Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
La ciliegia può nascere da due diverse specie botaniche: il ciliegio dolce (Prunus avium), che produce le ciliegie che siamo abituati a consumare come frutta fresca, e il ciliegio acido (Prunus cerasus), che produce amarene, visciole o marasche. Questo porta ad una grande varietà di frutti, diversi sia per la consistenza della polpa che per il colore: normalmente è rosso ma può andare dal giallo chiaro del Graffione al rosso quasi nero del Durone.
In Italia sono principalmente diffuse due categorie di ciliegie: i duroni, più grandi e scuri, e le tenerine, più chiare e piccole. La raccolta ha inizio dalla metà di maggio fino ai primi di luglio; per la costituzione naturale (gli alberi sono grandi ed i frutti relativamente piccoli), buona parte del costo delle ciliegie è dovuto agli oneri di raccolta.
Si dice che le ciliegie vadano mangiate prima del 24 giugno, festa di San Giovanni. In realtà questo vale solo per le ciliegie precoci e di media maturazione, che più si va avanti nel tempo e più rischiano di essere infestate dal Dittero Rhagoletis Cerasi, piccola larva bianca detta appunto "giovannino", gianìn in piemontese. I più “coraggiosi” comunque sostengono che basta non aprire i frutti ed invitano ad inghiottirli interi (ad esclusione, naturalmente, del seme): “basta non saperlo: il gusto non ne risente...”
Un liquore antico, da preparare anche a casa propria
Il termine “ratafià” indica qualsiasi tipo di liquore composto da un infuso a base di succhi di frutta e alcool, di cui esistono diverse tradizioni locali, principalmente in Italia, Spagna, Francia e Svizzera.
Il Ratafià più comune in Italia è quello di ciliegie, un infuso alcoolico nato intorno al 1600 nel Monastero di Santa Maria della Sala ad Andorno Micca, in provincia di Biella. Di qui il liquore si è diffuso rapidamente in tutto il Piemonte, per approdare all’Italia Centrale e in particolare in Abruzzo.
La tradizione vuole che il ratafià, dolcissimo, succoso e fruttato, venga preparato con le visciole intere o denocciolate, con aggiunta di vino rosso, alcool e zucchero, ma le varianti esistono e sono diverse a seconda se preparato nel Nord o nel Sud dell’Italia. Via libera quindi all’utilizzo di ciliegie nere o di grappa, ed all’aggiunta di caffè, vaniglia e cannella.
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Digestivo dal colore rosso- violaceo, con sentore di frutti di bosco e con un profumo unico, molto apprezzato e menzionato da Gabriele D’annunzio , ma non solo (è citato da Paolo Conte nelle sue canzoni, ad esempio). Durante l’epoca Liberty il ratafià, come il rosolio, fu uno dei liquori associato alla pasticceria e preparato in molte varianti: all’arancia, ai datteri di Tunisia, alla fragola, all’ananas, alle pesche, al limone, all’angelica, al caffè.
Oggi il ratafià viene ancora prodotto, e con successo, dal liquorificio Giovanni Rapa, dal 1880 sito ad Andorno Micca in Valle Cervo. Lo scrittore Angelo Brofferio, ne “Le Tradizioni Italiane” (1848), riporta la leggenda di un liquore di ciliegie nere che, nell’anno 1000, salvò dalla peste la popolazione di Andorno, rendendo possibile il matrimonio tra la figlia dell’inventore di questo liquore e il figlio del suo più fiero nemico.
La pace tra le due famiglie fu così ristabilita, e la frase che venne pronunciata a suggello dell’unione tra i due giovani, “et sic res rata fiat”, diede il nome a questo liquore. Nel 1700 lo speziale Pietro Rappis ne iniziò la produzione artigianale; nel 1880 Giovanni Rapa, fondatore dell’omonimo liquorificio, ne raccolse la tradizione che ancora prosegue nel rispetto delle antiche ricette.
La ricetta del Ratafià
Il ratafià può essere preparato anche in casa. Eccovi la ricetta; vi serviranno:
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800 g di amarene
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1 litro di vino rosso
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500 g di zucchero
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300 ml di alcool a 90°
Lavate le amarene ed eliminate il picciolo tagliandole in due. Mettetele insieme al vino in un recipiente di vetro piuttosto grande che chiuderete ermeticamente ed esporrete al sole per circa quaranta giorni, lasciando fermentare il tutto e rimestando periodicamente.
Trascorso questo tempo, filtrate il composto e aggiungete lo zucchero e l’alcol. Mescolate bene e lasciate macerare per due settimane in luogo fresco, poi filtrate ed imbottigliate.
Era tradizione usare appositi servizi per il liquore che comprendevano delle bottiglie e dei bicchierini piuttosto eleganti magari in vetro molato, oggi retaggio di eredità o frutto di acquisti nei mercatini.
Fonti:
Elio Casati e Giorgio Ortona, I dolci Liberty, Mondadori
www.liquorificiorapa.it
www.wikipedia.it