Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Nel 1926 il professor Federico Sacco, geologo e paleontologo del politecnico di Torino ne Gli Orridi di Foresto e di Chianocco (Val di Susa) scrive: “Esaminiamo sul fianco sinistro di Val di Susa, la valletta del Rocciamelone, risalendola dal bassopiano di Foresto (verso i 400 mt) sino alle cime del Rocciamelone (3538 mt)”.
Constata che la montagna in basso è formata “da potenti formazioni calcaree (calcari marmorei, calcescisti, etc.)”, dal monte Ciarmetta-Rocce dei tre Cresti al Gran Bec “da svariate e compatte pietre verdi (Serpentine, Anfiboliti, etc.)” e più su “attraversati diversi schisti cristallini”, verso Ca’ d’Asti, da “potenti bancate calcaree”. La piramide terminale del Rocciamelone è “una potente serie di calcescisti”. Questi strati rocciosi si susseguono per oltre 3.000 metri con “inclinazione verso il Nord-Ovest circa.”
L'orrido di Foresto e il Rocciamelone (Claudio Rosa).
Federico Sacco.
Individua ai piedi del fianco sinistro della valletta, in prossimità di Foresto e Chianocco, le più imponenti cave aperte in cui si estrae la pietra da taglio e da costruzione largamente usata a Torino nel corso del XVII-XVIII secolo.
Sono Marmi Bianchi: bellissimi esteticamente ma scarsamente resistenti nel tempo. Spesso sarà necessario rimpiazzarli con altri di caratteristiche diverse, alterando così l’aspetto originale dell’oggetto architettonico.
La zona è ricca anche di pietre verdi: sopra Bussoleno, in località Falcemagna, è presente in grande quantità il Marmo Verde serpentino, in auge soprattutto nel secolo XVIII.
In primavera, quando la Dora raggiunge una portata adeguata, il trasferimento delle pietre, come quello del legno, avviene per via fluviale: le chiatte cariche partono da Bussoleno, raggiungono Alpignano e da qui proseguono via terra fino a Torino.
La Dora a Bussoleno alla fine del 1800.
Il fiume però può essere sfruttato solo per sette mesi all’anno a causa della riduzione della portata per usi agricoli.
Interessante quanto afferma Amedeo de Francisco di Settignano, detto Meo del Caprino, costruttore, tra il 1491 e il 1498 del Duomo torinese: “Per il cantiere del Duomo si conducevano da Torino a Bussoleno, in tre giorni, una nave ossia una chiatta trainata da due cavalli e governata da quattro uomini”.
Il Duomo di Torino(Claudio Rosa).
A seconda del periodo storico, la scoperta e lo sfruttamento delle cave sono sempre stati regolati da norme.
Nel medioevo seguono quelle del diritto feudale, con la nascita dei Comuni lo sfruttamento è lasciato a chiunque le scopra o le trovi abbandonate. Sotto i Savoia il loro regime giuridico varia notevolmente: all’inizio sono date in concessione a privati controllando le operazioni di estrazione. Dopo la fondazione, a metà secolo XVIII, del Corpo delle Miniere del Regno Sardo, con la nomina del Cavaliere Nicolis di Robilant ad Ispettore Generale, alcune passano alle dipendenze del demanio.
Giovanni Battista Borra, architetto, nel 1747, nel suo “Trattato delle cognizioni pratiche delle Resistenze”, illustra bene le qualità che i marmi devono avere: "la pietra bianca e di colore limpido, senza vena sarà la più durevole”. In presenza di venature “saranno più durevoli quelle che hanno un colore che si avvicina maggiormente a quello della pietra. Le migliori sono quelle con vena verdeggiante.”
La pietra più resistente allo scalpello “sarà contro le ingiurie del tempo più ferma”. Esse si devono disporre “nella stessa guisa come si trovano nella cava” perché in “tale posizione elleno sono capaci più che in ogni guisa a sopportare ogni peso”, altrimenti lo stesso “è valevole di farle aprire, e non hanno la stessa forza”.
I Capimastri Piccapietre, gli scalpellini, devono poi seguire scrupolosamente le indicazioni e il disegno dell’architetto progettante. Essi, già a partire dal 1600, affiancano gli Ingegneri di Corte come consulenti nella scelta, nel trasporto dei materiali e nella ricerca di nuovi siti: il lavoro esige periodi di permanenza nelle cave molto lunghi.
Il mestiere richiede una grande preparazione professionale unita a una profonda conoscenza delle tecniche di lavorazione, quindi un lungo apprendistato alle dipendenze di maestri affermati ed una dotazione di specifiche attrezzature che implica avere i mezzi per potersene dotare. La tradizione famigliare è quindi una costante.
In zona è documentata solo dal 1914 la presenza di una Lega degli Scalpellini, nata probabilmente nel 1906: raduna i lavoratori delle cave di tutta la Bassa Valle.
Carlo Busso a fine 1600 è tra i Mastri Piccapietre più abili presenti nei cantieri sabaudi. Proviene dal Luganese, ma di lui si sa poco: sicuro è il suo soggiorno in Valsusa. Il suo nome compare nei documenti di Chianocco: nel 1665 partecipa al Consiglio Generale della Comunità come testimone. Negli anni a seguire rappresenta la Comunità di Foresto in molti atti con privati ed è sicuramente lì presente dal 1665 al 1683: procura per le fabbriche dell’Architetto ducale Castellamonte i marmi delle cave di Chianocco e Foresto. La sua esperienza lo porta a conoscerne precarietà e difetti: li utilizza quindi prevalentemente in interni e soprattutto in elementi che non debbano sopportare grandi carichi.
In cava non solo si estraggono i blocchi ma si riducono alle dimensioni previste per l’impiego: la pietra, scevra il più possibile da difetti, si taglia in modo da “formare grossolanamente l'opera”. Gli addetti al lavoro prima si accertano di quale sia il suo piano e poi stabiliscono la direzione dei tagli: schiappo o spaccatura, strozzo o di testa e trincante o trinciante.
Il primo equivale a una pietra tagliata da un piano parallelamente al letto di posa. Il secondo ad un masso diviso da un piano perpendicolare ed in senso trasversale al letto di posa e l’ultimo alla pietra spaccata dal piano perpendicolarmente al letto di posa ed allo strozzo. Oltre a questi si utilizzano anche tagli obliqui e di sbieco eseguiti in modo simile e con le stesse cautele: l’esperienza permette, con minor fatica e poco sperpero di materiale e tempo, l’esecuzione di queste spaccature.
Gli utensili usati sono generalmente piccoli scalpelli e punte in acciaio, temperati con molta cura: il loro consumo dipende dalla durezza della pietra e dal modo con cui sono adoperati.
Museo etnografico castello di Chianocco, sezione dedicata alla cava di Falcemagna (Claudio Rosa).
Sono preparati dagli stessi scalpellini e per farlo si costruiscono la pietra a livello, la pera d'asslé: una lastra di lunghezza variabile nel cui centro si pratica un incavo di circa 1 cm. Da esso diparte uno sfioratore per il deflusso dell’acqua in sovrappiù, versata al suo interno: il livello del liquido deve essere di circa 5 mm.
Dopo la forgiatura con martello e incudine, la punta dello scalpello è arroventata: la temperatura è scelta a seconda delle qualità dell'acciaio utilizzato e l'esperienza permette di riconoscerla dal colore assunto dal metallo. Viene poi rapidamente “spenta” nell’acqua della pietra ed estratta: il metallo deve tingersi progressivamente, dal basso verso l’alto e per un breve periodo, di un azzurro tenue. La si rimette quindi nell’acqua per un totale raffreddamento.
A Bussoleno, oltre ai marmi bianchi è presente anche la Pera neira di San Basilio, una roccia grigio-chiara, in cui il colore è dato dalla tormalina nero-bluastra. Goffredo Casalis nel suo Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, pubblicato fra il 1833 e il 1855, così lo descrive: “uno degli Gneiss più belli per tinta chiara e grana fine, in modo da ricordare quasi un granitello; la sua escavazione è fra le più attive della Valle; se ne traggono anche materiali per uso architettonico, come colonne assai alte e stipiti di piccolissime dimensioni”, usato a Torino con “abbastanza buon successo mezzo secolo fa, per lastricare vie carreggiate e per marciapiedi”, come le strade dei Murazzi. Sicuramente fra il 1700-800 è impiegato nella Chiesa dei Cappuccini di Vienna per la pavimentazione della Cripta degli Imperatori, a Parigi in parte di quella interna del Louvre e in due sarcofagi dei Savoia alla Sacra di San Michele. Fra il 1818-20 nelle cannoniere del Forte di Exilles.
La cava di San Basilio prima degli interventi di recupero (Claudio Rosa).
Nel 1800 si cavano materiali anche in zona Meitre, dove è presente una forgia per gli arnesi di lavoro e in frazione Tignai: un sito per pietre da macina.
Siti di calcescisti per lose sono invece ubicate nelle borgate di Chianocco. Oggi in zona resiste ancora una solida tradizione di lavorazione della pietra, ma la materia prima proviene quasi totalmente da altri territori, Cina compresa.
Per approfondire la storia delle cave della "Valletta del Rocciamelone" e le opere realizzate:
Falcemagna: la cava di marmo "Verde Antico"
La "Pietra di Chianocco", il marmo bianco di molte colonne torinesi