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Nell’autunno del 1944, dopo la caduta della linea Gustav, la liberazione di Roma, lo sbarco in Normandia, la sconfitta per i nazifascisti si avvicina: gli Alleati raggiungono l’Appennino e non solo le montagne ma anche i paesi di fondovalle, e perfino Alba, vengono occupati dai partigiani.
La frustrazione dei nazifascisti diventa così ferocia, vendetta, accanimento sugli inermi: le sconfitte nei combattimenti i soldati le vendicavano infierendo sulla popolazione.
Il rastrellamento del 28-30 novembre 1944
Dopo aver sorpreso i partigiani della brigata “Antonio Catania” alla Verna di Cumiana, i rastrellatori circondano la Val Sangone e la bloccano. Nessuno può scendere oltre Trana e uscire dal cerchio, nemmeno le donne. Al mattino di mercoledì 29 novembre si ha notizia che il rastrellamento si svolge su per la montagna con i tedeschi che incendiano le borgate e uccidono… A mezzogiorno compaiono in paese e l’altoparlante dice ai quattro venti che l’ordine sta per essere riportato in paese.
Il coprifuoco comincia alle 14.00, chi sarà trovato fuori sarà passato per le armi. Incominciano le perquisizioni. Drappelli e soldati tedeschi non sono più guidati da ufficiali e graduati, sfondano le porte che non si aprono ai loro colpi.
L’ordine dei comandi partigiani è di lasciar filtrare le pattuglie tedesche che battono la montagna, senza impegnarsi in combattimento. I nascondigli predisposti avrebbero dovuto garantire l’occultamento.
La tattica riesce solo nella zona di Forno. Nella zona di Provonda - Prese della Franza, la prima ad essere investita dall’attacco e dove le forze tedesche si concentrano più numerose, le bande «Frico» e «Campana» vengono sorprese dai rastrellatori senza avere il tempo di raggiungere i rifugi.
Per sfuggire all’accerchiamento le formazioni di Federico Tallarico e Guido Usseglio combattono in ritirata e cercano di disperdersi verso la valle della Chisola. Vi sono scontri al Fusero, alla Merlera, alla Tora, a Budini, alle Prese della Franza: una decina di uomini cadono sul campo, altri sono catturati.
Mentre i partigiani cercano di sfuggire ai pattugliamenti nazifascisti, la popolazione civile si trova di fronte ad un’offensiva che non fa distinzione tra uomini delle bande e valligiani. Se la memoria del rastrellamento di maggio è legata alla fossa comune di Forno e alla fucilazione dei combattenti catturati, quella di novembre è legata invece alle atrocità contro i civili, agli incendi delle borgate, ai saccheggi.
In questi giorni vengono uccisi la maggior parte dei cinquanta civili di Giaveno caduti durante la Resistenza: 15 a Provonda, 6 a Mollar dei Franchi, 16 tra Ruata Sangone e Monterossino. E negli stessi giorni vengono incendiate intere frazioni dell’alta valle: Fusero, Ciamussera, Prese Loiri, Dindalera, Praverdino, Polatera. La montagna paga il prezzo della sua adesione al movimento resistenziale, della complicità con i partigiani, del rifugio offerto alle bande.
“ll rastrellamento di novembre l’hanno fatto più su di noi, sulla gente, che sui partigiani. Entravano nelle case, bruciavano, rubavano. Si vedeva che per loro non faceva differenza, partigiano o no, qui ormai eravamo tutti ribelli per i tedeschi” ricorda Luigi Oliva, classe 1910.
Sulle case di Provonda lapidi, croce e fotografie ricordano che il 29 novembre 1944 “I nazifascisti stroncarono col piombo la giovinezza di Moschietto Mea Elda ed Usseglio Nanot Irene, entrambe di 22 anni.
”Si sono buttati contro la gente e non hanno risparmiato nessuno. A Provonda hanno messo al muro le tre sorelle Moschietto, la madre si è buttata in mezzo perché fucilassero anche lei. Allora gliene hanno lasciata libera una, poi hanno sparato. Facevano le cose con tanta fretta, che non guardavano neanche se avevano ucciso davvero. Infatti una di quelle ragazze era solo ferita, è rimasta immobile fino a che se ne sono andati, cosi si è salvata. Era questa la tragedia. Al mattino erano una famiglia con tre figlie, poi dovevano essere ammazzate tutte, alla fine è morta solo una, la Elda, che aveva ventidue anni. Si era talmente nelle loro mani che si poteva morire o restare salvi senza un motivo, senza un perché” conclude Ines Barone, maestra e staffetta partigiana.
Alla borgata Ceca di Provonda l’episodio più atroce. Bruno Viretto, un ragazzo di quattordici anni, bruciava nel rogo della sua casa con la madre, una zia e un’anziana congiunta: un adolescente e tre donne arsi vivi perché la zona era stata sede delle bande.
Tre delle vittime dell’episodio più atroce del rastrellamento, bruciate nella loro casa incendiata dai nazifascisti.
Mentre la truppa saccheggiava liberamente, il Comando tedesco decideva l’esecuzione dei partigiani catturati: 17 uomini, alcuni dei quali prelevati dalle carceri di Torino, erano fucilati sulla piazza di Giaveno il 30 novembre e lasciati esposti sino al mattino successivo: “era la stessa scena di maggio: gli sparavano costringendo la gente a guardare, poi volevano che i corpi non fossero sepolti e guai se qualcuno si avvicinava” (Onorina Oliva 1918 negoziante di Coazze).
“Adesso è persino difficile ricordare quando le cose sono capitate, le tragedie erano quasi tutti i giorni quando c’erano i rastrellamenti. Quelli che hanno fucilato a novembre erano partigiani, ma non tutti di qui: alcuni erano della val Chisone e li avevano presi alla Verna. Ma per noi erano dei ragazzi morti, che ci obbligavano a guardarli, e facevano pietà e non si poteva fare niente, neanche per metterli nella tomba” (Giuseppina Battagliotti, 1913, operaia di Giaveno).
Il 1° dicembre, dopo quattro giorni di violenze, i nazifascisti lasciavano Giaveno, paghi dell’esempio dato alla popolazione e alle formazioni: “partigiani non ne avevano presi molti, ma il loro intento era terrorizzare la gente e con i sistemi che usavano c’erano riusciti” (Ines Barone). “Si, se ne andavano, ma lasciavano addosso alla gente il terrore” (Luigi Oliva).
Le testimonianze dettagliate del rastrellamento sono raccolte in 214 esposti indirizzati nel dopoguerra al comune di Giaveno (Archivio Giaveno, cat VIII, classe 3, fascicolo g: “Denunce per danni subiti nel rastrellamento del novembre 1944”), in cui vengono denunciati i danni subiti: i calcoli fatti dal CLN raggiungevano una cifra di parecchi milioni.
Continua al leggere sul sito "Scuola Guido": Provonda di Giaveno, novembre 1944: i nazifascisti rubavano di tutto, anche le vite umane.
Testimonianze e passi liberamente tratti da La Resistenza alle porte di Torino di Gianni Oliva, 1989.