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Sono molte le usanze e le tradizioni legate alla festa di Ognissanti e al giorno della commemorazione dei defunti, in Italia e in diverse parti del mondo
In Messico il “dìa de Muertos” è addirittura diventato patrimonio dell'umanità nel 2003. Qui l'usanza, oltre alla consueta visita dei cimiteri con l'addobbo delle tombe con fiori e doni vari, è quella di preparare in casa un piccolo altare domestico arricchito con immagini del defunto, fiori, cibo e altri doni.
Anche in Italia ritroviamo varie usanze legate a questo giorno: in alcune zone della Lombardia, la notte tra l'1 e il 2 novembre si lascia in cucina un vaso di acqua fresca perché i morti possano dissetarsi; anche in Friuli si lascia un secchio d’acqua, oltre ad un lume acceso, e un po’ di pane; in Veneto gli amanti offrono alle promesse spose un sacchetto con dentro dolci in pasta frolla colorata, i cosiddetti "Ossi da Morti".
In Trentino le campane suonano per molte ore per richiamare le anime che si dice si radunino intorno alle case a spiare dalle finestre, e per questo la tavola si lascia apparecchiata e il focolare resta acceso durante la notte; anche in Val D’Aosta le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero.
In Liguria si preparino i "bacilli" (fave secche) e i "balletti" (castagne bollite), qui in passato, alla vigilia del giorno dedicato ai morti, i bambini si recavano di casa in casa per ricevere il "ben dei morti" (fave, castagne e fichi secchi), poi recitavano le preghiere e i nonni raccontavano storie e leggende paurose (una sorta di Halloween nostrano!).
Anche in Sardegna la mattina del 2 novembre i ragazzi si recano di porta in porta per chiedere delle offerte e ricevono in dono pane fatto in casa, fichi secchi, fave, melagrane, mandorle, uva passa e dolci. La sera della vigilia anche qui si accendono i lumini e si lasciano la tavola apparecchiata e le credenze aperte.
In Umbria si preparano dei tipici dolcetti a forma di fave, detti "Stinchetti dei Morti"; in Abruzzo, oltre all’usanza di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care, e i bimbi si mandano a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti. A Roma, così come già facevano gli antichi cristiani, la tradizione vuole che, il giorno dei morti, si consumasse il pasto accanto alla tomba di un parente per tenergli compagnia; in Sicilia il 2 novembre è una festa particolarmente gioiosa per i bambini, infatti viene fatto loro credere che, se sono stati buoni e hanno pregato per le anime care, i morti torneranno a portar loro dei doni. Così, mentre dormono, i genitori preparano i tradizionali "pupi di zuccaro" (bambole di zucchero), con castagne, cioccolatini e monetine, e li nascondono per farli cercare ai bimbi al mattino, che in tal modo sono convinti che durante la notte i morti siano usciti dalle tombe per portare loro i regali.
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Come abbiamo visto molte di queste usanze riguardano il cibo e la tavola; spesso sono i dolci ad essere preparati e consumati, quasi a voler mitigare il sentimento di tristezza legato al ricordo di chi non c'è più. Ovviamente anche il Piemonte conta molte di queste usanze: nella sera di Ognissanti in molte zone della regione ci si reca a far visita ai defunti al cimitero lasciando a casa la tavola apparecchiata in modo che le anime dei defunti possano rientrare nelle loro case e banchettare; il ritorno dei vivi nelle abitazioni viene annunciato dal suono delle campane, così che i defunti possano dileguarsi. In alcuni casi per la cena del primo novembre si apparecchia la tavola con un coperto in più dedicato ai defunti.
Molte sono le preparazioni dolci e salate che accompagnano la giornata dei defunti: gli “os dij mort” (ossi di morto), biscotti duri e croccanti dalla tipica forma di osso, tendenzialmente tibia o femore, preparati in tante versioni quante sono le valli montane dove si usano; la “cisrà”, zuppa di ceci e costine diffusa soprattutto nella zona delle Langhe e del Monferrato; la “supa ad coi” (zuppa di cavolo) dove si uniscono la carne di maiale e la verdura dei primi freddi.
Questo tipo di zuppa, chiamata anche “supa dij mort” è diffusa sopratutto nella zona del Canavese e originariamente era preparata con il cavolo di Montalto Dora, paese vicino ad Ivrea. Nelle valli valsusine invece esiste una versione diversa della supa dij mort, che non prevede l'uso né del cavolo né della carne di maiale, bensì dei grissini, un po' come la più nota “supa barbetta” tipica della cucina Valdese.
La Supa dij mort
La Supa dij mort nella versione valsusina, in particolare quella di San Giorio, si prepara con:
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una cipolla
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100 g di burro
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2 cucchiai d'olio
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una cucchiaiata di erbe aromatiche dell'orto (salvia, rosmarino, timo, basilico)
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2-3 cucchiai di salsa di pomodoro
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500 g di grissini
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brodo di gallina o di manzo
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una manciata di parmigiano grattugiato
Per prepararla si fa soffriggere la cipolla tritata nel burro e olio, si aggiungono le erbe aromatiche, il pomodoro, i grissini rotti grossolanamente e il brodo. Si fa cuocere per circa 30 minuti dopodichè si cosparge di parmigiano e si mette in forno a dorare.
Tradizionalmente questa zuppa veniva consumata alla fine della ricorrenza dedicata ai defunti e in tavola veniva posto anche un lumino che si lasciava acceso per tutta la notte.
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