Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Tra i tanti movimenti pauperistici medievali di dissidenza nei confronti della Chiesa di Roma, il valdismo è stato capace di organizzarsi tanto da sopravvivere alle numerose persecuzioni giungendo fino all'età della Riforma. Fu Pietro Valdo (per alcuni Valdès, per altri Valdesio), ricco commerciante nato a Lione intorno al 1140, a dare inizio al movimento dei Poveri di Lione, che più tardi prenderanno il nome di valdesi.
Abbandonati i suoi beni per vivere in povertà la perfezione evangelica nell'imitazione degli apostoli, ebbe rapidamente un gran numero di proseliti (nel 1185 erano già più di 8000) che mandò a predicare nelle strade e nei villaggi. Essi rifiutavano la messa, il Purgatorio, il culto della Vergine e dei santi, cercando di purificare la religione da tutto ciò che non fosse evangelico.
Per questo tipo di predicazione laica i valdesi furono espulsi dal vescovo di Lione nel 1177, condannati dal Concilio di Verona del 1184 e dal Concilio Lateranense del 1215. Incominciò così una serie di condanne ecclesiastiche che culminarono con lo sterminio del 1686, quando i valdesi delle valli piemontesi furono massacrati e costretti a emigrare a Ginevra.
Tuttavia la propaganda valdese produsse forti adesioni in Piemonte, Lombardia, Francia, Svizzera, Germania e Spagna e la Chiesa, intimorita dal rapido propagarsi della nuova fede, scatenò una nuova ondata di persecuzioni, bandite da Innocenzo III, Gregorio XI e Innocenzo VIII. Furono morti, esuli, carcere, cattolicizzazioni forzate.
La svolta decisiva per questa comunità fu data dal Sinodo di Chanforan, che si svolse nel 1532 nella località di Chanforan, nell'attuale municipio di Angrogna, in Val Pellice. Esso rappresentò l'adesione alla Riforma e l'accettazione delle fedi riformate in contrapposizione a quella cattolica. Ma al tempo stesso Chanforan causò l'inizio di nuove e più feroci persecuzioni, da parte del sovrano francese Francesco I, che distrusse i paesi di Mérindol e Cabrière in Provenza, e da parte di Emanuele Filiberto in Piemonte.
L'episodio che più destò orrore da un punto di vista storico, oltre che umano, è quello conosciuto con l'appellativo di "Pasque Piemontesi": il sabato santo del 1655 le truppe di Carlo Emanuele, agli ordini del marchese di Pianezza, attaccarono i valdesi, incendiarono i villaggi, massacrarono gli abitanti.
Tanto feroce fu la repressione che l'Inghilterra puritana di Cromwell solidarizzò con i correligionari, ed inviò al duca piemontese una nota di protesta, sollecitando l'interessamento degli Stati europei protestanti. I versi di fuoco del poeta John Milton definiranno «Bloody Piedmontese» (piemontesi sanguinari, o maledetti) gli uomini delle Pasque, ben esprimendo l'indignazione degli inglesi alla vista di tante atrocità.
Il sostegno dei paesi protestanti non si fece attendere e costrinse il duca a firmare la pace di Pinerolo, o più esattamente le "Patenti di grazia", che garantivano il "perdono" ai Valdesi per la loro "ribellione in armi" e ripristinavano almeno in parte le libertà civili e religiose, ma introducevano nuove limitazioni, in particolare il divieto di risiedere sulla destra del torrente Pellice, a Luserna, Lusernetta, Bibiana, Campiglione, Fenile, Garzigliana, Bricherasio e San Secondo di Pinerolo.
La minaccia dell'aggressione cattolica fu però sempre presente nelle valli, tanto che in tempi brevissimi venne adibito alla difesa della popolazione il forte di Santa Maria che con i suoi cannoni dominava la Val Pellice.
Nel decennio che va dal 1655 al 1665 il mondo valdese risentì del fallimento della rivoluzione puritana in Inghilterra, che vide la caduta di Cromwell, e del trionfo della monarchia cattolica assoluta, rappresentata da Luigi XIV di Francia.
Luigi XIV.
Vittorio Amedeo II.
La tregua in Piemonte venne intanto ben presto violata: nel 1686 Vittorio Amedeo II riprese le persecuzioni: il duca piemontese, cedendo alle pressioni dello zio Luigi XIV, impose l'allontanamento dei pastori, la cessazione del culto e il battesimo cattolico a tutti i figli dei riformati.
I Valdesi cercarono di guadagnare tempo, ma il maresciallo Catinat schierò i suoi dragoni sul Chisone (nel luogo che ora è conosciuto come Pra Catinat) in segno di aperta minaccia, e nel maggio del 1686, in soli tre giorni, la distruzione fu compiuta: 2000 valdesi furono massacrati, 8500 furono avviati alle carceri piemontesi, altri sopravvissero grazie all'abiura. La successiva mediazione degli ambasciatori svizzeri risultò determinante al fine di ottenere una soluzione di compromesso: l'esilio per coloro che lo desideravano.
Il "Glorioso Rimpatrio"
Il 7 gennaio 1687 la prima colonna lasciò il Piemonte per raggiungere Ginevra attraversando il valico del Moncenisio; partiti in 93, arrivarono in 68. Complessivamente, dei 2700 valdesi che passarono le Alpi, 2490 furono quelli ospitati dalla città svizzera; gli altri morirono durante il viaggio, si smarrirono o vennero sorpresi dalla tormenta. Gli ultimi arrivarono il 10 marzo di quell'anno.
Nel 1688 il corso politico dell'Europa subì profondi mutamenti a causa della rivoluzione inglese, conosciuta come "Glorious Revolution", con la quale Guglielmo d'Orange, Stadholder d'Olanda, venne designato a sostituire Giacomo II d'Inghilterra. Guglielmo d'Orange era protestante e per l'Inghilterra Luigi XIV rappresentava l'assolutismo inteso come fine della libertà politica e morte del mondo evangelico. È a questo punto che la vicenda valdese si venne legando alla storia europea grazie all'interessamento concreto delle due grandi potenze protestanti, l'Inghilterra e i Paesi Bassi. Gli emissari di Guglielmo presero infatti contatto con i valdesi esiliati al fine di organizzare una guerriglia alle spalle del sistema difensivo messo a punto dal Catinat. A metà agosto del 1689 si concretizzò la possibilità di lasciare la Svizzera per dar corso a quello che sarà ricordato come il "Glorioso Rimpatrio".
La partenza dei valdesi da Nyon (lago di Ginevra) e il percorso del "glorioso rimpatrio".
Circa 950 uomini, guidati dal pastore Henry Arnaud, attraversarono il Lago di Ginevra nella notte fra il 16 e il 17 agosto e a marce forzate coprirono in due settimane i 250 chilometri che li separavano dalle loro valli, superando montagne e colli e seguendo un itinerario insolito, tale da sfuggire alle truppe sabaude. L'unico scontro fu con i Francesi e avvenne a Salbertrand, in Val Susa, dove, malgrado le forti perdite, i valdesi uscirono vittoriosi.
A Prali, dove venne riorganizzata la spedizione, all'appello mancava il trenta per cento degli effettivi; nonostante ciò la volontà di tornare nelle valli fu decisiva e venne solennemente riaffermata al Sibaud, sulle alture di Bobbio Pellice, con un patto di unione detto "Covenant".
Quelli del rimpatrio furono mesi durissimi, segnati dagli stenti, dalle sofferenze, dalla morte, e dal coraggio. I valdesi portavano sul cappello un nastro arancione, colore degli Orange e della coalizione antifrancese, lanciando anche così la sfida al Catinat e al suo esercito. Ma la guerriglia e la solitudine indebolirono il corpo di spedizione, e i valdesi poterono resistere al freddo e alla fame solo requisendo bestiame oltre frontiera, in Queyras, e taglieggiando la popolazione di fondovalle. Tuttavia anche le truppe sabaude, assai meno avvezze al rigore dell'inverno in montagna, non versavano in condizioni migliori.
Nel periodo seguente si assistette ad un alternarsi di posizioni da entrambe le parti, ma intanto il duca di Savoia andava allacciando rapporti con la Lega d'Austria, in funzione antifrancese. In altre parole, la Francia di Luigi XIV stava perdendo il ruolo di potenza egemone in Europa.
salvati da un cambio di alleanze
Dopo la caduta della Gran Guglia, nel novembre del 1689 (dove venne tra l' altro ritrovato il diario di Paul Reynaudin, in cui si narrano gli avvenimenti relativi alla partenza da Prangins sino alle ultime settimane di ottobre), le bande valdesi della Val San Martino di Prali si ritirarono nel villaggio della Balsiglia, in fondo al vallone di Massello, dove passarono l'inverno.
Il pastore Henry Arnaud.
Il 2 maggio del 1690 il generale Catinat presentò a Vittorio Amedeo II un ultimatum, imponendogli di cedere la cittadella di Torino. Lo stesso giorno sferrò un attacco contro le posizioni valdesi, ma i 300 sopravvissuti dell'Esercito dei Santi (così i valdesi si chiamarono al Sibaud), arroccati sulle loro montagne resistettero all'assedio dei 4000 dragoni di Francia, al comando del marchese De Feuquière.
I Valdesi, sempre in attesa dell'ultimo, decisivo attacco che li avrebbe sterminati, furono salvati dall’improvviso cambiamento nelle alleanze politiche, che portò il duca di Savoia ad allearsi con con l'Inghilterra e l'Austria ed a scendere in guerra contro i suoi ex alleati francesi. Il 28 maggio Vittorio Amedeo II propose così una tregua agli increduli valdesi mentre l'esercito francese, guidato da Catinat, incominciò a devastare il Piemonte, contrastato dai contadini e dalla milizia di casa Savoia.
Nel 1691 i francesi tentarono un assedio a Cuneo, ma una colonna di soccorso, guidata dal principe Eugenio di Savoia-Soissons, li mise in rotta. Nel 1692 Eugenio e Vittorio Amedeo condussero una fortunata incursione in Francia, devastando il Delfinato, e infine nel 1693, mentre l'esercito sabaudo ed i suoi alleati assediavano Pinerolo, in mano ai francesi da oltre mezzo secolo, un corpo di soccorso francese affrontò gli eserciti assedianti il 4 ottobre nella battaglia della Marsaglia.
Ad un passo dalla vittoria, a causa del cedimento delle truppe spagnole i piemontesi vennero ancora battuti, ma Vittorio Amedeo continuò la guerra e, sfruttando la stanchezza dei francesi, impegnati su più fronti, dopo aver posto l'assedio a Casale Monferrato riuscì ad indurre Luigi XIV alla pace.
Col trattato di Pinerolo, poi confermato dal trattato di Torino, Vittorio Amedeo ottenne la restituzione di Pinerolo e del corridoio che lo univa alla Francia, formato dai comuni sulla sponda destra della Val Chisone fino a Perosa, la cui occupazione risaliva al 1630, la restituzione di tutti i territori sabaudi conquistati dai francesi durante la guerra.
Inoltre la corte di Versailles avrebbe concesso a Vittorio Amedeo il trattamento regio - di cui già godeva da parte di quelle di Madrid, Vienna e Londra - e il matrimonio del Duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV e presunto futuro re di Francia, con sua figlia Maria Adelaide di Savoia.
Dopo sei anni di guerra il Duca aveva raggiunto i suoi scopi, poteva ritenersi politicamente soddisfatto e nel 1694 concesse ai Valdesi l'Editto di Tolleranza.