Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Sono belle e panoramiche le borgate dell’Indiritto, che come dice il nome sono esposte a sud, verso il sole e le pieghe boscose che sfumano nella pianura torinese.
La strada per Borgata Coletto (Sëŋ Culët) dal Marone, dapprima precipita nel verde scuro del Ri du Furnài, poi accarezza il fianco compatto delle case di Piano Stefano (Lu Pianastèiva).
A Sëŋ Brünèt, Bertu, Giüstu e Don Gianni mostrano i volti pacati dell’Indiritto che fu, fissati in un murale che sembra sbarrarti la strada, invitarti a riflettere su cos’è stata “La Drèc”: terra che nutriva centinaia di montanari, borgate affollate di persone semplici, ma non banali, personaggi indimenticabili d’una storia secolare. Chiese ardite, preti eccezionali e suore tenaci, ma un lento andare di gente come fiumi che scendono a valle.
All’Indiritto, forse più che altrove, gli emigrati mi ricordano gli alberi, svettano in pianura, ma hanno radici profonde nelle loro borgate. Capolavori di pietra nuda, eretti da muratori sapienti, eredi di quelli importati – si dice – dal Trappista De Meulder a fine Settecento.
Le splendide architetture della Borgata Coletto.
A Sëŋ Culët mi aspettano Giuseppe e Secondino con Elda e Nella, le mogli sorelle. Come alberi secolari sono abbarbicati alla loro borgata antica. I “miléma” rimandano ai primi dell’Ottocento, ma enormi monoliti che fanno da stipite e da soletta evocano i misteri delle piramidi e di Stonehenge. La cava non era distante, “au Roch da Randisì”, gli extraterrestri mi sentirei di escluderli, ma resta il fatto che pietre pesanti tonnellate restano a farsi ammirare e interrogare sulla forza e l’ingegno di chi le ha trasportate e modellate.
Beppe ha ereditato da Ettorino la “custodia” del Col Bione. Mentre mi mostra orgoglioso questi edifici secolari e i rocchi lignei per le nuove tavole da pic nic del colle, lui, che ha deciso di vivere qui la sua pensione, mi racconta del diario che tiene da molti anni, dove annota anche i fenomeni atmosferici: quest’anno è tornata la neve, cumulando le nevicate si è superato il metro e mezzo, come non accadeva da anni.
Nella foto da sinistra: Giuseppe(Beppe) Isabello, Secondino (Dino) Ostorero, Nella e Elda Dal Farra e… Rocky.
Qui a Sëŋ Culët viveva anche Giovanni Picco Rosset, Giuanìŋ Gori, a cui si deve la cappella del Col Bione originaria.
LEGGI ANCHE: Col Bione, inizio '900. Si costruisce la cappella e si aprono le cave di quarzo
Ma quassù sono venuto soprattutto per Dino. Ho visto il filmato che aveva realizzato per documentare i lavori del 1981 al Col Bione, praticamente la ricostruzione della chiesa.
“Era bastato – racconta – che alla festa del Col Bione, il 2 agosto, Don Gianni Gili parlasse dei problemi della chiesa, un muro pericolante, il tetto quasi sfondato, per mobilitarci. Dal giorno dopo si è formata una squadra di una quindicina di uomini che per tutto agosto ha lavorato, prima per demolire e poi per riedificare la chiesa. La mia famiglia era tutta coinvolta. Noi salivamo dal Coletto al mattino presto, facevamo anche le gare di corsa a chi arrivava primo. Più tardi le “cüsinére” provvedevano al pranzo.
Don Gianni portava su i materiali col trattore, Giovanni della Rosseria e Secondino del Piano Stefano, che se ne intendevano un po’ di più, organizzavano il lavoro. Ognuno dava il suo contributo, di pareri e soprattutto di fatti, c’era una bella armonia.
Due momenti dei lavori, la demolizione e la ricostruzione.
Il tempo accompagnava. Un solo giorno brutto in tutto il mese. E alla fine la chiesa ò stata rimessa a nuovo. È stata una delle esperienze più belle e significative della mia vita, vissuta insieme a tutta la famiglia.”
È per questo che ha filmato i lavori?
“L’amico Armando Rege Gianas era un appassionato che mi ha coinvolto. Approfittando di una svendita mi sono attrezzato. Avevo in mente di documentare i lavori agricoli, il ciclo delle castagne … ma trovandomi al colle ho pensato di fare qualche ripresa. Il lavoro lungo è stato montare il filmato, abbinare il sonoro. Io ci capivo poco, ma mi hanno aiutato. Ho aggiunto la musica e la maestra Silvana Ostorero della Sala ha pensato anche al commento. Dal Super8 al VHS il filmato è arrivato al digitale. Le immagini hanno più di quarant’anni e si vede. Ma ogni volta che lo rivedo mi ricorda che ci siamo proprio divertiti.”
Mentre lo dice gli occhi si aprono in un sorriso. Solleva, lento ma non troppo, i suoi novant’anni dai gradini di pietra dove si era seduto per la chiacchierata. Ha già in mente qualche miglioria da fare nell’orto di Giaveno. “Non sta mai fermo” commenta con un sorriso rassegnato la moglie Nella.
Il filmato preparato da Dino Ostorero per documentare i lavori del 1981 viene riproposto col commento originale della maestra Silvana Ostorero e con l’aggiunta di sottotitoli per le parti in patuà francoprovenzale. È preceduto da un’intervista all’autore.
Continua al leggere sul sito "Scuola Guido":
Rivive nelle immagini di Dino Ostorero il restauro della Cappella del Col Bione del 198