Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Delle vicende politiche del 1860, relative alla cessione della Savoia alla Francia di Napoleone III, si può supporre che ben poco sapessero i valligiani dei due versanti, in Piemonte e in Savoia. Di sicuro la divisione intervenuta tra i due territori e l’ostacolo apportato dal confine di Stato, segnarono un cambiamento brusco nella loro vita, ben più percepibile nelle sue dirette ricadute, più di altri aspetti del processo di unificazione italiana.
Fino ad allora, infatti, i rapporti tra le due popolazioni, che avevano usi, tradizioni e anche patois similari, erano avvenuti all’interno di un medesimo Stato; dal 1860, invece, «passà lou còl», andare di là, diventò più complicato: significò varcare una frontiera, andare all’estero. I lavoratori stagionali, divennero emigranti in un Paese straniero, i commercianti spesso si trasformarono in contrabbandieri.
Un gruppo di contrabbandieri sulle Alpi.
Tutto ciò che per secoli era stata una ordinaria consuetudine, diventò una fonte di difficoltà: divenne più complicato andare alle fiere, per comperare o vendere i bovini, divenne più complicato fare affari, divenne più complicato andare a lavorare di là, o sposarsi, come avveniva di frequente tra abitanti di villaggi al di qua e al di là delle montagne. […]
Il nuovo Confine di Stato, come scriveva il professor Gaston Tuaillon in “Réflexion sur les deux tracés établis en 1860 et en 1947, pour la frontière franco-italienne” [“Effepi”, 1993], andò ad inquinare i buoni rapporti per lo sfruttamento dei pascoli e delle acque, creando conflitti che si trascinarono per decenni:
«Stabilita in maniera geografica lungo la linea dello spartiacque, questa frontiera non poteva seguire tutte le intersecazioni delle proprietà e dei diritti collettivi che i “montagnards” confinanti avevano ripartito sui due versanti, senza far caso se le acque scendessero dalla montagna verso l’uno o l’altro capoluogo amministrativo (…)
Pascoli al Moncenisio.
I bei pascoli del pianoro del Moncenisio, sui quali dominava in maniera maggioritaria e senza dubbio dominante la comunità di Lanslebourg, erano stati da tempo oggetto di litigi e contenziosi, anche all’epoca in cui Savoia e Piemonte erano amministrati dallo stesso potere. Tra il 1815 ed il 1860, non una frontiera, bensì un semplice limite amministrativo era stato stabilito sulla linea dello spartiacque, per separare la giurisdizione di Susa da quella di Saint-Jean de Maurienne.
Tra il 1820 e il 1860, l’amministrazione del pianoro era stata assegnata a Susa (…), ma i Mauriennais, proprietari amministrati dai loro vicini, si lamentavano, per esempio, che la strada fosse tenuta meglio dalla parte di Susa. (…)
Tutto ciò non impediva ai Comuni piemontesi e savoiardi, da una parte e dall’altra del Moncenisio, di costituire quella che gli etnologi definiscono appunto una “zona intermatrimoniale”.
Nel 1860 venne insediata la frontiera. Là dove vi era un’intesa amministrativa, i “montagnards” confinanti continuarono a vivere in accordo, compensando le eventuali diatribe con il beneficio di qualche frode per mezzo del contrabbando.
Ma, nonostante l’articolo 1 della “Convention de délimitation” del 7 marzo 1861 disponesse che la mutazione dei confini non avrebbe dovuto portare alcun pregiudizio ai diritti di proprietà dei piccoli proprietari («Il est entendu que la fixation de souveraineté, ne portera aucune atteinte aux droits de proprieté des particuliers, des Communes, des Établissement publicas, des Pays respectifs»), proprio sul Moncenisio la frontiera di Stato alimentò il contenzioso sui “droits de proprieté de l’herbe” (diritto di proprietà dell'erba), e creò situazioni complicate.
Per chi ha delle greggi o delle mandrie, l’erba è un bene preziosissimo: in questo caso, l’erba nata sui pascoli in territorio piemontese, cioè italiano, era ritenuta di proprietà savoiarda, cioè francese. Come impedire, a 2.000 metri di altitudine, che una mandria italiana, che si trovava in effetti a casa propria, non mangiasse l’erba francese?
Ma la delimitazione del confine, creò anche un'altra occasione di contrasto. Chi alleva bestiame, sa che nell’alimentazione di esso un elemento importante è il sodio, che può essere fornito attraverso la somministrazione del sale. Ma le mucche francesi, mangiando in estate dell’erba francese in territorio italiano, dovevano consumare del sale francese o del sale italiano?
La questione, che può sembrare futile, in realtà non lo è, per le sue implicazioni di natura fiscale. Il sale era un genere di privativa, e Casa Savoia aveva ricavato molte entrate, per secoli, dal monopolio esercitato sul sale. Dopo una certa tensione diplomatica, si arrivò a una soluzione, grazie ad un passo indietro dell’Italia.
Essa, accordatasi con il Quai d’Orsay, concesse una deroga, permettendo ai bovini della Savoia di consumare sale francese in territorio italiano. Naturalmente, si può immaginare che, approfittando di questo spiraglio, il contrabbando abbia permesso il consumo di tale sale, esente da imposte, a ben altre bocche che a quelle delle mucche savoiarde».
Tratto da “Parole di Piemonte, 1861-2011”. “I Tascabili di Palazzo Lascaris”.