Dal 1° gennaio 1799 però deve corrispondere gli interessi del quattro per cento sull’intera somma. Alla donna, annualmente e perennemente, vanno recapitate, a Torino, dieci “brente” di vino e trecento “rubi” di carbone, entrambi della migliore qualità.
La Contessa giustifica la vendita con la lontananza di quei beni dalla sua residenza e la loro bassa rendita: sono sottoposti al pagamento dei tributi perché sciolti, dal Regio Decreto di Carlo Emanuele IV del 7 marzo, da ogni dipendenza feudale.
La fucina è eretta in un terreno che misura “trentatré tavole”, coltivate ad orto e a prato: una tavola corrisponde a 38,1 metri quadrati. È così descritta: “con fabbrica dentro in calcina con edificio girante a forza d’acqua che discende dal monte per la fucina, e martinetto fatto valere per mezzo di terza persona dal detto Signor Villata. Nel qual edificio vi esistono i seguenti utensigli cioè un inchudine di ghisa, un maglio di ferro, un accialino di ghisa, una dama di ghisa, tre piattelline di ghisa, un suzzello con canna di ferro, una chiodera, una bicorda, tredici paia tenaglie”.
A quarantaquattro anni, l’Olivero, il 1° gennaio 1799, entra da padrone nel castello. Nelle stalle, addossate alla cinta muraria, due dei suoi figli proseguono la sua attività: compravendita di cavalli e di bestiame. Lui, dal 1803 al 1811, realizza l’arginatura della Dora e, nel 1816, del Torrente Pissaglio: non si sa se per conto o per obbligo del Comune.
Il 10 maggio 1820, a sessantasei anni, muore: il testamento redatto, a suo dire, per evitare liti fra i successori, nonostante le buone intenzioni contribuisce a ridurre e spezzettare i beni.
Gli eredi entrano in una lunga e costosa controversia con il Comune, che viene risolta dal Consiglio di Stato Sabaudo solo nel 1835. In una nota del 4 gennaio 1834, dell’Intendenza della Città e Provincia di Susa si legge che “le condizioni degli Eredi Ollivero trovasi di molto deteriorate dall’epoca della morte del loro padre Giuseppe, ed essere ora li medesimi gravati di debiti sino alla concorrente di lire 140.703 somma eccedente il loro patrimonio”.
Solo nel 1896 la famiglia si libera da debiti, vincoli e ipoteche. La proprietà terriera, ridotta ai minimi termini, non dà più sostentamento a tutti: alcuni diventano fabbri, falegnami, insegnanti, professionisti e operai, altri cercano fortuna in Francia e in America.
Ultimo fabbro della Fucina è Michele Olivero, premiato ai primi del 1960 con una medaglia d’oro: è titolare della più antica fucina del Piemonte. La RAI riprende le lavorazioni effettuate, ma di lì a poco l’Olivero cessa l’attività.
Michele Olivero al lavoro (per gentile concessione della famiglia Olivero)
Il Comune a fine 1900 acquisisce l'edificio: il pesante tetto in lose minaccia di crollare sulle strutture interne. Per scongiurare il rischio si restaura la copertura: il progetto è di farne un ecomuseo.
I lavori terminano nei primi mesi del 2008: riguardano anche il rifacimento di parte dell’abbaino, la pulitura e il restauro di tutte le murature, il restauro dei serramenti lignei e il consolidamento del soppalco: l’abitazione del fabbro.
Nel 2019 si completano invece gli interventi sulla ruota grande per la movimentazione del maglio e su quella per il movimento delle macchine utensili, sui canali di afflusso dell’acqua e dell’aria, sul tino di captazione dell’aria di insufflazione per la fornace e sul restauro conservativo di macchina lappatrice e mola per la filatura. All'interno un sistema di leggere passerelle permette di raggiungere i punti importanti della sua storia e di vedere i tanti attrezzi presenti, permettendo la scoperta delle antiche lavorazioni.