Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
La Val Sangone raccontata ai ragazzi... dalla bisnonna Livia Picco.
Le case dei paesi e delle borgate
Quando la bisnonna era bambina, le case nei paesi erano decenti ma scomode, alte due o tre piani.
Le scale interne erano ripide, buie. Le stanze piccole e basse. Al centro degli alloggi c’era la cucina dove dominava il “putagé”, la stufa a legna, con il forno e il recipiente per l’acqua calda. Sul piano di cottura c’erano dei cerchi metallici concentrici che si toglievano quando si doveva cucinare a fuoco vivo e si rimettevano quando c’era solo da mantenere in caldo la pietanza.
Nelle cucine mancavano i rubinetti. Oh bella! Penseranno i ragazzi del terzo millennio. Già, perché l’acqua arrivava in pochissime case. E allora per lavarsi, bere e cucinare? Si andava a prendere l’acqua con i secchi in cortile o alle fontanelle nelle piazze e nelle vie.
Non c’era l’acqua corrente nelle case, ma fontane e lavatoi (“baciàs”) pubblici.
In cucina c’era sempre il secchio dell’acqua con il suo mestolo (la “càsi”) per bere e in camera da letto c’era un piccolo mobile con la brocca piena d’acqua, un catino e un asciugamano di tela con le iniziali della padrona di casa ricamate rosso su bianco o bianco su bianco.
La bisnonna ricorda che d’inverno, nelle stanze prive di riscaldamento, l’acqua gelava nelle brocche e allora per lavarsi si andava in cucina o nella stalla. I ragazzi erano tentati di passarsi in fretta le mani bagnate sulla faccia (“lavarsi come il gatto”) ma le madri incalzavano: “Con il sapone, anche il collo e le orecchie!”
Mancavano i bagni, le docce e i deodoranti. Tutto era sostituito dai “basiń”, recipienti di lamiera zincata o dai mastelli di legno dove si mettevano a mollo i panni. Il signor sapone, in pezzi, sostituiva tutti i detersivi: solo le signorine e le signore, per essere eleganti, cercavano le saponette profumate e qualche volta tenevano nel cassettone una piccola boccetta di profumo.
Nelle case di ringhiera, in fondo ai balconi c’era il gabinetto comune. In tempi più antichi e nelle borgate spesso il “còmu” si trovava in fondo al cortile, lontano dalla casa.
E per il wc? Sui balconi c’era “lu còmu”, un gabbiotto di legno o di mattoni imbiancati, che aveva un buco nel centro, collegato a uno scarico. Era spesso usato da più famiglie con tante discussioni per le precedenze. D’inverno si rischiava di congelare là dentro. Immaginate doversi tirare fuori dal letto riscaldato da cumuli di coperte, uscire all’esterno sul balcone, entrare nel gabbiotto gelido… Qualcuno di questi “servizi” è ancora visibile nelle case dei centri storici, trasformato in ripostiglio.
Per evitare i malanni allora si ricorreva ai vasi da notte, ora diventati oggetti di antiquariato, alcuni addirittura ricercati per le loro decorazioni. D’estate bisognava difendersi dai cattivi odori ricorrendo alla candeggina che disinfettava e deodorava senza bisogno di tanta pubblicità.
In campagna il gabbiotto era in cortile, sul lato più lontano dalla casa. Si possono immaginare le corse (da Olimpiade) sotto la pioggia battente, il ventaccio, la grandine o le difficoltà quando la neve intrappolava i piedi. Va da sé che, nello spalare il cortile, si dava la precedenza al sentiero verso il gabbiotto.
A proposito, quando la sorella del nonno, emigrata ai primi del Novecento negli Stati Uniti, ritornò ottantenne in visita dopo la guerra, raccontò che a Westville, nell’Illinois, aveva incontrato un altro coazzese che non si capacitava del fatto che gli americani si ostinassero a costruire i gabinetti in casa. Secondo lui non era igienico!
Nei paesi c’erano i lavatoi pubblici che sfruttavano l’acqua dei torrenti o dei canali. L’acqua scorreva pure in un incavo in mezzo alla strada. La bisnonna ricorda che un Sabato Santo, quando le campane di Pasqua cominciarono a suonare (allora lo facevano di sabato) la gente del mercato, in via Umberto I a Giaveno, si bagnò gli occhi, secondo un’antica usanza, con l’acqua limpida che scorreva nel canaletto centrale. Non corse alle fontanelle.
Via Umberto a Giaveno, col caratteristico canaletto centrale per lo scorrimento delle acque. (Coll. Carlo Giacone)
La caratteristica più appariscente dei paesi dopo la Chiesa, le piazzette, il Municipio e le grandi scuole elementari, erano i negozi.
Non bisogna pensare che fossero grandi e variopinti come quelli di oggi. La normale finestra faceva anche da vetrina. Le insegne, di latta e senza neon, si cambiavano soltanto con il passaggio a un nuovo proprietario.
C’erano negozi che occupavano una sola stanza, riempita di merci fino a togliere il respiro. Certe botteghe che vendevano sale e tabacchi erano strapiene di un’infinità di cose, comprese le caramelle e i dolcetti conservati in grandi vasi di vetro appoggiati al bancone.
Anche nei paesi più grandi i negozi NON avevano vetrine. Qui la drogheria dei coniugi Fasano a Giaveno (Coll. Carlo Giacone)
A quei tempi non c’erano le confezioni che tutti conoscono. Si andava a far la spesa con le “tàs-ce” di tela. Anche lo zucchero si vendeva sfuso, incartocciato in una carta di un particolare blu, che ancora si chiama “color carta da zucchero”. Il sale, prevalentemente grosso, si incartava in una carta giallastra più grossolana. Anche il vino si poteva comprare sfuso, portando da casa il fiasco vuoto.
I bambini potevano avere le caramelle e i cioccolatini dei grandi vasi luccicanti sul bancone con il permesso dei genitori, uno alla volta o perfino tre o quattro in occasioni speciali.
La bisnonna non ricorda che ci fossero negozi che vendessero solo giocattoli; forse c’erano, ma lei ha visto sempre i giocattoli accanto ad altre merci. Erano pochi in verità e non molto grossi.
Alla domenica e nei giorni di mercato c’erano le bancarelle che vendevano mini giocattoli e dolcetti. A Coazze fuori dalla Chiesa c’era il banchetto della “Léna”, di fronte al cancello di Villa Prever quello della “Bèga”, frequentatissimi dai ragazzi. Con due soldi si compravano quattro “pàste di mèlia” o un giocattolino...
In collaborazione con Guido Ostorero, Laboratorio Alte Valli propone alcuni estratti di La Val Sangone raccontata ai ragazzi... dalla bisnonna Livia Picco, importante testimonianza sulla vita e sul lavoro delle nostre montagne: li trovate RAGGRUPPATI IN QUESTO LINK.
Per saperne di più vi rimandiamo al sito ScuolaGuido, su cui potete leggere l'articolo completo: Le case dei paesi e delle borgate