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Il Monte Chaberton sorge sul contrafforte che dalla Punta Rochers Charnieres (3067 metri) si dirama verso sud est, dividendo i due valloni di accesso del Rio Secco a ovest e di Fenils a est. La sua figura possente e severa, si eleva ad una quota di 3131 metri, a strapiombo sugli abitati di Cesana e Claviere e a controllo del Monginevro.
Questa cima, e il Forte costruito sul finire del 1800, sono sempre stati circondati da un alone di mistero e di riservatezza, come dimostrato anche dalla mancanza di pubblicazioni che, fino agli anni '40, ha caratterizzato l'informazione diretta ai turisti, agli alpinisti e agli istituti militari di istruzione di livello superiore.
È interessante sottolineare quanto riferisce il generale Edoardo Castellano nella sua opera esauriente ed unica sull'argomento, Distruggete lo Chaberton!, a cui rimandiamo per eventuali approfondimenti: l'Istituto superiore di guerra pubblicò nel 1939-40 degli appunti dal titolo Lo Scacchiere alpino italo-francese. In 12 fascicoli, per un totale di 720 pagine, al forte dello Chaberton sono dedicate soltanto nove righe!
Da parte francese invece non si è mai persa di vista la costruzione del nostro forte, di cui si conoscevano esattamente la posizione, la lunghezza della linea retta che unisce il centro di Briançon con il forte (11.640 metri) e l'inclinazione sull'orizzonte di 7°. È evidente quindi che l'Ufficio informazioni dello Stato Maggiore francese esercitasse un controllo spionistico regolare e sistematico al fine di organizzare un'eventuale controffensiva in caso di attacco.
La storia della “batteria dello Chaberton”
Dopo l’ingresso dell'Italia nella Triplice Alleanza (1882) la Francia venne ad assumere il ruolo di potenziale avversario. Così nel 1898 vennero iniziati i lavori per la costruzione della Batteria dello Chaberton, con la spianatura e il livellamento della vetta sul versante francese. Su quello italiano fu creato un gradino di 12 metri alla cui base venne ricavato un ampio piazzale, avente lunghezza da 115 a 130 metri e larghezza da 20 a 31, sul quale sarebbero sorte le otto torri con i cannoni.
Le prime opere che si resero necessarie per il trasporto del materiale di costruzione furono la teleferica e la strada. La teleferica collegava Cesana (dove ora c'è la casa dell'ANAS, prima dell'ingresso in paese) con la vetta, senza stazione intermedia. Fu una delle prime teleferiche costruite in Italia con quella misura (dislivello 1785 metri; lunghezza orizzontale 3325 metri; lunghezza sull'inclinatura 3783 metri, pendenza media 53,6 per cento), e si rammenti che neppure quella moderna degli impianti sciistici Sestriere-Fraiteve ha tali parametri!
Il punto debole dell'impianto era l’estrema vulnerabilità della stazione a monte, che faceva corpo unico con il forte: un attacco francese avrebbe dunque coinvolto anche la teleferica, come in seguito avvenne il 21 giugno 1940, quando uno dei primi colpi distrusse l’impianto.
Per quanto riguarda la strada carrozzabile, che unisce il fondovalle con la vetta, ci si servì di una mulattiera, realizzata nel 1891, che univa Fenils con il colle dello Chaberton e che scendeva sul versante francese fino a Charrière, nel vallone del Rio Secco. Venne perciò realizzata una carrareccia a mezzacosta, larga 2,50-3 metri con la pendenza che in alcuni punti supera il 22 per cento; da ricordare che in alcuni tratti la sede stradale venne interamente ricavata con lavori di mina per far saltare la consistente falda rocciosa (ad esempio Roccia Tagliata a 9,5 chilometri circa).
Per il trasporto delle bocche da fuoco, l'amministrazione militare utilizzò anche ditte civili, tra cui la ditta Valletti di Pra Claud (Fenils) che, nell'estate del 1906, impiegò 8 giorni per il trasporto del primo pezzo di un cannone.
La stazione di arrivo della teleferica.
La fase di approntamento si prolungò per circa un ventennio a causa delle vicende connesse con la storia nazionale italiana, il progressivo raffreddamento dei rapporti con la Triplice Alleanza, il conflitto italo-libico e la prima guerra mondiale, per la quale consistenti attrezzature, destinate al forte, furono inviate al fronte italo-austriaco. Gli otto cannoni già sistemati in vetta furono addirittura smontati e fatti affluire sul fronte del Piave (nello smantellamento morì un sottufficiale schiacciato dai 400 chilogrammi della bocca da fuoco, smontata a braccia).
Schematicamente il forte era così costruito: una costruzione in calcestruzzo parallelepipeda al cui interno vi erano camerate, depositi di munizioni, infermeria, magazzini, cucina; sul terrazzo della costruzione poggiavano le otto torri cilindriche sulle cui cupole metalliche che ruotavano a 360° vi erano i cannoni, mentre all'interno trovava posto un elevatore per il trasporto delle munizioni ed una scaletta per l'accesso del personale; varie gallerie in caverna, tra cui una scala con 184 scalini, lunga 72 metri che collegava il forte con la polveriera; un alloggiamento ufficiali a 80 metri di dislivello sotto il forte e un alloggiamento truppe 20 metri sotto.
Una ripida galleria scavata nella roccia portava al deposito munizioni, dove in brevi diramazioni erano sistemate le polveri e i laboratori per la confezione dei cartocci.
Leggendo l'elenco di tale organizzazione e attrezzature, unita alla posizione strategica e alla quota del forte, viene quindi naturale domandarsi: che cosa non ha funzionato in quella settimana di fuoco dal 10 al 21 giugno 1940?
La controffensiva francese
Le risposte possono essere molteplici, ma bisogna risalire ai preparativi che, con molta oculatezza, furono realizzati sul versante francese.
In posizione antitetica a Cesana, dall'altra parte del Monginevro, si ergeva lo sbarramento di Briançon, che aveva per obiettivo centrale il forte dello Chaberton. Congegnato secondo il concetto di linee successive di difesa trasversali alla vallata aveva al centro la piazzaforte di Briançon, che Vauban costruì nel 1700 ma che aveva subito un radicale potenziamento. L'antico château era contornato da tre linee di opere, disposte sulle alture intorno alla città.
La linea più esterna comprendeva i forti Janus e Gondran, la seconda linea comprendeva il forte dell'Infernet e numerosi appostamenti che scendevano verso la Durance raggiungendo il Monginevro, i forti di Salettes, Dauphin, Trois-Têtes, Randouillet e Croix de Bretagne, che costituivano la terza linea, il forte des Olives in valle di Nevache e la batteria Nôtre Dame de Neige, sull'altura ad ovest della città.
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Quello che non risultava ai servizi informativi italiani era la postazione sulle pendici sud del vallone di Cervières, a circa 5 chilometri a sud est di Briançon in zona compresa tra Poët Morand (Poët deriva dal latino Podium, poggio) e l'Eyrette, a quota 2000 circa. Questa comprendeva quattro mortai Schneider da 280 mm, destinati unicamente all'eliminazione dello Chaberton; per ragioni di segretezza venne tenuta inattiva dal 10 al 21 giugno, mentre nei giorni successivi fu utilizzata solo per interventi contro il forte. Quale diversità tra i servizi di informazione italiani e quelli francesi!
Nella settimana cruciale lo Chaberton, avvolto nella nebbia, dovette quindi rispondere alla cieca, senza il supporto di notizie e dati che consentissero di valutare la provenienza dell'offensiva, e persino il controllo aereo fu totalmente assente. Se a questa inefficienza dello Stato Maggiore italiano uniamo lo studio balistico delle armi usate sui due versanti, il mistero dello Chaberton si chiarisce.
Il mortaio Schneider calibro 280 mm, modello 1914, era un'arma duttile, caratterizzata da una traiettoria molto arcuata che consentiva di colpire posizioni a ridosso di ostacoli con un angolo di caduta di 50°. Al contrario i cannoni dello Chaberton erano bocche da fuoco che superavano i 22 calibri, davano luogo a traiettorie molto tese ed aderenti all'orizzonte ed erano conseguentemente più precisi.
I mortai francesi erano protetti dal costone che dal forte Gondran scende per l'Infernet e raggiunge Briançon: la batteria qui nascosta non poteva essere colpita da cannoni a tiro teso (condizione di cui gli artiglieri francesi erano al corrente) mentre con tutta tranquillità poteva continuare ad eseguire tiri di misurazione, coadiuvati dagli osservatori opportunamente dislocati.
Da parte italiana, inoltre, coloro che proteggevano la difesa trascurarono lo studio di una organizzazione sistematica della osservazione ad altitudini diverse che sopperisse alla ricognizione della cima in caso di nebbia.
Certo, ci sarebbero molte cose da aggiungere su questo colosso della montagna, ma ci pare che queste siano state le cause più rilevanti della sua veloce capitolazione.
In breve tempo infatti sei delle otto torrette furono distrutte, la teleferica venne messa fuori uso e venne colpito anche il deposito viveri.
Le due torrette ancora intatte continuarono a sparare per tre giorni ed i soldati italiani non abbandonarono mai le loro postazioni. Lo Chaberton era un’opera ad azione lontana e non restò passivo, colpì sia lo Janus che il Gondran oltre al Forte des Olives, relativamente vicini: lo Chaberton dista infatti solo 6751 metri dallo Janus e 8184 metri dal Gondran, ma con i suoi pezzi a lunga gittata avrebbe potuto colpire anche le fortificazioni francesi più lontane, occasione che il “Titano delle Alpi” mancò.
Nello scontro persero la vita nove uomini, e più di cinquanta furono i feriti.