Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
È ad Almese in borgata Morando, sulla morena dell'ex ghiacciaio della Val di Susa fatta di sabbia, ghiaia, massi e limi, l'habitat del Prussian, un rosso 100% Becuét, che profuma di ribes rosso, di lampone e di viola, dal finale balsamico con note di amarena cotta e pepe nero.
In borgata Morando, in "un piccolo angolo di Provenza", attorniati da ulivi, rose, lavanda, meli, peri e peschi, maturano i tralci curati quasi maniacalmente da Giuliano Bosio: il vigneto della borgata, che si estende per oltre un ettaro, si aggiunge agli altri terreni presi in affitto dalla famiglia Falca in borgata Tetti San Mauro, alla proprietà sui picchi rocciosi che circondano la Goja del Pis ed al vigneto di borgata Magnetto, appena sottostante la pista tagliafuoco del Musinè.
"Questo è il piccolo regno in bassa valle del Becuét, dell'Avanà e del Baratuciat. Questa vigna è nata nel 2007 ed oggi ha 35 "baragne" ("filari a spalliera" in patois). Le prime 38 bottiglie di Baratuciat e 25 litri di Avaná/Becuét si ottennero nel 2010. Quest'anno poi abbiamo voluto sperimentare, e abbiamo messo a dimora 700 barbatelle di Nebbiolo, da cui sogno di ricavare un ottimo rosato. Vedremo come andrà a finire: ho voluto fare una scommessa su di un vitigno presente sulle colline di Rivoli, poco distanti da qui, sin dal 1266, molto prima che nelle Langhe".
In primaverai nei vigneti di Bosio è tutto uno scacchiare ed un cimare (eliminare i tralci in eccesso, togliere le prime femminelle basali e 'spuntare' le cime che si sono allungate troppo), per ottenere il massimo delle future qualità organolettiche del vino già nel grappolo. "L'insolazione, la bassa umiditá, il suolo morenico ed il clima ventilato della valle sono ideali per la vite, e l'escursione termica tra giorno e notte consente di ottenere vini molto profumati. Ricordiamoci, come si suol dire, che il vino si fa in vigna: è questo il punto di partenza per ottenere buoni risultati".
È proprio così, ed osservando la cura e la pulizia dei filari si comprende l'orgoglio di Bosio che, mostrando i grappoli sui tralci, chiede di notare anche la bellezza del paesaggio. Impossibile non essere d'accordo con lui, ma il territorio, per una coltivazione di montagna come questa ("eroica" come si suol dire), non ha solo connotazioni positive.
"Il grado alcolico del mio vino – racconta Giuliano – non lo decidono solo il contenuto zuccherino e l'aciditá rilevata nella campionatura degli acini, a volte lo decidono i volatili: quando mangiano troppa uva capisco che è tempo di vendemmiare". E non bisogna solo difendersi dagli uccelli che fanno man bassa dei preziosi grappoli, anche cinghiali, caprioli e tassi in certe annate compromettono buona parte del raccolto.
Fino ai 50 anni Bosio non si è mai immaginato coltivatore, pur essendo originario di Almese e Rivera, terre di viticoltori. "I miei nonni e mio papà avevano le vigne. Da bambino mi 'comandavano' di dare una mano, assegnandomi la raccolta dei tralci dopo le potature o degli acini buoni caduti a terra durante la vendemmia, cosa che all'epoca non mi entusiasmava di certo... Non ho mai creduto di amare la campagna cosí tanto: nella vita mi sono occupato di macchinari industriali e ho trascorso 22 anni in Russia, e credo che la molla che mi ha riportato alle radici si sia attivata durante le lunghe solitudini moscovite. Il mio "trip onirico" si è concluso nel 2003, con la trasformazione in coltivatore diretto".
Una metamorfosi progressiva, con una missione importante. "Chi produce e vende vino non vende tanto l'etichetta, quanto il contenuto. In bottiglia ci sono conoscenza e fatica; in questo vetro sono racchiusi il territorio e l'uomo".
Anzichè "Ël Prussian", Bosio aveva pensato di chiamare il nuovo vino Persan, perchè il Bécuet, originario della Savoia e dell'Isère, è un vino transfrontaliero che in Francia assume questo nome. "Poi, nella mia vecchia collezione di cartoline d'epoca, ho trovato una foto del 1908 di mio nonno Andrea Bosio, che tornava dalle vigne 'il giorno di un dí di festa'. Il suo soprannome era "Ël Prussian". Purtroppo non c'è più nessuno in famiglia che possa spiegarmi la ragione di questo nome, ma ho deciso che fosse quello giusto per battezzare il nuovo vino e che l'etichetta dovesse riprodurre quell'immagine".
Tutti i nomi dei vini di Bosio hanno un forte legame con il territorio: il rosso Le Mute si rifà al nome in piemontese della zolla di terra, mentre il rosato si chiama "La Goja" (del Pis) ed il Baratuciat, ovvero il "Gesia Veja", è rappresentato con la vecchia torre romanica, ora campanile, del castellarium medioevale sulla collina di Almese.
Questa new entry made in Valmessa è un'altra scommessa: "Mi sono per primo occupato di Baratuciat, seguendo le orme di Giorgio Falca, possessore e riscopritore dell'unico vitigno rimasto in vita dopo secoli. Dopo la sua prematura scomparsa mi son ritrovato nel ruolo di battipista e divulgatore. Il Baratuciat è un vitigno molto ricco di qualitá e complesso, che può dare grandi performance quando si tramuta in vino, ma anche grosse delusioni".
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Per 3/4 anni è stato oggetto di studi e ricerche approfondite presso la facoltà di Agraria ed il CNR; ora le potenzialità della sua biodiversità continuano ad essere esaminate da Bosio, supportato da esperti del settore. "A settembre 2019, verificata la quantità necessaria per la vinificazione del Baratuciat "fermo", ho destinato 5 quintali di eccedenza di grappoli spargoli alla trasformazione in passito, messo ad appassire su una ventina di graticci realizzati per l'occasione. Ho costantemente girato i grappoli e dopo 6/8 mesi ecco il risultato: un prodotto già pronto da bere, che in parte lascerò invecchiare per monitorarne il comportamento nel tempo".