Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Il laboratorio di restauro del libro dell'Abbazia di Novalesa vide la luce nel 1973, grazie ad un nuovo insediamento dei monaci benedettini all'interno del monastero novalicense, e da allora è al lavoro per restituire all'antico splendore materiali librari e archivistici, antichi e moderni, che necessitano di interventi di recupero. Mani sapienti si occupano di ridare il giusto valore a pagine del passato che custodiscono la storia del territorio e dell'intera penisola italiana.
I restauratori di allora (don Corrado Valerio, ormai scomparso, e don Daniele Mazzucco), già impegnati nel restauro librario, avviarono immediatamente collaborazioni di alto livello che consentirono, nel tempo, di dedicarsi a codici membranacei miniati, ad antichi documenti su pergamena, ma anche di occuparsi dei primi incunaboli stampati in Italia, oltre che di manufatti in carta e pelle.
Con professionalità, mani sapienti hanno restituito il fascino e l'importanza a beni segnati dall'avvicendarsi del tempo. Tra di esse, anche quelle di Flavio Marzo, che diede il il suo prezioso contributo tra le mura dell'Abbazia fino al 2004 ed attualmente è direttore del laboratorio di restauro di materiale librario e archivistico all'Università di Cambridge.
Dal 2006 il restauro è interamente affidato alla competenza del condovese Valerio Capra, classe 1979. Forte di un diploma liceale all'artistico, della frequenza di due corsi all'Accademia di belle arti (pittura ed arti visive) e di un corso triennale regionale, Valerio nel 2009 ha ottenuto il diploma di collaboratore di restauro di beni librari ed artistici. All'Abbazia ha messo a frutto le sue conoscenze, e negli anni ha maturato una sempre più grande competenza e professionalità.
Il valore del patrimonio custodito nell'Abbazia di Novalesa è evidente anche nel romanzo "Il nome della rosa" di Umberto Eco, nel quale viene citata la fornita biblioteca custodita nel convento valsusino. Ma, tra quelle mura, Valerio si occupa in prevalenza di restauri di beni di proprietà esterne. "Lavoriamo principalmente con enti pubblici, quali la biblioteca reale e quella nazionale, ma anche con archivi diocesani e parrocchiali. I privati sono in numero molto esiguo, ma ci sono anche quelli".
Quella del restauratore è un'occupazione interessante e ricca di incognite, che consente anche preziose scoperte: "Abitualmente il lavoro è standard, ma ogni tanto capita di incappare in qualche curiosità. Ad esempio, smontando un libro, mi è successo di trovare al suo interno un codice miniato del XIV secolo utilizzato come materiale di costruzione. Oppure, di scoprire che nella stratificazione della copertina il cartone fosse in realtà composto da tanti fogli manoscritti incollati fra di loro".
Valerio Capra al lavoro
Le prime testimonianze di inteventi di restauro risalgono alla fine del XIX secolo. La Parola di Dio, infatti, nel corso dei secoli, passò dalla trasmissione in forma orale a quella scritta. La certosina trascrizione dei codici in ambito monastico permise di diffondere il verbo senza timore di dimenticanze o variazioni sul tema, rendendo tuttavia necessaria la preservazione dell'integrità materiale dei documenti. Tale compito venne affidato agli artigiani del tempo, che si ingegnavano ognuno a suo modo, senza linee guida comuni.
Fu soltanto dagli anni '30 che il restauro si diffuse anche in Italia, seguendo direttive aventi una modalità scientifica dettate da Parigi, che divenne punto di riferimento per tale attività. Negli ambienti monastici, tuttavia, il restauro approdò una decina d'anni dopo.
Il monastero di Novalesa apprese il metodo di conservazione dal monastero di Praglia, nel Padovano, che nel 1955 aveva a sua volta seguito l'esempio di quelli di Grottaferrata e Monte Oliveto.
Supportato dalla Regione Piemonte che ne ha consentito l'allestimento donando parte del materiale e degli strumenti necessari, il laboratorio novalicense segue un metodo di restauro non invasivo. Una scelta, tutelata dall'Ufficio Centrale per i Beni librari del Ministero per i Beni Culturali, che consente di recuperare e ripristinare le parti danneggiate dei documenti evitando un'eccessiva trasformazione in favore del maggior mantenimento possibile dell'integrità originaria.
Volume a stampa con legatura in pelle del XVI secolo prima e dopo i restauri.
Al laboratorio di restauro di Novalesa vengono messi in pratica interventi di grande precisione, dalla legatura antica al rattoppo manuale con carta giapponese. Prima che ci venga messa mano, ogni testo è oggetto di accurata analisi, per individuare la sua composizione, le malattie e i danni riportati. Dopodiché si procede alla pulitura e lavaggio, al rincollo ed al rattoppo, e vengono posti in essere interventi di rinforzo e di restauro meccanico. Quindi ci si occupa di rimpaginatura di capitelli e di successivo montaggio, rispettando il più possibile la conformazione originaria del bene.
Pur lavorando sul passato, il laboratorio di restauro è molto attento al presente ed alle nuove tecnologie: lo dimostra il recente approdo sul web mediante l'attivazione di una pagina Facebook sulla quale vengono condivise sia le novità che le testimonianze di un lavoro particolarmente utile e prezioso.
Un metodo attuale per mostrare, anche al di fuori delle mura benedettine, il sapiente contributo fornito da chi, quotidianamente, si prende cura dell'importante patrimonio culturale italiano.
Registro d'archivio manoscritto in carta del XVI secolo prima e dopo i restauri.