Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
L’arnica montana è una pianta erbacea dai fiori sgargianti simili a margherite, di colore giallo aranciato, con gradevole odore aromatico, che cresce tra i 500 ed i 2000 metri di altitudine ed è totalmente assente in pianura.
Diffusa su tutti i rilievi alpini europei e nella penisola scandinava, non è presente nelle isole britanniche. Appartiene alla famiglie delle Asteracee o Compositae, di cui fanno parte anche lattuga, tarassaco, girasoli, carciofi, assenzio e, tra le piante officinali, camomilla, calendula e grindelia.
Trova il suo habitat ideale in terreni poveri come pascoli, brughiere e torbiere, con substrato acido. Appartenente alla flora protetta, si sta progressivamente rarefacendo a seguito dell’incremento delle coltivazioni intensive.
Ha un fusto eretto, dai 20 ai 60 cm di altezza e pare che il suo nome sia da ricondurre ad un’alterazione del termine tardo-latino ptàrmica, a sua volta derivazione del greco ptarmikos, ovvero “starnutatorio”, in quanto annusare la pianta provoca starnuti. Un’altra variante etimologica, invece, associa la sua denominazione alla parola greca arnakis, che significa pelle d’agnello, in virtù della sottile e delicata tessitura delle foglie della specie.
L’arnica montana si caratterizza per due tipi di foglie: quelle basali, dalla forma ellittica, coriacee e prive di peli nella parte inferiore, e quelle cauline, ovvero distribuite lungo il fusto, non sempre presenti, opposte a coppie e di dimensioni minori.
Anche i fiori, che compaiono tra maggio ed agosto, sono composti da due parti: la corolla esterna, giallo-dorata, con petali a raggiera dalle estremità tridentate e un bottone interno leggermente più scuro, con stami di colore arancio o giallo-bruno.
Rimedio per traumi e contusioni, ma attenzione alla tossicità
L’impiego di arnica montana è ben noto agli sportivi come medicamento in caso di traumi e lividi, e le sue virtù antinfiammatorie sono riconosciute anche dalla medicina veterinaria, che la impiega in particolar modo per curare gli equini.
La pianta contiene un glicoside, chiamato arnicina, che ha un’azione simile alla canfora ed i massaggi con arnica offrono immediato sollievo. Per applicazioni esterne di creme e pomate a base d’arnica bisogna comunque sempre prestare attenzione che la cute sia integra e priva di lesioni.
Se ingerita, la tintura di arnica non diluita può provocare seri problemi, dalla tachicardia ed enterite fino al collasso cardiocircolatorio e paralisi, contro cui non sono noti antidoti.
Arnica in Valle di Susa (Vincenzo Bonaudo).
In fitoterapia l’arnica viene impiegata in granuli, creme o tinture, per contrastare dolori reumatici, alopecia, punture d’insetti e geloni. Le popolazioni montane ne conoscono anche la proprietà decongestionante delle vie respiratorie e dalle foglie di arnica viene ricavato il tabacco di montagna, impiegato nella pipa o come tabacco da fiuto, noto in Francia come tabac des Vosges (tabacco dei Vosgi, dall’omonima catena).
Dai fiori della pianta si ricava per macerazione l'oleolito di arnica, utile nella cosmesi per combattere le gambe pesanti e le vene varicose, favorendo la circolazione sanguigna.
Una pianta amata da Goethe, protagonista di alcune leggende
Benché abbia componenti tossiche, l’arnica fu celebrata da Goethe perché un suo decotto lo ristabilì completamente da un attacco di angina pectoris da cui era afflitto.
Nei rituali amorosi del solstizio estivo, l’arnica compariva insieme all’iperico ed alla felce e ad essa si attribuivano virtù afrodisiache ed influenze meteorologiche, tanto che veniva bruciata durante i temporali.
Arnica Montana (Enrico Blasutto - Wikipedia).
Vi sono anche numerose leggende che vedono protagonista la pianta. Una di queste narra che una sposa, bellissima, accettò di convolare a nozze solo dopo aver ottenuto la garanzia che nessuno avrebbe mai toccato i suo capelli, che in realtà erano raggi di sole. Dal matrimonio nacquero tre figli.
Una sera il marito, dimenticandosi della promessa, carezzò teneramente i capelli della moglie ed essa scomparve, ripresentandosi ai parenti solo come spirito. Una delle sue figlie, smaniosa di rivedere la madre, si rivolse allora ad una strega che spezzo l’incantesimo: i capelli della donna caddero al suolo, dando vita alla pianta dell’arnica e sul suo capo comparvero dei capelli umani.
Un’altra leggenda racconta invece l’impossibilità della celebrazione della Pasqua a causa del diavolo che faceva scomparire tutti gli agnelli. Due amici vollero sfidare il demonio, attendendolo di notte con le forche in mano.
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Egli si presentò e rapì uno dei due giovani, dicendo che lo avrebbe liberato solo quando l’amico fosse riuscito a portare la luce nel regno oscuro, convinto che ciò non sarebbe mai accaduto. Il giovane rimasto libero raccolse al pascolo i semi dell’arnica, li bagnò con acqua del fonte battesimale e quando la notte il diavolo si ripresentò lo provocò, facendosi rapire. Condotto negli inferi, il ragazzo distribuì a terra i semi: questi, germogliando, dettero vita a fiori che riempirono di luce gialla le tenebre. Come da promessa, i due giovani furono liberati.
Per questo l’arnica è simbolo della luce del sole dopo il buio. E a tal proposito viene utilizzata anche per curare non solo quei traumi che hanno toccato il fisico, lasciando lividi ed ematomi evidenti, ma anche quelli che hanno avuto impatto sullo stato emotivo, creando ferite profonde ma più difficili da scorgere.