Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Un bel dì, agli inizi di settembre, sali ai 600 m di vigna “Ada”, quella del ciabot del 1911 (nella foto sopra al titolo). Ci vai per il rituale controllo della maturazione del Baratuciat...
Guardi i grappoli in trasparenza per controllare la loro salubrità. Li assaggi per percepirne acidità, dolcezza e gusto polifenolico. Misuri “la zuccherina” in loco per presumerne l'alcolicità...
È pronto. Domani sceglieremo e vendemmieremo quelli più spargoli e sani...
Li raccogli, scegliendoli. Poi scendi a valle con le tue cassette piene a metà, per non scaldarli troppo. Pesi l'uva fresca, per calcolarne la resa in uva appassita. La disponi su graticci nel locale dove ritieni che soleggiamento, umidità ed arieggiamento siano il meglio per la maturazione.
Il tempo trascorre con mondature settimanali acino per acino, accompagnate da trasposizioni dei graticci stile “soleras”.
Un giorno, finalmente, da vista, gusto e tatto percepisci bene la botrite cinerea, muffa in versione nobilis, la dolcezza caramellata negli acini, l'acidità sapida di quell'uva arrivata al punto giusto, accompagnata dalla giusta croccantezza e dalla giusta giusta “corposità fisica”.
Dulcis in fundo: arriva l’ora della prova del contenuto zuccherino. I gradi Babo od i Brix desiderati sono raggiunti. Avanti con la spremitura!
Dopo aver pesato l'uva appassita, ne riempi il torchio idraulico e di buona lena spremi e spremi. Dopo un po' ti appare il fior di mosto che, uscendo dalle doghe, cade nella canalina di raccolta per essere convogliato nel mastello, da cui verrà subito trasferito in vasca inox.
Questo lavoretto dura più di un giorno, con i diversi “smontaggi”, sgarbugliamenti e “rimontaggi” della vinaccia, fino ad esaurimento fuoriuscita del liquido nettare.
Dalla vasca del mosto non mi staccherei mai: un po’ per i nuovi profumi del Baratuciat e per la vista delle costellazioni di bolle delineate sulla superficie del liquido, un po’ per i vari assaggi del “bambino” in fasce.
Edonismo a parte, lo scopo segreto di tutto ciò è percepire, in anticipo, quegli odori o sapori che potrebbero parlarti di muffa, feccia, aceto, ecc… Nulla di tutto ciò: Evviva! Dal tinaggio possiamo quindi portarlo in cantina.
Là resterà il tempo necessario per la sue sfecciature, fermentazioni, riscaldi, raffreddamenti, chiarifiche, filtrazioni ed imbottigliamenti.
Risultato finale: avremo un vino dolce, di color oro, in vecchiaia ambrato.
Un muffato con inconfondibile ampiezza ed intensità di profumi: tostatura, frutta essicata, miele, mango, caamello, zafferano, ecc.
In bocca morbido, non stucchevole con freschezza bilanciata, ammandorlato, persistente.
Longevo: dopo due anni di affinamento già solo in bottiglia ha poco da invidiare ai molto più famosi Sauternes o Tokaji.
La “morte sua” sarà l’abbinamento al fegato, meglio ancora se paté, ai formaggi erborinati (muffati), alla paste dolci secche, al cioccolato fondente...
Anche seduti in poltrona, con un bel libro, davanti o non al caminetto, non sarà affatto male! Il rischio sarà però quello di scolarsi tutta la bottiglia da soli!
SCOPRI DI PIÙ: Giuliano Bosio, vino e olio in Valsusa