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Novalesa è un comune della val Cenischia, valle tributaria in sinistra della val di Susa, ai piedi del Colle del Moncenisio.
Il Comune ha un’altitudine di 828 metri, è costituito dall’insieme del Capoluogo e delle frazioni S.Anna, Villaretto, San Rocco, S.Maria, Ronelle e S.Pietro e deve la sua fama internazionale all’abbazia benedettina dei Santi Pietro e Andrea.
Novalesa, interno della Cappella di S. Eldrado.
Sorta nel 726 per volere del governatore franco Abbone, l’abbazia controllava la strada di Francia e il valico del Moncenisio, ed era un avamposto dei Franchi versi il confine con il regno dei Longobardi. L’enorme potere dell’istituzione può essere letto attraverso la ricchezza delle dotazioni e nel diritto, concesso da Carlo Magno nel 773, di eleggere liberamente l’abate.
All’inizio del X secolo (tra il 906 e il 926) i monaci abbandonarono l’insediamento e si rifugiarono a Breme, in Lomellina, per timore delle scorrerie saracene; tra le nefaste conseguenze di tale evento vi fu la dispersione della celebre biblioteca.
La metà dell’XI secolo vide il ritorno dei Benedettini e il ripristino del complesso, così come attesta la decorazione ad affresco, situabile tra il 1096 e il 1097, della riedificata cappella di Sant’Eldrado, abate dall’825 all’840, secondo il Chronicon Novalicense.
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La chiesa abbaziale, dopo l’abbandono del X secolo, venne rimaneggiata più volte; le attuali linee barocche si devono alla progettazione di Antonio Bertola (1710-1718). Dopo la soppressione napoleonica e l’insediamento di uno stabilimento idroterapico e poi di un convitto, l’abbazia fu acquistata dalla Provincia di Torino e affidata ai Benedettini Sublacensi nel 1973. L’intero complesso è stato sottoposto a intense campagne di restauro e dal 2009 ospita il Museo Archeologico.
Domina il centro abitato di Novalesa la chiesa parrocchiale di Santo Stefano. L’altare maggiore reca lo stemma di Giovanni Battista Isnardi de Castello di Caraglio, abate commendatario dell’abbazia dal 1685 al 1728, e racchiude il dipinto raffigurante il Martirio di santo Stefano, attribuibile al pittore di Cherasco Sebastiano Taricco. Tra le opere d’arte più antiche custodite nella parrocchiale si citano l’urna reliquiario di sant’Eldrado, oreficeria di argentiere mosano-renano del XII secolo, e il celebre polittico proveniente dall’abbazia, opera di Antoine de Lonhy e collaboratori, ritenuta di tardo Quattrocento.
Nella chiesa si conservano inoltre cinque dipinti donati nel 1805 da Napoleone Bonaparte all’ospizio del Moncenisio: la Deposizione attribuita alla bottega cremonese di Giulio Campi (XVI secolo), l’Adorazione dei Magi di scuola del Rubens, l’Adorazione dei pastori di François Lemoyne (1721), la Crocifissione di san Pietro, copia antica dell’originale caravaggesco del 1601, la Deposizione di Cristo dalla croce, replica da un originale di Dirck van Baburen (XVII secolo).
Altri arredi sacri databili tra il XVI e il XX secolo sono inoltre ospitati nella cappella della Confraternita del Santissimo Sacramento – adiacente la parrocchiale e sede del Museo d’Arte Religiosa Alpina (parte integrante del Sistema Museale Diocesano).
La Casa degli affreschi, recentemente recuperata dal comune, è un'ex locanda medioevale che presenta in facciata affreschi con gli stemmi delle regioni europee di provenienza e di destinazione degli avventori della locanda, punto tappa della Via Francigena.
Sin dal Medioevo infatti i viaggiatori che volevano attraversare il Colle del Moncenisio venivano assistiti dai marron, guide che fungevano anche da portatori.
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La strada odierna, che da Susa si inerpica fino al colle per poi ridiscendere a Lanslebourg, segue fedelmente, ad eccezione della zona del lago, il tracciato dell’ottocentesca strada napoleonica:
lunga 37 chilometri prevedeva un’efficiente organizzazione che ne garantiva la manutenzione e l’assistenza per i viaggiatori. La sua costruzione procurò l’isolamento della Val Cenischia e i marron persero la loro funzione.