Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Il borgo antico di Reano si rannicchia ai piedi del castello, che punta al cielo con una geometrica fuga di pareti rosa e torri merlate, possesso dei Dal Pozzo della Cisterna dal 1581.
Nel 1904 il duca Emanuele Filiberto, figlio di Maria Vittoria, vendette il castello ai marchesi Durazzo, ai quali rimase sino al 1960, anno in cui lo cedettero al conte Tournon. Seguirono vicende di debiti e liti, con la vendita all’asta degli arredi, finché il castello fu acquistato da un ricco petroliere egiziano (sposatosi con una giovane donna di Reano) che ha fatto realizzare ampi interventi di restauro. Il castello è quindi privato e non visitabile, ma se non altro tenuto in perfette condizioni.
Nell’Ottocento vi soggiornò a lungo il principe Carlo Emanuele con la moglie Luisa De Merode e la figlia Maria Vittoria. I Dal Pozzo della Cisterna avevano acquisito il feudo di Reano già dal 1581, ma questo divenne soggiorno abituale dopo che il principe, liberale compromesso nei moti del 1821, ottenne l’amnistia e rientrò a Torino.
Carlo Emanuele Dal Pozzo della Cisterna (1789-1864) e Luisa Carolina Ghislaine De Merode (1819-1868)
Scelse un basso profilo lontano dalla politica, ma vicino alla gente: ricchissimo, si profuse in opere benefiche e si dedicò in particolare al suo feudo di Reano promuovendo la riedificazione della Parrocchiale di San Giorgio e fondando due scuole.
Morì nel 1864 nel suo palazzo di Torino, già sede della Provincia e ora della Città Metropolitana, ma è sepolto a Reano nella cappella della Madonna della Pietà nella artistica tomba commissionata a Vincenzo Vela dalla vedova, provata anche dalla quasi contemporanea morte per tifo della figlia Beatrice.
Veduta aerea del Castello di Reano,
Il testamento morale del principe si condensa in poche intense esortazioni rivolte alla figlia Maria Vittoria: “Sii umile e caritatevole. Non tener conto delle umane ricchezze, che, per un colpo di avversa fortuna si possono perder da un momento all’altro. Ama la virtù e ama lo studio. Essi sono i più grandi aiuti nella vita. Impara a fare il bene per il bene, mai per vana gloria o per avere la riconoscenza degli uomini”.
Rimaste sole, Luisa e la figlia Maria Vittoria, nata a Parigi il 9 agosto 1847, conducevano una vita ritirata e pia. Ma la bellezza, la cultura, la bontà della principessina attirarono ben presto l’attenzione del principe Amedeo, Duca d’Aosta e terzogenito di Vittorio Emanuele II, re d’Italia. (...)
Pochi mesi dopo, col felice consenso di tutti, le nozze tra Maria Vittoria e Amedeo furono celebrate il giorno dell’Ascensione, che in quel 1867 cadeva il 30 maggio.
Fu un giorno festoso e tragico ma la “Rosa di Torino”, come qualcuno la chiamava per la purezza e l’integrità della sua vita, vide cadere attorno a sé un’incredibile sequenza di petali di morte.
Il matrimonio
La principessa Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna, lasciato Palazzo Cisterna nella carrozza di gala, accompagnata da Eugenio Emanuele, ultimo principe di Carignano, e dalla principessa Clotilde, raggiunge il Palazzo Reale tra due ali di folla festante dietro le colorate divise della Guardia Nazionale.
Maria Vittoria Carlotta Enrichetta Giovanna Dal Pozzo della Cisterna ha quasi vent’anni quando sposa il ventiduenne Amedeo Ferdinando Maria di Savoia.
Ai piedi dello scalone di Palazzo Reale, Maria Vittoria è attesa dallo sposo Amedeo e dal principe ereditario che l’accolgono e l’accompagnano nell’appartamento di parata, dove si trova il re in alta uniforme circondato da tutta la sua corte.
Qui, alla presenza del Presidente del Senato, il conte Gabrio Casati, viene contratto il matrimonio civile, mentre subito dopo, nella cappella reale viene celebrato il rito religioso officiato dal nuovo arcivescovo di Torino, il cardinale Alessandro Ottavio Ricardi di Netro, assistito dai vescovi di Biella, Mantova, Aosta e Asti.
Maria Vittoria indossa un vestito di seta bianca ricamato a motivi floreali a filo d’argento e impreziosito da un lungo strascico. Fa, suo malgrado, sfoggio di gioielli, anche il re le ha regalato una preziosa collana di perle con chiusura di brillanti e zaffiri. Verranno tutti destinati a ornare le chiese o ad essere convertiti in denaro da distribuire a poveri e malati.
In vista delle nozze aveva già “regalato” a Reano e Vestigne due asili per i bimbi e alle ragazze povere di Reano una decorosa dote. Sul suo esempio, anche il principe Amedeo, nel giorno dello sposalizio e in quelli immediatamente successivi, elargisce copiose elemosine ai poveri di Torino e fa organizzare per tutti feste di popolo e splendide regate sul Po. (...)
Dopo il sontuoso pranzo di gala a corte, svoltosi sotto l’attenta direzione del Maestro delle cerimonie, il conte Ernesto di Sambuy, nel tardo pomeriggio il Corteo nuziale si dirige al castello di Stupinigi, prima tappa del viaggio di nozze.
La Palazzina di Caccia di Stupinigi si trova a Nichelino, a 10 chilometri da Torino, ed è una delle residenze sabaude più prestigiose del Piemonte, dal 1997 patrimonio dell’UNESCO. La costruzione dell’edificio, pensato per la caccia e le feste della famiglia reale, è stata avviata nel 1729 su progetto di Filippo Juvarra, uno degli architetti più rinomati del XVIII secolo.
Con un’estensione di oltre 31.000 metri quadrati e altri 150.000 di parco e aree verdi, la Palazzina rappresentava il punto di partenza e di arrivo delle battute di caccia di casa Savoia nelle campagne circostanti, oltre che la sede prediletta per feste e altre attività di svago. Vi si erano sposati Vittorio Emanuele II e Clotilde d’Asburgo Lorena.
Mentre gli sposi percorrono in carrozza il lungo viale che muore abbracciando la splendida palazzina di caccia, cade da cavallo e muore uno dei nobili che li scortavano. È solo l’ultima di una incredibile serie di morti che fa entrare questo matrimonio nel Guinness dei Primati della tragicità.
Sei funerali
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Si comincia il giorno prima: un capostazione finisce maciullato durante le manovre del treno che avrebbe dovuto portare gli sposi a Stupinigi.
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All’alba del giorno del matrimonio, mentre la sposa sta vestendosi, nella stanza accanto la sua dama d’onore s’impicca a un lampadario con un velo da sposa tra le mani. Si decide di proseguire, ma il corteo parte in ritardo.
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Finalmente la sposa scende lo scalone per salire in carrozza, quando il colonnello comandante il reparto di cavalleria, che attendeva da ore davanti ai suoi uomini sotto il sole, cade dal cavallo fulminato da una sincope.
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Davanti a una simile tragedia, il maggiordomo di casa, responsabile della regia della cerimonia, si dimentica di aprire il portone d’onore e il corteo è costretto a fermarsi. Sconvolto dall’errore si suiciderà con un colpo di pistola.
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L’ufficiale di Stato Civile che stipula il contratto matrimoniale, davanti agli sposi, per l’emozione, viene colpito da un infarto, che lo porterà rapidamente alla morte.
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Dopo il pranzo di nozze il corteo nuziale si sposta a Stupinigi. Accanto all’equipaggio dorato degli sposi caracolla, con la smagliante giubba rossa e croce bianca di cavaliere di Malta, il conte Francesco Verasis di Castiglione, scudiero e capo di Gabinetto particolare del re. D’un tratto, la folla plaudente tace sbigottita: ha visto il cavaliere dalla casacca scarlatta vacillare e scivolare da cavallo. Disgraziatamente il suo corpo finisce tra le ruote della vettura e rimane immobile sulla strada.
Ritratto del conte di Castiglione, Francesco Verasis Asinari (1826 – 1867). Domenico Scattola.
Ritratto di Virginia Oldoini (1837 – 1899), Michele Gordigiani, 1862.
A questa vista la sposa — racconta Alain Decaux nel libro biografico sulla Contessa di Castiglione — perde i sensi per l’emozione, mentre lo sposo e suo fratello Umberto si precipitano in aiuto del conte che però non dà più segni di vita. Accorre anche un medico e ne constata la morte. Il conte era caduto da cavallo per una congestione cerebrale e le ruote della pesante carrozza gli avevano sfondato il petto.
Mentre il marito muore tragicamente a soli quarantun anni, Virginia Oldoini, la bellissima contessa di Castiglione, si trova a Parigi. Vi si era recata nel 1855, incaricata dal cugino, il conte di Cavour, di una missione “patriottica”: utilizzare la sua bellezza e la sua intelligenza per guadagnare l’imperatore Napoleone III alla causa nazionale
Fotomontaggio eseguito in occasione delle nozze di Amedeo d’Aosta (1867). In piedi da sinistra: Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna, Gerolamo Bonaparte, Tommaso, duca di Genova, Eugenio di Savoia-Carignano, la principessa Margherita, Luigi, re di Portogallo; seduti da sinistra: Maria Clotilde di Savoia, Umberto, principe di Piemonte, Vittorio Emanuele II, Amedeo, duca d’Aosta, Maria Elisabetta, duchessa di Genova, Maria Pia, regina di Portogallo.
Gioie e dolori di un matrimonio d’amore
Contrariamente a quanto avveniva di solito tra famiglie reali, quello tra Amedeo e Maria Vittoria fu un matrimonio d’amore, allietato il 13 gennaio 1859 dalla nascita, nella villa di Pegli presso Genova, del primogenito Emanuele Filiberto.
Il secondo figlio, Vittorio Emanuele, nasce il 26 novembre 1870. Pochi giorni prima Amedeo era stato proclamato Re di Spagna dal parlamento locale. Fu una esperienza breve, finita meno di tre anni dopo con l’abdicazione e quasi una fuga. Pochi mesi erano comunque bastati a Maria Vittoria per farsi apprezzare come “la Regina della Carità”, per una serie di iniziative a favore dei poveri, dei malati e dei figli delle lavoratrici.
Maria Vittoria col figlio primogenito Emanuele Filiberto.
nella copertina di questa biografia il famoso episodio in cui Maria Vittoria, presso Madrid, si fermò ad allattare un bambino denutrito.
Una teca di vetro accanto alla sua tomba nella cripta di Superga testimonia ancora oggi la gratitudine delle “lavanderas” spagnole per “tan virtuosa Señora”. Dalla Spagna Maria Vittoria era tornata con un terzo figlio, Luigi Amedeo, e con la malattia, la tubercolosi, che segnò gli ultimi anni della sua vita.
Si spense a San Remo l’8 novembre 1876, aveva solo 29 anni. Torino la ricorda intitolandole la via di Palazzo Cisterna e l’ospedale inaugurato nel 1887, sorto grazie all’iniziativa del professor Giuseppe Berruti e la generosità del marito Amedeo, duca di Aosta.
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