Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Concetta Leto, esperta d'arte e curatrice ufficiale delle opere di Lorenzo Alessandri, ci porta alla scoperta di Zorobabel, il diario intimo e segreto di questo pittore giavenese, tardivamente riconosciuto come uno tra i più grandi artisti italiani del Novecento.
Durante gli studi universitari ho imparato a porre l’attenzione ai critici misconosciuti, ai personaggi ingiustamente dimenticati, alle vite passate a cui nessuno si è interessato e di cui pochi conoscono realmente qualcosa. Oltre vent’anni fa ho catalizzato la mia attenzione su un artista molto chiacchierato nella mia Giaveno, Lorenzo Alessandri, nato a Torino nel 1927 e scomparso a Giaveno nel 2000.
Chi era? Perché su di lui si narravano strani aneddoti? Quali significati nascosti avevano i suoi dipinti così inquietanti? Perché su di lui i giavenesi non risparmiavano giudizi contradditori tanto da essere additato come ‘papa nero’?
Sollecitata più volte da questi interrogativi, e incoraggiata da mio marito, che era stato negli anni ’70 allievo di Alessandri, ho incominciato a frequentare il pittore misterioso nel suo studio, sul Trucco Surfanta, dove si sono svolte ore di piacevoli e indimenticabili conversazioni, di interviste, di riflessioni sull’arte. Ricordo di essermi avvicinata con timidezza e semplicità. Il pittore settantenne, capelli e barba bianchi, con il dorje sul petto (simbolo del buddismo tibetano) e indosso la felpa di Topolino, mi accolse con benevolenza, incuriosito e inorgoglito della mia stessa curiosità.
Gli spiegai il mio nuovo progetto: un saggio sulla pittura surreale a Torino e l’analisi del gruppo Surfanta di cui egli era il fondatore negli anni Sessanta. Incominciai così a scrivere per far riemergere, dopo alcuni anni di silenzio, il suo nome sui giornali. Aveva viaggiato molto esponendo i suoi dipinti in tutto il mondo. Negli anni della sua maturità, però, si era volutamente isolato quasi aspettando un meritato riconoscimento. Manteneva i contatti con i suoi collezionisti che riceveva nel suo studio, trascorreva le giornate dipingendo e rispondendo alle numerose lettere di amici e cultori d’arte.
Si occupava di compravendita di pistole, vecchie e nuove, di statuette tibetane, di oggetti magici. Assumeva giovani segretarie, spesso facendosi carico dei loro problemi. Versava per beneficenza somme di denaro corrispondenti ad una percentuale di ogni quadro venduto. Si commuoveva ogni qualvolta commentava un fatto di cronaca nera capitato nel mondo.
Parlava di anima, di spirito, del senso della vita, della ricerca interiore. Intercalava giudizi sull’arte contemporanea a racconti d’esperienze diverse. Leggeva le biografie dei grandi santi e dei detrattori dell’umanità. Vantava conoscenze quali Padre Pio, venerato sin da quand’era ragazzino, Madre Teresa di Calcutta, incontrata durante il suo viaggio in India e Gustavo Rol, noto medium torinese.
Mi presentava i suoi quadri e me li spiegava, soffermandosi, di tanto in tanto, sui fatti della giovinezza trascorsa come volontario per l’Ordine di Malta sul finire del secondo conflitto mondiale. Già, perché lui la morte l’aveva respirata a soli diciassette anni, raccogliendo cadaveri ancora caldi lungo le strade della sua città, Torino.
Io ascoltavo e annotavo. Imparai a vedere quello che prima mi era ignoto. Compresi quel suo mondo fantastico che lo aveva fatto vivere e per cui aveva dato l’intera vita, sacrificando anche gli affetti più cari, come quello dell’amata moglie Dina da cui si separò senza mai perdonarselo.
Il suo viaggio nel mondo magico era un’appendice alla sua fervida fantasia che generava mostri, figure inquietanti e bizzarre. Forme e colori nei suoi dipinti nascondevano qualcosa di più importante, la storia di un’anima in ricerca che non ha avuto timori nell’affrontare il viaggio di una vita aperta alle moltitudini dell’essere. I mesi però passavano in fretta e sopraggiunse il peggio, l’inaspettato, l’imprevisto. Il male incurabile, che spazza via tutto, lo colse nel bel mezzo del sogno che il suo essere corteggiava da mesi nell’attesa dell’ultima mostra.
Ricordo ancora la sua cerimonia funebre. Rimasi come incredula, un po’ sperduta. Trascorsi interi pomeriggi tra le sue carte cercando di riordinare le memorie più significative. Aveva l’abitudine di annotarsi tutto, anche il denaro speso per l’acquisto di gomme o matite, le telefonate ricevute nell’arco di una giornata, il libro letto, la modella incontrata e disegnata, le condizioni atmosferiche della giornata, rapidi schizzi, numeri telefonici, simboli stenografici, il riposo pomeridiano o l’ora in cui aveva “spento” per andare a letto.
Cercai gli scritti giovanili, quelli in cui, secondo quanto mi aveva testimoniato erano raccolte le sue riflessioni, le sue ricerche, le sue delusioni e amarezze. Mi immaginai anche di trovare qualche testimonianza su quegli incontri con gli alchimisti, i maghi tibetani che tanto mi avevano affascinata quando me li narrava. Trovai invece poesie, liriche d’amore, parole cariche del mistero della vita. Mi accorsi, rinchiusa nella sua biblioteca, che avevo in fondo solo una vaga impressione di chi fosse veramente quel pittore che avevo conosciuto qualche anno addietro.
Continuai a portarmi dentro la consapevolezza che le parole lette tra le carte ingiallite dal tempo dovevano rivivere quanto le opere dipinte. Parole adamantine, penetranti, vere, nude, sferzanti, sentite, vissute e amate erano veicolo dell’anima in ricerca. Accarezzai l’idea di pubblicarle: non potevano sostituire quella biografia promessa tacitamente, ma avrei consegnato a tutti la vera immagine di un pittore tanto discusso. È nato così Zorobabel. “Un libro ricco, di un uomo intelligente e curioso. Un diario che resterà un documento tra i più notevoli della seconda metà del secolo scorso”, come chiosa Vittorio Sgarbi a conclusione della prefazione del testo.
Zorobabel, secondo la traduzione del codice massonico, significa ‘dispersione della confusione’. È uno pseudonimo che Alessandri scelse, seppure in poche circostanze, nell’ultimo periodo della sua ricerca conoscitiva e interiore, a conclusione del travagliato percorso umano che accompagnò quello di artista.
Della sua pittura si sono cercate spesso le ascendenze in Bosch, Bruegel, nella tradizione fiamminga, romantica e surrealista: pur non negando talune consonanze, rimane indiscutibile l’originalità della produzione che fa di Alessandri uno tra i più grandi pittori italiani del Novecento.