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Nel corso dei secoli i Savoia dimostrano una speciale devozione per il Rocciamelone, la più alta montagna della Valle di Susa.
Amedeo VIII
Il diffondersi e il rafforzarsi del suo culto sacro si deve in gran parte all'Opera di Amedeo VIII, il “Pacifico”, dapprima Conte di Savoia e poi il primo ad assumere il titolo di Duca concessogli il 22 gennaio 1416 dall'Imperatore Sigismondo: il prestigio politico e diplomatico della dinastia è così elevato.
Nel dicembre 1418, con la morte di Ludovico di Savoia-Acaia, ultimo esponente del ramo piemontese dei Savoia, Amedeo VIII amplia i suoi domini anche al di qua delle Alpi: acquisisce il Feudo di Pinerolo e Torino.
L'annessione lo convince a consacrare, secondo tradizione, i propri Santi alla Vergine del Rocciamelone: la consuetudine di affidarle gli Stati Sabaudi è tramandata quasi unanimemente dalla storiografia anche senza una fattiva corrispondenza documentaria.
Il 1° settembre 1358, Bonifacio Rotario vi ha portato il celebre trittico sistemandolo in una piccola Grotta sulla cima.
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Per favorire i pellegrini nell'ascesa alla montagna, il Duca, l’11 marzo 1419, affida la somma di 40 fiorini a Giovanni Malabaila, eremita e Rettore del piccolo ospedale di San Nicolao al Moncenisio, per la ristrutturazione del rifugio in località “Cas Dast”, a 2854 metri.
Il ricovero, secondo tradizione, è stato costruito sessant’anni prima dallo steso Rotario: ora è in completa rovina.
In questa occasione Amedeo VIII, per attribuire maggior lustro alla dinastia, lo ribattezza, come affermano i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Torino, la “Domus de Sabaudia”: la memoria del primo fondatore rimane però più forte della volontà sovrana e il rifugio, più volte ricostruito nel corso dei secoli, porta ancora oggi il nome di Cà D’Asti.
Dal 1798 sarà affiancato anche da una cappella.
Il rifugio oggi e nel 1894.
Il gesto serve a consacrare definitivamente la fede dei Savoia per questa montagna-simbolo, ritenuta, fino alla fine del XVIII secolo, la più alta delle Alpi e degli Stati Sabaudi.
I pellegrinaggi
I pellegrinaggi da parte degli appartenenti alla casata sono sempre più frequenti: rappresentano una sorta di investitura dal profondo significato religioso e politico.
Una delle ascensioni più celebri è quella intrapresa, nell'agosto del 1659, dall’allora venticinquenne Duca Carlo Emanuele II, detto “Carlino”, con parecchi dignitari della sua corte. Secondogenito di Vittorio Amedeo I e di Cristina di Borbone, sorella di Luigi XIII, era succeduto al padre, dopo la morte del fratello Francesco Giacinto, il 14 ottobre 1638.
È possibile ricostruirne la cronaca grazie alle lettere, presenti nell’Archivio statale torinese, scambiate fra la madre, Madama Reale, Maria Cristina e il Colonnello e Governatore di Susa, Giovanni Bernardino Cordero da Mondovì, il cui unico ritratto è collocato presso il santuario di Vicoforte, quale benefattore del luogo.
Il 1° agosto 1659 il Cordero riceve la prima comunicazione: il Duca sarà a Susa fra due giorni per compiere la salita al Rocciamelone.
Maria Cristina preoccupata per le possibili difficoltà dell'impresa, lo invita a preservare il figlio dai pericoli dell'alta montagna e a facilitargli il più possibile l’ascensione.
Il Governatore mette le mani avanti e il 2 così risponde: “non è salita da intraprendersi, se non da persone grandemente robuste, per trattarsi da fare una salita di più di 5 miglia a piedi”.
Contemporaneamente promette: “io non mancherò di provvedere a tutte quelle cose che stimarò avantaggiose in questo viaggio per la sicurezza della persona dell'Altezza Sua Reale e non lo quitterò per momento”.
L'uomo ordina di risistemare il sentiero nei punti più critici, recluta a Novalesa i marrons, le squadre di portatori che garantiscono ai viaggiatori il passaggio del Colle del Moncenisio in ogni stagione: porteranno sulle spalle, grazie all’apposita sedia che usano abitualmente, il Duca, qualora la fatica nel continuare a piedi sia troppa.
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A mezzanotte e mezza del 3 agosto Carlo Emanuele è a Susa al Convento dei Cappuccini, presso l’attuale chiesa di sant'Evasio: smonta da cavallo ed entra in città.
Sale al castello, sede del Governatore, dove alloggerà: al piano nobile un appartamento è riservato ai membri della Casa Ducale in visita alla città.
Carlo Emanuele II
Il 4, "all’ora dieci nove d’Italia", a dorso di mulo, scortato dal Cordero, raggiunge l'Alpe di Mompantero, la Borgata Trucco: con il suo seguito pernotta nelle “grange”.
Il Governatore, prima di riposare, prende carta e penna per rassicurare Madama Reale: il primo tratto di percorso non ha presentato alcuna difficoltà.
L'indomani, martedì 5, la giornata è stupenda: contrariamente a quanto accaduto per tutta quell’estate in cielo non c’è una nuvola.
Il giovane Duca è in piena forma. “Alle ore 7 SAR si è incamminata per adempiere i suoi voti in veneratione della Santissima Vergine con dispositione di una intera e vigorosa salute”.
La salita non presenta alcuna difficoltà. Il nobile, informa il Cordero, non “ha avuto di bisogno dell'assistenza di alcuno dei marroni” né di avvalersi della loro sedia-portantina “atteso che si è portato alla salita con tanto vigore e forza che è stato il primo di tutti alla cima del monte”.
Rimane in vetta per circa due ore partecipando a due messe, celebrate nella piccola Cappella del Trittico.
È invece il non più giovane Bernardino Cordero a raggiungere la vetta soltanto un'ora più tardi: c’è l’ha fatta solo a forza di pause e aiuti degli uomini di Novalesa.
Il Rocciamelone visto da Susa, con l'arco di Augusto in primo piano.
Ora tutti iniziano la discesa verso Susa. Al Trucco, il Governatore invia un'altra lettera alla Madama Reale: il figlio ha felicemente e senza incidenti concluso l'escursione, assistito da un tempo che si è mantenuto bellissimo: “quel che era più ammirabile in questo viaggio, si rimarca la piacevolezza dell'aria di questa mattina, sopra del Monte non mai più veduta dal ricordo di questi paesani in questo giorno”.
L'impresa di Carlo Emanuele II desta viva ammirazione non solo nella Corte Torinese ma anche a Roma in quella Papale.
A testimonianza dell’ascesa viene posta una lapide, ora andata perduta: “1659 li 5 agosto. Carlo Emanuele II duca di Savoia, re di Cipro, seguito dalla sua corte nel fiore degli anni, essendo il sole in Leone, fervido di divozione, ascende fra i ghiacci di questa rocca, per adorare dal più alto dei suoi Stati la Vergine sua protettrice, accio che per sua intercessione da Lei che il monte Oreb possa giunger al monte di Cristo”.
Altri membri della casata saliranno sulla vetta in tempi relativamente più recenti: dalla fine del XVIII secolo si stabilirà la tradizione di farvi andare in pellegrinaggio i giovani principi della dinastia.
Il 27 luglio 1838 toccherà ai due figli di Re Carlo Alberto: Vittorio Emanuele, futuro primo Re d'Italia e al fratello Ferdinando Duca di Genova accompagnati dal Principe Eugenio Emanuele Savoia-Carignano.
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Nel 1859 sarà la volta di Umberto, poi re Umberto I ed Amedeo, futuro Amedeo I di Spagna, primo Duca d’Aosta e capostipite del ramo Savoia-Aosta, figli di Vittorio Emanuele. Il tentativo s’infrangerà contro la minaccia della nebbia: saliti fino alla Crocetta, senza l'ausilio delle guide, saranno costretti a rinunciare.
A inizio Novecento raggiungerà la vetta la Regina Margherita e, nel 1928, il futuro Re Umberto II, allora principe ereditario.