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Capita sempre più frequentemente di sentir parlare del Baratuciàt, un vitigno autoctono del nostro territorio recentemente riscoperto, che da qualche anno è protagonista della sagra almesina "Baratuciat, vitigno divino".
Sempre più spesso questo vino conquista prestigiosi riconoscimenti in Italia e all'estero. Ma qual è la sua storia? E quali le sue caratteristiche?
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Si pensa che il nome derivi dal popolare Bërla 'd ciàt, espressione piemontese volta ad indicare la forma allungata degli acini, associabile agli escrementi di gatto (ciàt nel dialetto locale), ma si ricordano anche altre varianti del nome come "Bertacuciàt" o "Berlu'd ciàt". Alcune fonti riportano la presenza di un bianco “grignolerium” dal sapore aromatico nei territori di Almese e di San Mauro nella prima metà del XIV secolo.
Viene menzionato per la prima volta nel Bollettino Ampelografico del 1877, periodo in cui è coltivato nei territori di Almese, Villar Dora, Rubiana, Rosta, Buttigliera e sulle colline di Rivoli e Villarbasse, probabilmente coltivato come uva da tavola. Si trattava di alcuni ettari coltivati ma, come accadde anche per altri vitigni piemontesi, le sue tracce si persero in seguito alla diffusione della fillossera, che in Valle di Susa arrivò intorno al 1930.
Vigne di Baratuciàt
La riscoperta si deve all’almesino Giorgio Falca, in modo curioso e casuale: nel 1991, prima di abbattere un’antica pergola d'uva che ombreggiava la casa, ne mise da parte alcune marze che affidò ad un vivaista per l'innesto su vite americana (per evitare la ricomparsa della fillossera). Le "barbatelle" furono messe a dimora e successivamente vinificate (anche se con la stessa procedura del vino rosso): si avviava così una piccola produzione destinata al consumo durante i pasti in famiglia.
Il vino cominciò a riscuotere un notevole apprezzamento, anche all'interno degli incontri e delle cene organizzate dall'Associazione “Siule pien-e”, che nasceva proprio in quegli anni e che aveva appena promosso la Sagra dedicata a questo piatto tipico, oggi uno degli appuntamenti di punta della rassegna "Gustovalsusa".
Falca decise così di impiantare settecento barbatelle e di affidarsi per la loro coltivazione alle indicazioni della Facoltà di Agraria dell'Università di Torino (i cui docenti Giuseppe Zeppa e Luca Rolle sono di casa ad Almese). Successivamente venne coinvolto il C.N.R. per le opportune ricerche storiche ed in vigna, mentre per la vinificazione ci si affidò alla cantina sperimentale presso il Centro Bonafous di Chieri, per trovare il giusto equilibrio.
Dopo vari esperimenti si appurò che la vinificazione in bianco, che avviene cioè senza la macerazione delle bucce, era quella che garantiva i migliori risultati, pur essendo una procedura piuttosto delicata, in quanto occorre assolutamente evitare fenomeni di ossidazione dovuti al contatto con l'aria e porre grande attenzione alla temperatura, che deve essere fresca e costante.
Giuliano Bosio e Giorgio Falca
Le indagini di CNR ed Università confermarono che si trattava proprio dell’autoctono Baratuciàt, e la tracciatura del DNA stabilì che non aveva alcuna parentela con gli altri vitigni italiani conosciuti.
Iniziò allora il suo rilancio, celebrato anche da Paolo Massobrio, che su La Stampa lo descrisse così: “Ora, da assaggiatore, posso dire che sono rimasto spiazzato… In bocca è rotondo, pieno, dal sorso setoso ed elegante, con un finale amarognolo caratteristico. E c’è da scommetterci che presto diventerà famoso”.
Sono proprio queste le peculiarità che rendono così interessante il Baratuciàt: dal caratteristico colore giallo paglierino scarico con gradevoli tonalità verdi, viene generalmente vinificato in purezza e nel medio periodo sviluppa profumi aromatici.
Nel primo anno si presenta con profumi di mela verde, fiori bianchi, ananas ed una nota di miele di acacia; in bocca è sapido, strutturato, ammandorlato nel finale.
Come si riscontra tipicamente negli ambienti montani, l'acidità totale risulta piuttosto elevata: il Baratuciàt è un vino di struttura importante e molto equilibrato, adatto ad accompagnare aperitivi, antipasti, pesci di mare, carni bianche, insalate estive e formaggi erborinati.
I produttori
La prima azienda agricola ad impiantare il Baratuciàt fu quella di Giuliano Bosio, nel 2007. "Ne rimasi folgorato", racconta Giuliano, che ne mise a dimora i primi 3500 metri quadrati sulla collina di Almese, dietro la Chiesa Vecchia e in borgata Magnetto, successivamente occupandosi anche dei vigneti di Falca dopo la sua prematura scomparsa.
Ad oggi Giuliano Bosio produce, in 5 etichette, 6000 bottiglie di Baratuciàt: quello "classico" denominato Gesia Veja ha vinto numerosi premi, tra cui la medaglia d’argento al Decanter World Wine Awards di Londra e le quattro stelle tra i “Vini da non perdere” assegnate dalla guida del Touring Club "Vini Buoni d’Italia".
Sempre da uve Baratuciat in purezza l'azienda produce lo spumante "Cin Cin Nato", realizzato con "metodo classico" (champenois), il passito "A passeggio" e l' "Autvin", dall'aroma ancora più fresco, un "cru" realizzato utilizzando solo uve provenienti dalla "vigne alte", eroiche. Dal 2020 spazio anche alla Gesia Veja: il Baratuciàt quando supera i tre anni dalla vendemmia assume profumi ed aromi di miele, frutta candita, pietra focaia e idrocarburi, che non hanno nulla da invidiare a quelli dei più noti Riesling e Chablis di Francia e Germania.
Vigne di Baratuciat a Rivera. Sullo sfondo la torre di San Mauro (Paolo Manenti)
In Valle di Susa e sulla collina morenica di Rivoli i produttori sono una quindicina, fra cui Azienda Vitivinicola Pierro per 4 ettari di superficie. Cascina Ranverso a Buttigliera Alta ha messo a dimora un vigneto di circa un ettaro proprio nei pressi dell'Abbazia di Sant'Antonio di Ranverso: il baratuciàt, vinificato in purezza, è denominato “6 Settembre” in onore della prima vendemmia, avvenuta nel 2018
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All’Azienda Agricola 'l Garbin della Maddalena di Chiomonte ne sono state impiantate tre vigne: vinificato in purezza nella cantina di proprietà, il vino porta il nome Madlena. Nella zona di Almese ci sono inoltre le vigne delle aziende agricole La Beccaccia di Villar Dora e CJB di Sant'Ambrogio, mentre sulla collina morenica di Rivoli/Avigliana la coltivazione è ripresa grazie ad alcune barbatelle fornite da Falca all'azienda Prever, che ha messo in commercio il Baratuciàt biologico "Le Spose".
Acini di baratuciat
A conferma del fatto che il vitigno ha preso gradualmente piede in tutta la bassa e media valle di Susa, è bene ricordare che sono almeno altre quattro le aziende che ad oggi lo coltivano. Fra queste, risalendo il territorio, troviamo Enrico Allais di Avigliana, Mauro Greppi con gli spettacolari terrazzamenti di Caprie a vista Sacra di San Michele del progetto Case Mandria, e ancora le aziende agricole segusine Ametlier, di Elisa Davi, e Agrinova, di Francesca Colombo: produzioni "piccole" ma di qualità elevata che arricchiscono l'offerta del bianco più famoso della Valle di Susa.
Elisa Davi di Ametlier all'opera in vigna
Ma il successo del Baratuciàt non si è fermato ai piedi della Sacra di San Michele: in Monferrato gli ettari destinati al Baratuciàt sono già sei, ed altre aziende agricole stanno iniziando la sperimentazione di questo vigneto anche in Langa. Qui la coltivazione è stata introdotta da Daniele Dellavalle prima e da Enrico Druetto poi, ma altri stanno seguendo il loro esempio.
La diversità climatica, il terreno calcareo e la vinificazione locale fanno scaturire un vino diverso da quello valsusino, meno fresco ma più corposo e strutturato, che raggiunge i 14 gradi contro i 12-13,5 della Valle di Susa.
Per ulteriori approfondimenti: Valter Giuliano e Giuliano Bosio, "Baratuciàt, la Valle di Susa ritrova un bianco D.O.C.", in Segusium, Anno LV - Vol. 56 (2018) - pp.163-184.