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Il nome scientifico dell’albero sul quale maturano è mespilus germanica, ossia nespolo comune, una pianta un tempo molto diffusa oggi soppiantata dal nespolo giapponese, che appartiene ad una specie differente e fu inizialmente importata alla corte di Francia a fini decorativi.
Le due varietà di piante danno frutti differenti: in italiano sono detti entrambi nespole, mentre i frutti della variante germanica in Piemonte sono noti con il termine “pocio” (da pronunciarsi “puciu”).
“Pocio”
Le due tipologie di frutti si differenziano per forma, colore e periodo di maturazione: il "pocio" viene raccolto in autunno, ha forma più tonda e buccia di colore verde-grigio-marroncino tenue, che al termine della maturazione diviene più scura. È inoltre caratterizzato da una evidente cavità nella parte inferiore.
La nespola giapponese, raccolta in primavera, è più oblunga e liscia, ed ha un colore vivace sulle tonalità del giallo.
Nespole giapponesi
Ricoperti da una finissima peluria, i "pocio" vengono raccolti ancora acerbi e maturano una volta staccati dalla pianta. A questo frutto sono dedicate, in alcune zone del Basso Piemonte, apposite fiere che si tengono a ridosso dell’inverno. Il nespolo comune è particolarmente resistente al freddo e la raccolta dei suoi frutti avviene infatti alla fine di ottobre.
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I “pocio” sono utilizzati per marmellate e per essere consumati come frutti, ma non subito: dopo essere stati staccati dalla pianta, infatti devono essere messi a riposo nella paglia in ambiente ben aerato. Questa operazione contribuisce a garantire il tepore necessario alla lenta e lunga maturazione, che spesso prosegue ben oltre il Natale, a tutto vantaggio della dolcezza del frutto. La trasformazione enzimatica, infatti, lentamente soppianta l’originale gusto acidulo dei "pocio": i tannini si trasformano in zuccheri, così che la polpa diviene dolce man mano che il tempo passa.
Per questo il proverbio piemontese “Con ël temp e con la paja a maduro ij pocio” (con il tempo e con la paglia maturano i "pocio") è un invito alla pazienza. E “stago da pocio”, ovverosia sto come un "pocio", equivale a dire che si attraversa uno stato di pace, riposo e tranquillità nel tepore domestico.
La forma tondeggiante di questi frutti è simile alla piccola crocchia di capelli che un tempo le ragazze erano solite raccogliere e fermare dietro la nuca. Tale acconciatura, che identifica la forma a chignon dei capelli, prese il nome di "pocio" o "pocionin", e per estensione divenne un vezzeggiativo amoroso per indicare le giovani ragazze.
Il piemontese doc sa che il termine “pocio” viene utilizzato anche per evocare un’immagine figurativa di qualcosa di protuberante: “fé pocio” indica un rammendo o cucitura mal eseguiti, così come un abito dalla vestibilità difettosa, mentre un bimbo che fa “il pocio" con le labbra le stringe e sta per scoppiare in un pianto a dirotto.