Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Il Chronicon Novaliciense, tramandato in scrittura minuscola carolina dell’XI secolo, quantunque scritto in latino, è la prima opera estesa (nella forma di rotulo) della storia della letteratura italiana. L’imperatore Marco Aurelio (II secolo d.C.) scrisse i Colloqui con sé stesso in greco, ma tali pensieri o ricordi appartengono alla letteratura latina in quanto sono espressione del mondo romano.
La fondazione dell’abbazia di Novalesa (30 gennaio 726) è la prima testimonianza documentata di Cristianesimo in Valle di Susa. Il citato Chronicon parla tuttavia all’inizio di una Priscilla, nipote di Nerone, venuta nella nostra Valle al seguito di San Pietro.
Una notizia inverosimile è poi relativa all’iscrizione dell’arco di Augusto di Susa, peraltro ben tratteggiato sotto l’aspetto geografico: secondo il cronista vi sarebbero indicati i beni e i possedimenti dell’abbazia, mentre invece nella dedicazione all’imperatore Augusto sono elencate le quattordici comunità che sottoscrissero l’accordo fra Susa e Roma.
In generale però il Chronicon si presenta attendibile e assai interessante in molte sue parti, e oggetto in tal senso di una rivalutazione da parte della critica moderna.
L’opera comprende notizie degne di riguardo sulla vita del monastero, sui libri (6666), l’epopea di Valtario guerriero (cfr. l’espressione “calar le brache”), l’elezione dell’abate, gli abati importanti (Asinario, Frodoino, Amblulfo, Ugo, Eldrado), la battaglia delle Chiuse in Valle di Susa del 773 tra Carlo, re dei Franchi, e Desiderio, re dei Longobardi, la vicenda del giullare preziosa per la vittoria dei Franchi, l’abilità di copista di Atteperto, l’attenzione di Eldrado per l’esame critico dei testi, l’arrivo dei Saraceni all’inizio del X secolo, considerazioni severe sull’abate Domniverto e sulla fuga a Torino, a Sant’Andrea, divenuta nel Seicento il Santuario della Consolata (rimane di quel periodo lo splendido campanile romanico attribuito a Bruningo), infine lo stabilimento a Breme, in Lomellina, luogo esaltato per la posizione geografica e probabile luogo di appartenenza
del cronista, il recupero e la ricostruzione delle quattro cappelle preromaniche e romaniche.
Le cappelle devono alla decadenza la loro conservazione nelle forme primitive mentre la chiesa abbaziale, al tempo dei monaci cistercensi, fu oggetto di un rinnovamento per impulso di Vittorio Amedeo II, compiuto nel 1712 (architetti Francesco Gallo e Antonio Bertola).
Tutte le cappelle hanno affreschi o tracce deboli di affreschi, e quella che può considerarsi un capolavoro pittorico, intitolata a Sant’Eldrado, presenta nello stile del XII secolo storie di Sant’Eldrado e San Nicola. A questi potrebbe adattarsi il pensiero dello scrittore tedesco del Settecento Wilhelm Wackenroder che diceva che chi contempla e comprende il mondo rappresentato nella pittura prova la stessa gioia che se pregasse.
Gli splendidi affreschi della Cappella di Sant'Eldrado.
Tra le altre diverse testimonianze pittoriche la chiesa abbaziale presenta una pregevole, romanica, lapidazione di Santo Stefano. Sono notevoli anche le absidi delle cappelle di Santa Maria Maddalena (già dedicata alla Vergine Maria) e di San Michele, antiche perché rettangolari. La più tarda delle cappelle, e tuttavia romanica, è quella del Salvatore, a cui conferisce antichità la pietra in vista. Può allora sorprendere che quelle più antiche siano intonacate.
L’abbazia, dopo splendori e rovine, subì la soppressione napoleonica all’inizio dell’Ottocento e fu ripristinata una quindicina di anni dopo; quindi ebbe una nuova soppressione tormentata in seguito alla legge Rattazzi del 1855, non pertanto in seguito alle leggi Siccardi del 1850 (cfr. relativamente a queste ultime, per l’abolizione del foro ecclesiastico, l’obelisco di Piazza Savoia a Torino). I tre monaci superstiti, dopo pressioni e abbandoni, nel 1856 dovettero lasciare il monastero, cedendo solo alla forza.
A distanza di circa 120 anni, dopo due usi civili intermedi, l’abbazia fu acquistata dalla Provincia di Torino e vi tornarono dall’isola di San Giorgio di Venezia quattro monaci benedettini tra la metà di luglio e l’inizio di agosto del 1973. Vi sono fioriti, tra l’altro, una rinnovata vita religiosa, un laboratorio di restauro del libro, uno studio teologico diocesano e una scuola di canto gregoriano.
(...)
Continua al leggere sul sito Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti (Germano Bellicardi).