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A Giaveno, lungo la strada che dalla Parrocchiale di San Lorenzo punta diritta ad ovest verso Coazze, passando da Pontepietra, l'edificio più imponente è Villa Garrone. Si trova sulla destra ai confini dell'abitato.
Da diversi anni è stata trasformata in un ritiro per le suore anziane dell’ordine di Santa Giovanna Antida Thouret, fondato dalla religiosa a Besançon, l’11 aprile 1799.
Parco di Villa Garrone (foto Claudio Rosa)
Nel 1944 la villa era di proprietà del Commendator Garrone, un ricco industriale che possedeva alune fonderie.
Il 10 maggio di quell’anno viene occupata dai tedeschi, che vi stabiliscono il comando dell'Operazione Habicht: il tragico rastrellamento di maggio.
Il fatto, come tutta la cronaca di quei giorni, è raccontato nel Diario dell’allora podestà Giuseppe Zanolli, che va dal 9 settembre 1943 al 30 aprile 1945. Il testo, ora dattiloscritto e conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, costituisce una fonte importante di notizie per ricostruire la storia locale di quel periodo.
Zanolli è protagonista di un difficile equilibrismo tra le minacce tedesche e la tutela della popolazione: il 12 maggio, chiamato a Coazze dal comandante del presidio tedesco è obbligato a fare anche lì il podestà.
La sua risposta è chiara: “Sta bene, io provvederò, però potrò e dovrò intervenire anche in favore della popolazione che provvisoriamente mi viene affidata. Quindi chiedo che siano messi in libertà alcuni uomini di Coazze anziani e che nulla hanno a che fare con i partigiani”. Concesso.
Nei giorni del rastrellamento continua ad aiutare popolazione e partigiani, fino a diventare sospetto alle autorità fasciste: “Sappia che abbiamo tante denunce contro di lei. È protetto dalla Prefettura ma badi che sa un dato punto le protezioni non contano più. Stia attento.”
Finirà in carcere dal 25 settembre al 22 dicembre 1944. Nel dopoguerra verrà eletto Sindaco di Giaveno, restando in carica dal 1951 al 1956.
Il 4 maggio è avvertito che le truppe inviate a Rubiana, finito il rastrellamento, raggiungeranno Giaveno. Appena i militari saranno in paese verranno richiesti ostaggi “come da tutte le altre parti, per mettersi le spalle al sicuro da eventuali cattivi intendimenti della popolazione. Avverto di tutto popolazione e partigiani”.
Giuseppe Zanolli
Il 10, alle ore 5, salgono da Avigliana e Orbassano camion e carri armati. Gli uomini impiegati sono fra i 2000 e i 3000: poco meno della consistenza di una divisione.
Ci sono le compagnie di SS italiane, una compagnia di metropolitani, il corpo che sostituisce quello soppresso dei vigili urbani, comandata dal tenente Saia, un pattuglione di carabinieri che ha aderito alla Guardia Nazionale Repubblicana e, soprattutto, quattro compagnie di Alpenjager, gli sciatori tedeschi addestrati alla guerra in alta quota, che scendono dalla montagna, attraverso il Colle della Russa e il Col Bione.
È una vera e propria occupazione della vallata: una risalita dal fondovalle ed una conversione dai colli vicini.
L’operazione è affidata al colonnello Ludwig Buch, comandante del 15° reggimento di polizia SS, coadiuvato dal tenente colonnello Otto Böckeler, arrivato da Pinerolo alla guida del reggimento di sicurezza 38, specializzato nell'organizzazione di operazioni antipartigiane.
Tre tedeschi armati scortano in piazza San Lorenzo il podestà al cospetto del tenente colonnello che vuole una “buona casa o villa per collocare il comando”. Alla risposta che tutte le abitazioni sono occupate dagli sfollati chiede di essere accompagnato a Villa Garrone.
“Si vede che conosce come me ed anche meglio dove si può star bene. Mi fa salire in macchina e, senza mio intervento, questa si ferma davanti al cancello che viene tosto aperto dal portinaio. Dopo un lungo suonare alla porta interna della Villa si presenta personalmente - in veste da camera - il commendator Garrone. Forse arrabbiato per la insolita sveglia il commendatore alla richiesta di locali risponde negativamente e male al tenente”.
Il militare, arrabbiato, “mi fa dire dall’interprete che il Garrone è certamente un antitedesco ed un favoreggiatore ,per cui intende sloggiarlo completamente, indi arrestarlo e distruggere poi la villa intera”.
Ribatto che “il Garrone è un povero vecchio che, svegliato all’improvviso dal sonno, è imbronciato come un bambino, ma che, se lascia fare a me, la questione sarà liquidata. Infatti mentre entro in casa scende dalle scale la figlia del Garrone, che presento al tenente e si trovano subito d’accordo”.
Servono altri alloggi per gli ufficiali, che Zanolli sceglie di far dormire “negli alberghi che da varie lettere anonime sono stati segnalati quali favoreggiatori. Essendo da essi occupati tali alberghi potranno sfuggire ad eventuali rappresaglie”.
Il tenente richiede quindi una trentina di ostaggi da scegliere tra gli uomini dai 20 ai 50 anni: risponderanno con la loro vita di qualunque “incidente” avvenga a Giaveno e Coazze ai soldati tedeschi e italiani.
Giuseppe Zanolli si offre al posto dei suoi paesani: “Dica al suo comandante che rimango io a disposizione come ostaggio e cola mia vita rispondo di ogni azione della mia popolazione”.
Il Colonnello Comandante approva la proposta purché dia la sua parola d’onore: non si allontanerà da Giaveno fino a operazione conclusa: “Non si parli più di ostaggi per questi due comuni ma, intendiamoci, stia ben attento perché ad un minimo accenno di conflitto ad una ferita o peggio ancora ad una uccisione di soldato mio dipendente la faccio fucilare immediatamente”.
“Sta bene – risponde Zanolli – credo di essere al sicuro, nessuno sarà tanto cretino da voler scatenare queste bestie”.
Alle 8 transita per Giaveno il commendator Garrone: “Ho dovuto sottostare all’ordine del comando tedesco e cedere la mia casa, ma io, per non vederli, me ne vado a Torino e ritornerò solo quando saranno partiti”.
La reazione del podestà è di sollievo e perplessità: “anche questa è una consolazione… ma tutti i gusti sono gusti. Io veramente sarei rimasto perché non facessero dei danni alla casa; ma lui è contento così, e così sia”.
In comune l’ufficio del podestà intanto è adibito a sala interrogatori. La prigione è la camera di sicurezza dei carabinieri o il teatro Alfieri.
Palazzo Marchini (Municipio) in una cartolina d'epoca
Inizia un grande e sanguinoso rastrellamento: oltre 100 partigiani uccisi, diverse borgate devastate, un numero imprecisato di deportati e tre stragi di massa: Pinasca, Sant'Antonino e Forno di Coazze. Qui, il 16 maggio, 23 partigiani vengono prelevati dalle improvvisate carceri di Giaveno e Coazze, costretti a scavare una fossa comune ed a disporsi lungo il ciglio per essere gambizzati e lasciati morire dissanguati.
Le bande partigiane riescono in alcuni casi a conoscere in anticipo il luogo e l’ora degli attacchi nazifascisti. Ad informarli degli attacchi di maggio è, tre giorni prima, un ufficiale in servizio presso la Ortskommandatur di Rivoli: Ernst Hermann Schindler Pappenheim, conscio dell’imminente sconfitta delle forze tedesche.
L'allerta non è però sufficiente: le bande partigiane sono prive di coordinamento, non hanno ancora pienamente assimilato le strategie di guerriglia e l’assenza di un comando unico rende impossibile una risposta decisa. Nessuno, poi, ha pensato ad un attacco proveniente dalle montagne e a una convergenza dalle vallate laterali. A tutto ciò si deve aggiungere lo scarso armamento e le poche munizioni.
Tatticamente impreparati e divisi, i gruppi vengono sorpresi da un'offensiva che le autorità militari germaniche hanno preparato nei dettagli.
Alle sei di mattina del 10 si spara già in vari punti della vallata e cadono i primi partigiani. Si va avanti per più di una settimana: il 18 “se Dio vuole i tedeschi se ne sono andati durante la notte”, ma il 20 in località “Bonaria della Braida”, ai confini tra i comuni di Giaveno e Chiusa S. Michele, due ufficiali tedeschi sono uccisi.
Uno di essi è un amico personale di Hitler: la rappresaglia è immediata e durerà per mesi, mettendo a dura prova la resistenza dei residenti e delle formazioni partigiane.
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