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L'abbazia dei SS. Pietro e Andrea della Novalesa è costituita da un insieme di edifici risalenti ad epoche e fasi costruttive diverse. Fu fondata nel 726 da Abbone, aristocratico di famiglia gallo-romana governatore della Moriana e di Susa, allora possedimenti del regno dei Franchi. Abbone affidò l'abbazia ai benedettini e la dotò di ricchi possedimenti fondiari nella Francia sud-orientale e nelle valli di Susa e del Cenischia.
L'atto di fondazione dell'Abbazia del 726 è il documento più antico dell'Archivio di Stato di Torino, ed è stato seguito dal Testamento di Abbone, conservato in copia a Grenoble.
Posta sulla strada del Moncenisio, da piccola fondazione quale era, assunse rapidamente autorità religiosa, prestigio culturale e ricchezza economica. Abbone morì nel 739 e lasciò quasi per intero alla nuova abbazia il suo immenso patrimonio fondiario, con esenzioni per tutta una serie di persone che lavoravano per essa. La disciplina era rigida e gli approvvigionamenti a carico delle corti e dei villaggi soggetti al monastero. Il tesoro raccolto dagli abati era enorme e ricchissima era la biblioteca.
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Dopo la scomparsa di Abbone il monastero visse per un secolo sotto la protezione della dinastia carolingia poiché nel 773 Carlo Magno attraversò il colle del Moncenisio chiamato da papa Adriano I per sconfiggere i Longobardi attestati sulla linea di difesa delle Chiuse, dette anche "Clusae Langobardorum".
Grazie all'aiuto dell'Abate Frodoino Carlo riuscì ad aggirare le fortificazioni longobarde sul percorso oggi conosciuto come "Route Francorum" (da non confondersi con la via Francigena). Si attribuisce lo stratagemma della discesa alle spalle dei Longobardi a un misterioso diacono Martino, che gli svelò il cammino.
Carlo soggiornò a lungo alla Novalesa e dopo la battaglia di Pavia suo figlio Ugo ne divenne egli stesso abate. Nell'814 Lodovico il Pio fondò l'Ospizio del Moncenisio, che ricevette alcuni beni dell'abbazia che si trovavano sull'altopiano.
Alla morte di Ugo nell'822 Eldrado fu nominato abate del monastero, e nella prima metà del IX secolo l'abbazia raggiunse l'apice del suo sviluppo.
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Nel 906 i Saraceni, provenienti da Le Garde Frenet nel Massif des Maures in Provenza, portarono scompiglio e distruzione in Val Susa e Val Cenischia, provocando così il crollo improvviso della potenza novaliciensa. I monaci superstiti si rifugiarono a Torino presso la chiesa di Sant'Andrea (nei pressi del santuario della Consolata) e più tardi a Breme in Lomellina, dove trasferirono la biblioteca.
Si pensi che l'autore del "Chronicon novalicense" afferma che all'epoca della distruzione del monastero i monaci possedevano una biblioteca di 6.000 volumi, cifra forse esagerata ma che indica l'esistenza di una biblioteca quali pochi altri centri dell'impero franco potevano vantare.
La Novalesa venne ricostruita sul finire del X secolo dal monaco Brunigo, monaco di Breme ed eretta in priorato. All'interno della congregazione si sviluppò una vera e propria autonomia e una solida economia: i monaci infatti, sul finire del XII secolo, nominavano essi stessi il priore che l'abate di Breme poi confermava.
In seguito l'abbazia conobbe alterne vicende: a partire dalla metà del XV secolo fu retta da amministratori e poi dal 1480 da abati commendatari della famiglia Provana di Leinì. Nel 1646 passò ai Cistercensi, fu soppressa per le leggi napoleoniche nel 1802, tornò poi ai Benedettini fino al 1855, quando con la soppressione degli Ordini Religiosi, dovuta alla legge Siccardi (meglio Rattazzi-Cavour), passò in proprietà privata e venne trasformata prima in Istituto Idroterapico e poi nella sede estiva del Convitto Nazionale Umberto I.
Cappella di Sant'Eldrado, interno.
Dall'inizio degli anni '70 l'Abbazia è tornata ad essere sede di una comunità di monaci benedettini provenienti dall'isola di San Giorgio di Venezia, e per circa un decennio un ampio programma di restauro ha interessato varie parti del complesso.
L'intero complesso consta oggi della chiesa abbaziale, del chiostro e di quattro cappelle sparse nel parco, risalenti ai secoli X-XIII. Il chiostro conserva ancora due lati porticati, il campanile è settecentesco.
La chiesa abbaziale, edificata nelle sue forme attuali nel 1715 su progetto di Antonio Bertola, è a navata unica con quattro ampie cappelle laterali e presbiterio absidato. All’interno, sulla parete sinistra della navata vi sono rresti di affreschi dell’XI secolo, mentre un altro ciclo risalente al XV secolo decora parte del coro.
Sulla sinistra si trova la cappella di Santa Maria, un semplice edificio a navata unica con abside che contiene due affreschi quattrocenteschi.
La cappella di San Michele, che si trova oltre il corpo principale dell'abbazia, ha una struttura molto simile, mentre la vicina cappella di San Salvatore ha abside semicircolare.
L'edificio più notevole del complesso è però la cappella di Sant'Eldrado, nel cui interno è stata ritrovata una tomba a cassa in muratura, in parte scavata nella roccia, che potrebbe essere identificata con la tomba del santo.
La cappella mostra all'interno uno straordinario ciclo di affreschi, che ricoprono l'intera superficie muraria. Sulla controfacciata vi è una raffigurazione del Giudizio Universale, mentre la prima campata è dedicata alle storie di Sant'Eldrado; nel catino absidale, di notevole interesse, spicca un maestoso Cristo Pantocratore tra gli arcangeli Michele e Gabriele e i santi Nicola ed Eldrado.