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Pochissimi Pontefici romani, prima del XVIII-XIX secolo, sono transitati per la Valsusa. Con ogni probabilità il primo è Gregorio X diretto a Lione per il Concilio Ecumenico del 1274. Lo accompagna per un tratto il vescovo di Torino, Goffredo di Montanaro.
Un altro è sicuramente Martino V, 206º Vescovo di Roma, primo Pontefice romano dopo 135 anni, appartenente a una delle più influenti famiglie cittadine: i Colonna.
Oddone, questo il suo nome, nasce a Genazzano presso Roma, tra il 25 gennaio 1369 e lo stesso giorno del 1370, è figlio del Principe Agapito e di Caterina Conti. Studia all'università di Perugia e diviene protonotario apostolico con Papa Urbano VI e poi uditore papale. Papa Innocenzo VII il 12 giugno 1405 lo nomina Cardinale-Diacono di San Giorgio al Velabro.
È eletto Papa durante il Concilio di Costanza, l’11 novembre 1417, giorno di San Martino, “all’ora decima”: così scrive in una lettera del 22 al fratello Lorenzo. Tradizione vuole che l’elezione sia la prima ad essere annunciata al mondo con il rito attuale dell’Habemus Papam.
Gregorio X.
Martino V.
Il conclave è iniziato l’8, con la partecipazione di 23 Cardinali e 30 delegati. La sua investitura mette la parola fine allo Scisma d'Occidente. Il suo papato promuoverà la ripresa dell’economia e favorirà umanisti e artisti della prima età rinascimentale.
Prima di sciogliere il Concilio si impegna a riformare la Chiesa e la Curia romana: solo il 19 aprile 1418 sceglierà Pavia come luogo della successiva adunanza e il 22 chiuderà quella in corso.
Iniziano le discussioni su dove Martino V debba fissare la sede papale: l’Imperatore Sigismondo propone Basilea, Magonza o Strasburgo, i Francesi caldeggiano Avignone e molti ne auspicano il ritorno a Roma.
Il Pontefice parte da Costanza per il ritorno il 16 maggio 1418. Il 10 giugno arriva a Losanna: a riceverlo il Duca Amedeo VIII di Savoia, “il Pacifico”, che dal 24 luglio 1440 al 7 aprile 1449 sarà antipapa con il nome di Felice V, che lo scorta nel suo ingresso solenne, l’11 luglio, a Ginevra.
Martino V è accompagnato da 15 Cardinali. Decide il trasferimento della Curia a Mantova, ma rimane sulle sponde del lago Lemano fino al 3 settembre, malgrado il caldo afoso e le proteste dei prelati che considerano il luogo un “vero inferno”. A consigliare una partenza frettolosa, senza nemmeno accomiatarsi dal Duca, è l’arrivo della peste.
Attraversando Annecy, Talloires, Faverges, Aiguebelle, La Chambre, Saint-Michel-de-Maurienne giunge a Lanslebourg: da qui il 16 settembre valica il Moncenisio.
L’itinerario è documentato dalle date delle suppliche, conservate negli archivi pontifici vaticani, a lui presentate nei luoghi attraversati: arrivato al Colle gli si fa incontro l’eremita Frate Agostino che dimora presso la “domus appellate la Lacadarb a parte Lancuburgii” in località Ramasse.
Più in basso gli rende omaggio un altro asceta: Frate Giovanni Malabaila che abita in “pede scale montis Ceneysii a parte Secusie”, cioè all’estremità occidentale della piana di San Nicolao, citato in un documento del 1432 quale “rectori hospitalium montis Cenisij”, cioè dell’ospedale del pianoro, indipendente dall’Ospizio di Santa Maria posto sul Colle, e affiancato da una cappella. È il rifugio dei viandanti prima della salita delle Scale.
La piana di San Nicolao e i tornanti della strada napoleonica.
Gli edifici, esposti in inverno a venti fortissimi e incessanti tormente di neve, necessitano di varie riparazioni per poter continuare a soccorrere soprattutto i viaggiatori in pericolo di vita: i due eremiti indirizzano al Pontefice una supplica affinché conceda indulgenze apostoliche a chi farà un’elemosina. Queste saranno conferite dal 1432 al 1452 e il Duca di Savoia l’11 febbraio 1419, farà una donazione al Malabaila.
Il piccolo Ospedale è destinato a una vita breve: fagocitato dal più organizzato Ospizio di Santa Maria. La Cappella è utilizzata fino al 1700: è menzionata e raffigurata in alcune carte. Ora è abbandonata all’incuria.
Accanto a questa, a una cinquantina di metri dal piede delle Scale, al passaggio di Martino V, è presente un’altra chiesetta dedicata a San Maurizio, costruita dalla comunità di Lanslebourg in onore del patrono della Savoia e distrutta durante le guerre di Successione di Spagna: già nel 1730 se ne scorgono solo più le fondazioni a pianta circolare.
Secondo i documenti presenti nell’Archivio di Stato di Torino essa è il limite amministrativo tra Savoia e Piemonte.
Accanto una croce sulla quale si affiggono “d'ordine del Senato di Savoia contro gl'assenti del Ducato le copie pria che fossero state publicate le Reggie constituzioni …". Qui avviene anche la consegna dei prigionieri scambiati tra le due amministrazioni: “la famiglia di giustizia di Savoia quelli conduceva sino al detto posto, ed ivi rimetteva li prigionieri ala famiglia di giustizia del Piemonte, et viceversa...”. Segna inoltre il limite di competenza per la manutenzione della strada: il tratto sottostante spetta a Susa e quindi alle comunità della Val Cenischia, da lì in su e nella discesa in Moriana a Saint- Jean- de-Maurienne, per cui a Lanslebourg.
La Discesa in Italia
Martino V transita per l’Abbazia di Novalesa governata dal Priore Vincenzo Aschieri dei Signori di Giaglione, riposa il 17 e il 19 settembre a Susa per ripartire alla volta di Torino.
Tradizione vuole che sosti al castello di Villar Dora, dal 1359 di proprietà della famiglia Provana che con i Luserna, i Piossasco, i San Martino e i Valperga, sono tra le cinque famiglie feudali più antiche e potenti del Piemonte e della corte sabauda nell’area intorno a Torino.
Il castello di Villar Dora (Claudio Rosa).
Qui si radunano diversi armati dei 15 rami della Famiglia, compresi quelli delle terre più lontane: i Provana d’Oriente, di Polonia, di Provenza e di Savoia. Gli uomini, quasi un esercito, lo scorteranno nel viaggio che lo porterà all’Urbe.
Come ringraziamento Martino V concederà loro l’onore di inquartare lo stemma familiare con quello dei Principi Colonna: una colonna d’argento coronata, con base e capitello d’oro in campo rosso.
I Provana fino a quel momento hanno uno scudo gentilizio “parlante”: due tralci di vite ornati di foglie verdi e uve nere. In antico piemontese “provanè” vuole dire “piantare la vite” o meglio, come scrive nel 1793 il Vocabolario Piemontese, dedicato a Maria Clotilde di Francia, del medico Maurizio Pipino, “propagginare”. Ad un ramo della famiglia, quella di Leyni, nel 1360 il Conte di Savoia impone per punizione, dopo l’alleanza con il Principe d'Acaia, di togliere dallo stemma i grappoli.
L'immagine più antica dell’insegna la troviamo, nel 1382, sull’armatura e sullo scudo della pietra tombale di Giacotto, ora conservata nella Galleria Sabauda di Torino.
Lapide funeraria.
Stemma Provana.
Il 20 Martino V è a Torino. Il principe di Piemonte Ludovico di Savoia Acaia, ultimo discendente della casata, nei giorni precedenti ha ordinato riparazioni, addobbo e provviste per la residenza torinese: i messi hanno raccolto nelle sue terre vettovaglie e presso i castellani biancheria da tavola, da letto, coperte e arredi.
Filiberto Pingone nella sua Agusta Taurinorum del 1577 scrive che è accolto con onori “pressoché divini”. Visita l’università, lo «Studio generale per l’insegnamento della Teologia, del Diritto Canonico e Civile e di ogni altra lecita Facoltà», voluta dal Principe con atto di costituzione del 27 ottobre 1405, firmato da Papa Innocenzo VII.
Il 18 ottobre è a Milano alla corte di Filippo Maria Visconti e consacra l’altare maggiore del duomo. Il 24 arriva a Mantova e vi si trattiene fino al 6 febbraio 1419: il 31 gennaio emana la bolla “Sicut Iudaeis” nella quale concede agli ebrei la facoltà di esercitare qualsiasi attività, di riposarsi nelle le feste ebraiche e lavorare in quelle cristiane purché non in pubblico.
Raggiunge Firenze dove dimora per quasi un anno e mezzo. Entra a Roma il 30 settembre 1420.
Morirà, per apoplessia, il 20 febbraio 1431 e sarà sepolto a San Giovanni in Laterano.