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Fra i tanti viaggiatori che nel corso dei tempi valicano il Moncenisio, avvalendosi dei servigi dei Marrons, nel 1077 è il turno dell'imperatore Enrico IV di Sassonia, diretto a Canossa per ottenere la revoca della scomunica, accompagnato dal figlioletto Corrado e dalla moglie Berta, figlia di Adelaide, Marchesa di Susa. “Arrigo scese tutto a piè, ma sovente dava stramazzi sul ghiaccio e smucciato a un tratto, faceva scivoloni crudi e tombulate che tutti gli scerpavano i panni addosso”.
Berta, spaventata, è fatta scendere dalla slitta sulla quale è stata trainata, alla sommità del Colle, da Lanslebourg e da quei giovani irsuti avvolta in una pelle di bue, stretta da un legame fatto di salici intrecciati e strisce di cuoio. In un'altra, allo stesso modo, accomodano il bambino e li assicurano entrambi a due corde ciascuno: con le une li trascinano sulla neve, con le altre, da dietro, ne frenano, all'occorrenza, la corsa.
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Nel 1379 Amedeo VII, detto il Conte Rosso, il 15 novembre è alla Ferrera dove, tra l'altro, acquista 5 paia di calzettoni e “gambali di drappo”. Il mattino del 16 parte accompagnato da 18 Marrons. Il trasporto del vasellame e dei suoi arnesi da giostra sono invece affidati a un certo Jean Brutin di Lanslebourg.
Nel 1440 Margherita di Savoia, figlia del conte Lodovico, parte da Torino il 10 ottobre per raggiungere Ginevra, dove risiede la Corte Sabauda. Il 12 sono alla Ferrera dove fanno scorta di candele di sego: vengono tenute accese tutta la notte per paura dei ladri. Alloggiano all'albergo del Montone e i 27 cavalli della spedizione, non potendo essere tutti sistemati nelle sue stalle, sono distribuiti in quelle del Sant'Antonio e dell'Angelo, presso cui si fa anche provvista di vino e cibarie. Un Marron è spedito a Lanslebourg affinché faccia preparare le slitte alla Ramasse, dove inizia la discesa verso la Maurienne, mentre 28 servitori sono rimpiazzati con 46 Marrons, adibiti, oltre al trasporto della lettiga e di una parte del bagaglio, anche a quello di una culla, di una gabbia di uccelli, a tenere per il freno i cavalli e a sorvegliare, nei passi più difficili, che non accada nulla. Partono il 13 ottobre, si fermano alle Tavernette, a nord-ovest dell'ospizio, e scendono con le slitte a Lanslebourg.
La strada al colle del Moncenisio in una foto d'epoca.
Nel 1476 la Duchessa Jolanda, reggente e tutrice del figlio Filiberto I, decide di unirsi al Duca di Borgogna, Carlo il Temerario, in guerra con gli Svizzeri. È accompagnata da 23 dame, da uno stuolo di cameriere, dallo scudiere Ugonino di Montfalcon e dai cinque figli, due femmine e tre maschi, tra cui il Duchino undicenne. Partono il 12 febbraio, il 14 arrivano a Novalesa dove si affidano a 87 Marrons. La duchessa con le figlie vengono issate su robustissimi muli provenienti da Lanslebourg: se i Marrons di Novalesa sono ritenuti i migliori, così è per i muli di quel paese. Salgono alla Ferrera, affiancati dai Portatori, pronti a qualsiasi soccorso lungo i burroni della Cenischia. Il viaggio è lento a causa delle lettighe che si è voluto usare per i principini: i Marrons si oppongono fermamente all'uso per il resto della traversata.
Nel corteo c'è il costruttore Giovanni Monier, maestro dei lavori del castello di Rivoli che, con due garzoni, si adopera a fabbricare tre casse con cui sostituirle. Al mattino del 16 tutto è pronto: i tre piccoli Monsignori sono adagiati in esse, ciascuna è trasportata a spalle da quattro Marrons, seguiti da altrettanti per dare loro il cambio. Le cavalcature su cui è montata tutta la corte sono condotte a mano dai mulattieri, accanto alla contessa camminano quattro Marrons, le principesse ne hanno, ognuna, due ai lati e le altre dame uno. Altri quattordici sono di scorta ai muli in caso di pericolo. Alla sommità del colle trovano le slitte, “pour ramassier”, trascinate su da Lanslebourg con i buoi. Presovi posto discendono fin presso Termignon, dove pernottano.
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Nel 1581 transita per la Valle, nel suo viaggio di ritorno in Francia, il celebre Montaigne in mediocri condizioni di salute. La cronaca del suo viaggio è contenuta nel “Journal de vojage en Italie”. Il 1 novembre è a Susa, “castelluccio popolato d'assai di case. Io sentiva un gran dolore al ginocchio dritto, il qual dolore mi aveva durato assai giorni ma andava tuttavia aumentando. Le osterie sono il meglio che in altri lochi d'Italia, buoni vini, pane cattivo, molto a mangiare, albergatori cortesi”. Giunto nello steso giorno alla Novalesa scrive ancora: “locai lì otto marroni i quali mi portassero in sedia fin alla cima del Mont Senis, in parte a cavallo e in parte su una lettiga trasportata da quattro uomini che davano il cambio. Mi reggevano sulle spalle, chè la salita dura due ore: sassosa e malagevole per cavalli che non vi siano usi, ma per il resto senza pericoli ne difficoltà... non andate incontro ad alcun precipizio né ad altri rischi, salvo quello d'inciampare.”
La portantina è una bussola, chiusa da vetri, il compenso dei Marrons è di due scudi. Inizia la discesa, che da sola costa un testone d'argento, su una slitta guidata a mano: è un piacevole diversivo senza pericolo alcuno. Felice pernotterà a Termignon dopo essersi rifocillato con trote e eccellenti vini novelli e vecchi.
Vallone del Moncenisio: il lago, l'Ospizio e le montagne che lo dominano. Incisione Horace de Saussure, 1796.
Nel 1616 il famoso poeta Giovan Battista Marino, chiamato in Francia dalla Regina Maria de Medici, scrive da Parigi una lettera all’Accademico Umorista Arrigo Falconio, in cui giudica argutamente i Marrons del Moncenisio. “Fui la mattina a desinare a Santo Ambrogio dove almorzai (feci colazione) alla spagnola a cavallo. La sera giunsi alla Novalesa molto stracco”. Il giorno seguente baratta il cavallo con una mula e gliene viene offerta una di “vista babbuina” (strabica), con una tosse secca intramezzata da qualche starnuto, e con più anni della Sibilla. Si leva anche la bufera. Alla fine giunge alla cima del Colle dove “ha una razza di gente che chiamano marroni – credo che sien buoni cotti alle bragie! –, fastidiosi, importuni, che vogliono servirti, vogli o crepi... Costoro hanno i talloni di ferro, e con un certe loro carrette che di dicono lese strisciano in giù che paiono portati da cento diavoli. Quivi mi venne voglia di farmi ramazzare, ma nella calata, circondata non di precipizi ma d'abissi, dissi più volte l'orazione di San Giulano” (ritenuta una preghiera recitata dai viaggiatori quando erano in pericolo).
L'Abate Giovannni Rucellai, membro della delegazione toscana inviata a Parigi con l'incarico di presentare a Luigi XIII le condoglianze per la morte della madre, Maria De Medici, avvenuta il 3 luglio 1642, è probabilmente colui che ha descritto con più simpatia, nelle pagine del diario della spedizione, l'oscuro ma meritorio lavoro dei Marrons. “Udita la Santa Messa, e fatta la provvisione di sei sedie su certe stanghe, per prezzo d'una doppia e mezzo l'una , con sei di quei marroni per sedia, portando però a due per volta con certe cigne, si cominciò a salire”. Il resto della comitiva procede chi a cavallo, chi su muli e chi a piedi “con qualche poco di vento, e con diaccio e neve grandissima, diacciando a ciascheduno tutte le membra, e in particolare il naso e la barba. La salita è grandissima per più di due leghe, e in molti luoghi si camminava su per una scala, con gran precipizj sotto i piedi, che facevan temere della sicurezza di quei marroni, che veramente non mettevano mai piede in fallo, mutandosi fra di loro con gran leggiadria e destrezza, portando sotto le scarpe alcuna volta certi ferri con quattro punte, che si chiamano ramponi, e se gli legano con certe corde, per poter essere più sicuri per camminar sopra la neve diacciata”.
Dopo due miglia giungono ad alcune case sepolte nella neve: la Ferrera. Un'altra lega e eccoli a “una capanna, detta la Gran Croce, dove smontati di sedia ed entrati dentro, per il baglior della neve non si vedendo lume, ci riscaldammo un poco ad un piccolo fuoco che ivi era acceso, e licenziate le sedie, si rimontò a cavallo per il piano detto di San Nicolò, su la sommità del monte che distingue il Piemonte dalla Savoia..., seguitando tutti a cavallo, andando bene avvertiti di non uscire un palmo dalla pesta, perchè subito si affondava e sommergeva nella neve”.
Le osterie del Moncenisio in una foto d’epoca.
A altre due miglia l'osteria della Posta, a sinistra si vede il lago, e si arriva al luogo dove si inizia la discesa verso Lanslebourg, dove sono preparate le ramazze per tutti. “In queste, dunque si fece con velocità indicibile vicino a quattro miglia di calata in meno di mezzo quarto d'ora, che per salirla ci vuol vicino a due ore. Il cammino è precipitoso, e quasi spaventevole nel principio, avendo alcune volte a svoltare su la punta d'un precipizio ben fondo; ma essendo assicurati, a poco a poco ne godemmo in estremo: bellissimo era il tempo e il sole, e vaga cosa veder tanto numero di ramazze che quasi arrivavano a trenta, in distanza proporzionata l'una dall'altra, per non urtarsi, e camminavano così quiete che parevano animate. Si arrivò così felicemente a Lanslebourg.”
“Dopo desinare, per essere arrivati a buon ora e per godere bel tempo, alcuni volson di nuovo farsi ramazzare, si che presi alcuni muletti e fatta la montata in poco più di due ore, in mezzo quarto d'ora tornarono da dove si era partiti”.
Il Millin, cavaliere della Legion d'Onore, diplomatico e uomo di studio, che valicherà il Moncenisio nel pieno dell'inverno 1811, ricorderà di un inglese che ha trascorso tre settimane a Lanslebourg “pour se faire ramasser”, concedendosi questo piacere tre volte al giorno. Come lui e il Rucellai altri riportano che non era raro che qualche passeggero chiedesse di ripetere la discesa per divertimento. Fra di essi il poeta Nicolò Madrisio che nel 1718 mette in poesia l'ebrezza della velocità nel valicare il Moncenisio con le ramasse.
La vecchia strada al colle del Moncenisio, oggi sommersa.
Durante il XVII secolo e ai primi del 1700 si parla di Marrons anche al Valico del Monginevro. Gli abitanti di Clavières sono dediti alla discesa in Ramasse di viaggiatori, bagagli e carrozze smontate: si parte dalla ripida pendenza al di sopra della cappella di San Gervaso. La storia locale racconta delle esitazioni di Luigi XIII quando, accompagnato dal Richelieu e dal Maresciallo de La Meilleraie, deve scendere a Oulx, dove risiederà, dal 1 al 6 marzo 1629, presso Etienne De Ferrus nella vecchia casa del De la Cazette: affinchè decida di affidare la sua vita al valligiano che frena la ramasse è necessario che un suo cortigiano compia lui la discesa per ritornare su e assicurargli che non vi è pericolo alcuno.
Marquis de Pesay, nel 1894, nel suo “Description des Vallées des Ghrandes Alpes” descrive i passaggi al Colle nel 1700: sovente si fanno transitare grossi cannoni facendoli salire con imponenti argani e discendere su slitte. Gli abitanti di Cesana e Monginevro sono specializzati in queste manovre, ma in realtà c'è un solo punto difficile per la discesa: tra la Cappella di San Gervasio e il ponte in legno, non più di cento braccia di lunghezza.
Nel 1700 un cocchiere sale da Cesana a Clavières con la carrozza attaccata a due cavalli, affidandosi al solo aiuto di qualche paesano che spinge e sostiene le ruote, di tanto in tanto, per alleviare la fatica dei quadrupedi. Questo avvenimento è così straordinario che gli abitanti di Clavières lo incidono sui muri della cappella. L'anno seguente un carrettiere di artiglieria discende con la sua carretta attaccata a sei cavalli.
L'usanza però è quella di smontare le carrozze, caricarle o trainarle sulle ramasse. Queste trasportano i viaggiatori, quando vi è neve, fra il Monginevro e Cesana, alla Vachette e anche a Briançon. Sono generalmente condotte da due donne: una si mette al timone, l'altra spinge da dietro. Percorrere la distanza, a cavallo, dal Monginevro a Cesana, una lega, necessita di almeno un'ora e mezza, in ramasse una mezz’ora, e costa all'incirca dai dodici ai quindici soldi per lega.
La piana di San Nicolao e i tornanti della strada napoleonica.
Edward Gibbon, capitano delle milizie dello Hampshire, con l'amico e coetaneo William Guise inizia la salita al Colle del Moncenisio il 25 aprile 1764: “io aveva quattro portantini che si davano il cambio e che hanno fatto cinque leghe di strada attraverso una grande montagna, fermandosi una volta sola”. Il Re ha ormai stabilito la tariffa di cinquanta soldi per portatore: “si contano 120 portatori a Lannebourg e 150 alla Novalesa”.
In definitiva è il solo mestiere che possono svolgere fra queste montagne per sette mesi all'anno. “Loro stessi mi hanno detto che abbrevia la vita. Tuttavia su quattro portatori ve ne era uno che aveva cinquantadue anni, ancora vigoroso e che seguiva questa vocazione da ventiquattro”. C'è il periodo delle valanghe e il Gibbon ricorda: “non è senza esempio che alcuni uomini abbiano vissuto parecchio tempo sotto la neve, i portatori hanno cura di munirsi di pane per non morire di fame, prima che possano venire a tirarli fuori”. A Novalesa ricorda d'essere stato assediato da un buon numero di persone che si facevano pagare i più piccoli servizi: “Avevo dato un luigi di mancia ai miei portatori, parevano soddisfatti per la generosità quasi eccessiva ma un istante dopo uno di loro venne a chiedermi qualcosa per avermi portato i guanti.”
Napoleone attraversa per la prima volta il valico nel 1797 in viaggio da Milano a Parigi. Con decreto del 20 febbraio 1801 ordina la costruzione di una grande strada totalmente nuova: si stabilisce l'abbandono del percorso Ferrea-Novalesa a favore del tracciato che da Bar scende a Giaglione e a Susa. Vengono fondate 24 case di ricovero. Al decimo km da Susa (Molaretto) un vasto fabbricato, costruito accanto alla strada, serve per il cambio dei cavalli/muli adibiti ai trasporti.
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Nel 1809 la grande strada viene aperta alla circolazione, partendo dai 1.400 m. di altitudine di Lanslebourg, toccando i 2.080 al Moncenisio, scendendo ai 500 di Susa: è la fine del lavoro per i Marrons e l'inizio del declino economico per la Val Cenischia.
Uguale sorte al Monginevro: la costruzione, voluta sempre da Napoleone, della “Route d'Espagne en Italie”, pone anche qui fine ai servigi dei Portatori e agli introiti che ne venivano: la comunità ritroverà un certo benessere solo all'inizio del 1900 con lo sviluppo del turismo legato agli sport della neve.