Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Nonostante il merluzzo viva nei mari del Nord e venga pescato nell’Atlantico settentrionale, esso è un pesce presente da secoli nella gastronomia di tutta Europa (per esempio, i portoghesi si vantano di possedere ben 366 ricette per cucinare il loro “bacalhau”). Ma se questo ha una ragion d’essere per il Portogallo, i cui pescatori si inoltrano da tempo immemorabile nell’Oceano Atlantico, potrebbe sembrare strano che ciò accada anche per la penisola italiana, nelle cucine dal Veneto alla Sicilia.
Tuttavia, la cosa in sé non è strana, se si considera che già molti secoli fa il merluzzo veniva trasportato a bordo dei velieri mercantili (conservato secco o sotto sale) e commerciato ovunque, anche nei Paesi mediterranei (esistono ricette con il merluzzo persino nella cucina greca, dove viene chiamato “bakaliáros”, «μπακαλιάρος»).
La parola “merluzzo”, compare nel “Vocabolario della Crusca” soltanto dalla quarta edizione, apparsa tra il 1729 e il 1738, ma la sua presenza risale almeno al XVII secolo.
Il merluzzo arrivava nei porti, ma poi veniva trasportato a dorso di mulo anche sulle più impervie mulattiere montane, fino a raggiungere i più remoti villaggi. E così, in Italia troviamo il baccalà alla vicentina, troviamo il merluzzo alla siciliana o alla livornese, ma troviamo anche il merluzzo abbinato alla polenta nelle nostre Alpi.
Un gruppo di “muletiers” francesi, intenti al trasporto del legno.
Questo ingrediente è a tal punto entrato nella cultura dei popoli da divenire ovunque un cibo del territorio. Ma quali mercanti fecero conoscere ai nostri connazionali questo pesce?
Indubbiamente, pare di riconoscere la provenienza iberica nelle zone dove (come in Veneto) esso è identificato come “baccalà”, essendo in Spagna il nome “bacalao”.
E in Piemonte? Nel nostro caso, furono i mercanti francesi. Il merluzzo che entrava in Piemonte, proveniva infatti dal porto di Marsiglia. I velieri mercantili francesi, dopo aver fatto il carico di stoccafisso nelle isole della Norvegia, facevano vela per quello che già allora era il principale porto del Mediterraneo.
Qui i merluzzi che dovevano raggiungere i territori del Piemonte, venivano scaricati e trasbordati in velieri più piccoli, che li trasportavano al porto di Nizza. Il porto di Nizza era l’unico sbocco al mare del Ducato di Savoia, attraverso il quale passava tutto il traffico marittimo, in entrata e in uscita dal Piemonte.
"La pêche et le dépeçage de la morue", in "Traité général des pesches, par Duhamel du Monceau", in "Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers". Paris- Éditions Panckoucke, 1793.
A Nizza erano pronte legioni di mulattieri (detti “mulatié” in provenzale e “muletiers”, in francese), che caricavano sui basti dei loro muli le merci arrivate via nave, e affrontavano i sentieri del Col di Tenda per trasportarle a Cuneo.
Abbiamo dati più precisi su questo traffico negli Atti del Parlamento del Regno di Sardegna: nella Seduta del 10 Giugno 1851, mentre si stava dibattendo sull’abrogazione del Porto Franco di Nizza, il deputato Lorenzo Valerio ricordava l’indotto che intorno ad esso gravitava, come i trecento mulattieri che trasportavano da Nizza al Piemonte lo zucchero, il caffè, e il pesce stocco o “pesce bastone” (“merlùss sèch”, o “stocafiss”).
Nel 1850, grazie a questi mulattieri, entrarono in Piemonte oltre 12.000 quintali di stoccafisso. Oltre al pesce, entrò in Piemonte anche il suo nome: il “Merlùss” piemontese, corrisponde al provenzale “Merlus” e ai francesi “Merluche” e “Merlus” (che convivono con il più tardo “Morue”).
Il merluzzo, in un'incisione di un vecchio dizionario francese.
Secondo il celebre “Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana” di Ottorino Pianigiani, anche in italiano il termine entrò come prestito dal provenzale. In ogni caso, ricordiamo che dei due metodi di conservazione del merluzzo, il baccalà (sotto sale) e lo stoccafisso (essiccato), fu quest’ultimo ad essere prediletto nella cucina del Piemonte.
Il merluzzo veniva mangiato dal povero e dal ricco, dal nobile e dal plebeo; lo troviamo anche nelle cucine di Corte. Francesco Chapusot, Capo Cuoco a Torino dell’Ambasciatore d’Inghilterra, nel suo libro del 1851 “La vera Cucina casalinga, sana economica e dilicata” presenta le ricette del “Merluzzo alla panna – fior ‘d làit”, del “Merluzzo a velo di pane”, del “Merluzzo alla Salsa della Povera Donna”, della “Morue alla Contadinesca”, del “Merluzzo in Salsa verde”.
Il celebre Giovanni Vialardi, Capo Cuoco di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II, nel suo “Trattato di Cucina, Pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria” del 1854, presenta invece le ricette del “Merluzzo alla Borghese con Piselli”, del “Merluzzo in Salsa Robert”, del “Merluzzo alla Provençale”, del “Merluzzo in Salsa Béchamelle”, del “Merluzzo in Salsa Rémolade”, ”, del “Marluzzo alla Campagnuola”, del “Merluzzo alla Savoiarda”.
Ma come si prepara la polenta con il merluzzo (“pôlènta e merlùss”), uno dei piatti piemontesi talmente tradizionali che, benchè non menzionato da Vialardi, sarà stato senza dubbio ammannito in tavola a Vittorio Emanuele dalla “Bèla Rosìn”? E’ una ricetta molto rustica: innanzitutto, bisogna fare ammollare nell’acqua lo stoccafisso per una settimana. Quando si è reidratato, viene tagliato a pezzi, e fritto nell'olio, senza essere impanato, assieme a qualche spicchio d’aglio; a parte, vengono fritte delle cipolle, che saranno il suo accompagnamento, quando si troverà nel piatto, accanto alla polenta. Non c’è altro.
Giovanni Vialardi, “Trattato di Cucina, Pasticceria Moderna, Credenza e Relativa Confettureria”, Tipografia G. Favale, Torino, 1854.
LEGGI ANCHE: POLENTA E MERLUSS: un piatto di mare tipico delle ALPI
Ma se al tempo del Chapusot il merluzzo entrava in Piemonte per mezzo dei mulattieri, attraverso la Strada Reale da Nizza a Torino a Nizza, con l’apertura del tunnel del Frejus cambiarono le cose.
Dopo la Prima Guerra Mondiale diversi gruppi imprenditori francesi, dediti alla produzione e al commercio di prodotti ittici, si resero conto che la Valle di Susa, perennemente ventosa, possedeva proprio il clima asciutto e ventilato ideale per l’essicazione dello stoccafisso, e scoprirono che la linea del Frejus, avrebbe reso possibile trasportare qui in poche ore il merluzzo pescato nei mari del Nord.
Come sappiamo, il merluzzo si conservava in due modi: baccalà, e stoccafisso. Mentre il baccalà, implicando la semplice salagione del pesce, poteva essere prodotto tutto l’anno, lo stoccafisso no. Lo stoccafisso veniva fatto essiccare (perdendo il 70 % del proprio peso) semplicemente esponendolo al vento: ma questo poteva essere fatto, nella Francia del Nord, nei pochi mesi in cui le condizioni climatiche erano favorevoli per l’essiccazione, mentre in Val di Susa, poteva essere fatto molto più a lungo. Così, la lavorazione del merluzzo costituì per molti decenni la fonte di reddito per molte famiglie di Salbertrand, Oulx, Chiomonte ed Avigliana. La S.A.F.I.M., “Società Anonima Franco-Italiana Merluzzi”, operò ad Avigliana dal 1934; riguardo, invece, a Salbertrand, la "fabbrica del merluzzo" fu attiva dal 1932 al 1963.
Lo stabilimento della “Società Anonima Franco-Italiana Merluzzi” (S.A.F.I.M.), specializzata nella lavorazione ed essiccatura del merluzzo (Cartolina d'epoca di Alessia Maria Simona Giorda).
LEGGI ANCHE: QUANDO A CHIOMONTE (E NON SOLO…) SI “VENDEMMIAVANO” I MERLUZZI
I grandi pescherecci che pescavano nei mari del Nord effettuavano già a bordo la prima lavorazione: il merluzzo veniva aperto dalla pancia alla coda, pulito, salato e impilato. Poi, quando essi approdavano nei porti di Bordeaux, Saint-Malo, Le Havre o Caen, il merluzzo veniva caricato sui vagoni ferroviari, e spedito poco oltre la frontiera italiana, dove sarebbe stato ancora lavato, ripulito dal sale, allargato ed esposto al vento sui supporti all’aperto.
Ma la tecnica, che nel XIX secolo, grazie all’invenzione delle ferrovie, aveva reso possibile la creazione di questi posti di lavoro, li soppresse nel XX a causa dell’invenzione dei grandi essicatoi riscaldati e ventilati, che resero superflua la spedizione dei merluzzi in Italia.
Comunque, per decenni e decenni, i merluzzi stesi ad asciugare lungo enormi staccionate, lunghe anche mezzo chilometro, costituirono un elemento caratteristico del paesaggio alto-valsusino, ben noto a tutti coloro che percorrevano in treno la linea del Cenisio.
Ma ritorniamo alla nostra “pôlènta e merlùss”: non possiamo concludere, senza citare il fatto che essa è anche uno dei riti del Carnevale di Ivrea, che si svolge il Mercoledì delle Ceneri, quando nelle strade vengono posti dei grandi pentoloni, che cuociono delle enormi quantità di polenta, e delle grandi padelle, nelle quali vengono fritti quintali di tranci di merluzzo e quintali di cipolle.
La distribuzione della “pôlènta e merlùss” è l’ultimo atto del Carnevale, accompagnato dal saluto di commiato: «Arvëdd-se a giòbia, a 'n bòt!» ossia, “Arrivederci a giovedì, all'una, dell’anno prossimo!”.
Per maggiori informazioni vedi “I mulattieri di Nizza, ed il trasporto del merluzzo”, dal profilo Facebook di Paolo Benevelli