Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
La storia della Valle è raccontata dalle costruzioni e dai monumenti ma anche dalle pietre impiegate, la cui coltivazione, in passato, ha rappresentato una risorsa economica assai importante.
La varietà delle rocce utilizzate è ampia: dai materiali per muri e tetti ai marmi destinati all’architettura e all’arte. Nel 1830 il ritrovamento di lastroni di gneiss appartenenti al lastricato del decumano massimo in via Garibaldi a Torino riporta alle pietre di Vaie, ma è solo un'ipotesi.
La cava di gneiss di Vaie è comunque la più antica della valle: ubicata nei pressi del cimitero è coltivata nel vasto accumulo di frana e negli affioramenti. Nel 1889 vi si ritrovano numerosi oggetti appartenenti ad una comunità preistorica: i reperti estratti permisero la collocazione cronologica del rinvenimento tra il IV e il III millennio a.C.
In epoca romana è massiccio l’utilizzo di pietre ornamentali e da costruzione: esempi fra tutti l’Arco di Susa, eretto in marmo di Foresto nell’8-9 a.C., e le innumerevoli lapidi nella medesima pietra. Spesso, però, i picapere, gli scalpellini, prima di ricorrere a materiale di nuova estrazione prediligono il reimpiego degli abbondanti manufatti precedenti.
Non esistono fonti scritte, ma analoga è la situazione per l’alto medioevo. Sicuramente il monte Pirchiriano, Avigliana e la bassa valle in genere sono ricchi delle verdi serpentiniti e prasiniti: le prime nel 999 sono impiegate nell’erezione della Sacra di San Michele ed entrambe, nel secolo XV, come tegole nel complesso fortilizio di Condove e nel centro storico di Avigliana.
Nel 1757 verranno citate dal naturalista Vitaliano Donati, in viaggio studio mineralogico sulle Alpi Occidentali per volere di Carlo Emanuele III: “un giacimento di pietra verde simile al Verde di Prato”, abbondante ma di pessima qualità. Nel 1935 le Ferrovie dello Stato le caveranno come pietrisco da massicciata stradale e ferroviaria.
Nel Basso Medioevo le pietre sono destinate ad uso locale, ma la maggior parte non proviene da cave: si tratta di boulder, massi isolati facilmente raggiungibili perché a valle degli affioramenti e spesso franati.
Si erigono edifici ecclesiastici ma non solo: la muratura del Castello di San Giorio è in calcescisto bianco-grigio di Bussoleno e questo è impiegato anche per la scalinata d'ingresso della chiesa di San Pietro a Rochemolles: in Alta Valle sono assenti i marmi bianchi. Altre parti del maniero sono edificate con le serpentiniti del Monte Pirchiriano.
Tra le rocce di maggior pregio il marmo bianco di Chianocco e Foresto, mentre quelle più utilizzate, in area rurale sono gli gneiss.
Ex cava sul Pirchiriano.
Il Castello di San Giorio
Nel 1500 l'attività estrattiva è ancora largamente limitata all'impiego locale. Nel 1563 Torino diviene la capitale del Regno Sabaudo e con il 1600 si apre per la Valle un periodo florido: la varietà di materiali e la vicinanza con la città ne fanno uno dei centri d’approvvigionamento più importante.
Le pietre della Valle per gli edifici dei Savoia
Con il rinnovamento urbano voluto da Carlo Emanuele I, poi dalla Madama Reale Maria Cristina, quindi da Carlo Emanuele II ed infine da Vittorio Amedeo II, molti palazzi e chiese sfoggiano, in interno ed esterno, le pietre valligiane.
La presenza di professionisti forestieri nell’estrazione e lavorazione della pietra è forte: soprattutto luganesi e lombardi. Per secoli lavoreranno a Torino come scalpellini e gestiranno le cave in Valle: in questo contesto si potrebbe spiegare il toponimo Cava degli Svizzeri a Villar Focchiardo.
SCOPRI DI PIÙ: La tradizione dei "picapere" l'utilizzo della pietra valsusina nelle chiese e nei palazzi di epoca sabauda
L'uso crescente di marmi porta, nel corso del secolo XVIII, a sopralluoghi da parte dello Stato Sabaudo per scoprire nuove cave e limitare così le spese d’importazione. In quest'ottica si pone il viaggio del Donati: nel 1757, dopo il Pirchiriano, visita le cave di “di marmo bianco, più o meno listato e simile per grana a quelli greci”, a monte di Venaus, quelle di prasinite di Mompantero: da qui, forse, il materiale impiegato nella zoccolatura dell'ospedale torinese di San Giovanni.
Presso Vaie descrive una pietra biancastra ad uso di colonne e altri elementi architettonici. Nota infine un buon impiego, nei vari siti, di macchinari all'avanguardia per segare i marmi.
L'ex cava Pent di Vaie.
Ex cave a Giaglione.
Il 1800 è tempo di crisi per le pietre pregiate: la concorrenza toscana è schiacciante. Chiudono molti siti, o con i materiali si produce calce.
Testimone dell’attività degli scalpellini nella zona compresa tra San Giorio e Villar Focchiardo è la Pera Longa, un monolite di gneiss lungo 11 m: nel 1818 è destinato al cantiere della Gran Madre a Torino.
Trasportarla a valle, anche divisa in blocchi, è un progetto arduo: la mulattiera è troppo tortuosa. Si tenta di calarla lungo il vallone del torrente Gravio, raggiunto con rulli di legno, poi su carri trainati da cavalli proseguiranno per Torino. L'impresa si conclude subito: il primo blocco, imbragato, sfugge al controllo e si frantuma. Gli altri vengono adattati ad altri impieghi: per la Gran Madre si preferisce la Pietra di Malanaggio.
Nel 1835 con il metagranito di Vaie si realizzano le colonne e la facciata della torinese Chiesa delle Carmelitane.
Al Moncenisio, alla Piana di San Nicolao, si cava un marmo bianco-grigio, talvolta macchiato in bianco puro, molto compatto: il locale ponte è costruito con esso. È commercializzato anche a Torino, ma spesso diviene pietra da calce.
Accanto le cave di pseudocarniola, che con i calcescisti di Giaglione e San Giuliano di Susa sono impiegati, nel 1839, proprio a Susa, per il Palazzo della Provincia.
Ex cave di Borgone, ora palestra di roccia.
Nell'800 arriva l'esplosivo
Nella seconda metà del 1800 si introduce l’esplosivo: i veri protagonisti delle estrazioni da ora al secondo dopoguerra sono gli gnesis e i metagraniti, e questo è forse il periodo di massima espansione dell’attività.
Le pietre sono impiegate nella realizzazione della ferrovia e, tra il 1863-66, per il Canale Cavour, vincendo la concorrenza di Cumiana e Luserna.
Il distretto comprende i siti di Bussoleno, Mattie, San Giorio, Villar Focchiardo, Borgone, Sant’Antonino, Condove e Vaie. Qui per mantenere i prezzi concorrenziali i ritmi di lavoro sono serrati ma, nel 1884, all’Esposizione Generale Italiana di Torino, sarà premiata la cava gestita dai Pent, che impiega oltre 40 scalpellini.
Villar Focchiardo è però il sito che conosce maggior fortuna: le pietre sono già state impiegate nel periodo napoleonico per il ponte sulla Dora fra Borgone e il paese e lo saranno nel 1876 a Torino per le pile del Ponte Isabella.
Il 22 maggio 1854 l’inaugurazione del tratto ferroviario Torino-Susa porta ad un decremento importante dei prezzi di trasporto: gli gneiss della Valle, insieme alla pietra di Luserna, rimangono gli unici piemontesi in commercio.
La pietra di Borgone, 14 cave, è impiegata a Torino nella chiesa di San Gaetano da Thiene e nella Sinagoga. Quella della borgata Losa per la copertura di tetti e per lastre per balconi e scalini. I picapere ne ricavano anche architravi, colonne, capitelli e conci.
L'attività qui cesserà negli anni del 1970 con la chiusura della grande cava di Chiampano, ora palestra di roccia.
Borgata Chiampano a Borgone. Le “lose” della vicina borgata Losa.
Nella frazione, a Roca Furà, vi è anche un sito per pietre da macina, da mola. L'estrazione avviene in una galleria lunga circa 20 m e larga in media 10: sulle pareti e sulla volta sono riconoscibili le varie fasi di lavorazione. La macina dopo la sbozzatura è staccata con cunei di legno impregnati di acqua: mediamente 130 cm di diametro e 30 di spessore. Il trasporto per raggiungere il fondovalle è su un declivio, molto scosceso, lungo 200 m. È poi scolpita, anzi battuta, da abili professionisti o dal mugnaio stesso con un martello a doppia punta, la bocciarda.
La circolazione delle mole è regolamentata da pedaggi. Le pietre sono solitamente micascisti, lavorabili ma non troppo tenere per evitarne un rapido consumo: quando lo spessore della macina si riduce alla metà dell'originale deve essere sostituita. L'attività a Borgone si chiude prima del 1900.
Altri siti sono in paese, presso il Maometto, alle Molere di Condove e sul versante opposto a Vaie, dove si trova una Pietra delle Macine.
Macina in lavorazione a Roca Furà.
La Pietra delle Macine di Vaie.
La cavatura in valle subisce una crisi a cavallo tra 1800-900, quando si sta imponendo il’uso del cemento.
La pietra di Vaie è utilizzata a Torino nel 1902 per il monumento del Principe Amedeo nel parco del Valentino, nel 1903 per le pile del ponte Umberto I, nel 1970 per le pile, le armille e il cornicione del ponte Regina Margherita.
Un'intensa ripresa è registrata dal 1920-30. A Torino lo gneiss di Malpasso, tra Villar Focchiardo e San Giorio, diventa, negli anni ‘30, lastre per la pavimentazione e nei ‘50 cubetti, mentre per la scogliera lungo il Po e Italia 61 si usano le pietre di Condove.
Nel 1960 si contano 38 cave di gneiss e metagranito: alla fine del 1900 saranno circa 20, di modeste dimensioni e generalmente votate agli inerti.
Vi lavorano professionisti anche immigrati fra cui ex galeotti dell'Isola d'Elba e, nella frazione Achit di Borgone e nelle cave di Villar Focchiardo e San Giorio, molti sardi.