Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
La Val Sangone raccontata ai ragazzi... dalla bisnonna Livia Picco: i giochi.
Quanto poco tempo avevano una volta i bambini per giocare. Eppure giocavano, anche nelle borgate di montagna: giochi di movimento, i preferiti, quando il tempo era bello e permetteva corse sfrenate, giochi tranquilli invece quando pioveva o nevicava.
Con i cortili pieni di gente e le case addossate l’una all’altra non era difficile combinare lunghe sfide, nascondersi e rincorrersi per ore…
I giochi
Nelle borgate piccole come minimo si incontravano quattro o cinque ragazzi e ragazze per giocare a guardia e ladri, a nascondino, alla palla. Nelle borgate grosse si formavano più squadre, vivaci e numerose, spesso rivali e con la tendenza a selezionare i compagni di giochi.
Giocare a nascondino, “a crügne”, era interessante per i numerosi nascondigli che offrivano le case dei contadini, i boschi e i prati vicini, ma si incappava in numerosi divieti. Le madri gridavano: “Non venite a nascondervi in casa, fate confusione e sporcate!”
I bambini allora si arrampicavano nel fienile o nel pagliaio. Andava bene finché un adulto non li scopriva. Allora erano rimproveri: “Venite giù subito! Sporcate il fieno (un delitto per i contadini) e soffocate là in mezzo!”
Molto bello era infilarsi nella stalla, nell’angolo buio dietro la porta, o nella greppia delle mucche che leccavano la faccia con la lingua ruvida, pacifiche e tranquille. Ma anche qui se i grandi vedevano…
Nel pollaio di solito non si andava perché le galline schiamazzavano. Le galline non sono come le mucche. E poi i pollai erano sporchi e puzzolenti. Restavano gli altri nascondigli dietro casa, nell’orto, dietro le siepi e le staccionate.
Un cavallo a dondolo nel prato (grazie per la foto ad Ada Giacone), una pistola e un secchiello per i bambini di borgata Tiglietto, 1962 (grazie per la foto a Maura Tonda).
Giocando a nascondino spesso si finiva per bisticciare. Si temeva che il compagno o la compagna che doveva fare la conta (che “stava sotto”), non tenesse gli occhi ben chiusi. “Non vale! Hai guardato! Tenevi le mani larghe sugli occhi”. “Non è vero. Avevo gli occhi chiusi e le dita strette. Come fai a dire che ho guardato?”
A volte chi contava lo faceva a grande velocità per non dare il tempo ai compagni di nascondersi bene. Arrivavano subito le proteste: “Non vale! Hai contato troppo in fretta! Hai saltato dei numeri. Non è giusto! Ricomincia da capo!”
Una tecnica per ingannare il ragazzo che contava e difendersi dalle occhiate fuori dalle regole, era di far finta di andare da una parte con grande rumore di passi e poi filarsela, in punta di piedi, dalla parte opposta. A volte un furbetto che aveva trovato un buon nascondiglio, ma non aveva la via sgombra per liberarsi perché i compagni avrebbero scoperto il nascondiglio, non si muoveva, sordo a tutti i richiami, perfino quando i compagni avevano solennemente proclamato la fine del gioco. Finché una mamma interveniva: “Adesso smettetela. Venite dentro. C’è da fare questo e quello”.
Quando i padri, i nonni, i fratelli grandi lavoravano nei campi in faccia alla casa o intorno ad essa, la conta, le bisticciate, si facevano sottovoce, a gesti, per non farsi sentire ed evitare i rimproveri a cena: “Oggi non avete aiutato la mamma, sapete solo giocare, giocare, giocare. Non pensate a nient’altro”. Le mamme, per la verità, chiudevano un occhio e si sobbarcavano tutti i lavori per “lasciar sfogare i bambini”.
Giostra dell’Asilo Prever, primi anni Sessanta (Grazie per la foto a Giuseppe Rosa Brusin).
Tra i giochi molto amati c’erano quelli con la palla. Si giocava quasi sempre “a rimbalzo” perché le aie strette non permettevano certo di giocare al calcio, gioco sconosciuto, senza la radio e la televisione. Soltanto qualche adulto andava a “sentire” la partita da un amico che possedeva una radio.
Era una fortuna avere una palla o una pallina, mentre al pallone i ragazzi di borgata non ci pensavano.
Anche i giochi con la palla a volte, portavano dei dispiaceri… Essa finiva sul tetto di casa o peggio del vicino e gli adulti si guardavano bene dall’andare a recuperarla! Oppure rotolava sul pendio, ed allora erano corse a perdifiato per fermarla.
Qualche volta finiva nel torrente e l’acqua se la portava via! In questi casi il gioco finiva in pianti e le madri, inquiete per il pericolo corso dai figli al torrente, non li consolavano: “Un’altra volta starai più attento! Adesso stai senza! Ma guarda come ti sei bagnato!” Se poi con la palla si rompeva un vetro, ci scappava anche la sculacciata.
I piccoli Carla, Clara e Franco Masera al Freinetto, 1942. (grazie per la foto a Franco Masera).
Nonostante questi inconvenienti i coetanei della bisnonna si divertivano un mondo con poche, ma preziosissime cose. Avevano a disposizione prati, boschi, sentieri, ruscelli, erbe, fiori e frutti. Andavano a raccogliere genzianelle, viole profumatissime sulle pendici e sulle creste e poi mirtilli, lamponi, funghi. E ogni volta era un’allegra avventura.
D’inverno all’aperto si facevano i pupazzi di neve e gli “stampi”: i ragazzi si buttavano giù nella neve in diverse posizioni. Qualche volta, con gli sci rudimentali fabbricati dai padri o con una tavoletta di legno (al posto dello slittino) scendevano nei prati tra gridolini e incitamenti. E si cercava un prato che terminasse in piano per arrestare quella che per loro era una folle corsa.
Nei giorni di maltempo i giochi erano più tranquilli:
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il gioco della settimana, sotto il portico, che richiedeva solo un coccio o una pietra aguzza per disegnare i riquadri e una pietruzza piatta sulla scarpa, da non far cadere nei saltelli;
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il gioco delle belle statuine, che piaceva alle femminucce;
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il telefono senza fili (che risate!);
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la trottola “sàtula”, tanto cara ai maschietti
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i giochi di imitazione: della mamma, del contadino, del pastore, del falegname, della maestra: quante arie si dava la ragazzina che ‘faceva’ la maestra!
In questi giochi i sassi diventavano mucche. I sassolini vitelli o capre. Quelli bianchi pecore o agnellini. Le scatole della conserva… pentole, le scatolette del lucido per le scarpe… tegami. Le panche, gli sgabelli per mungere, i gradini della scala diventavano i mobili della cucina o i banchi della scuola. Il tutto ingentilito da mazzetti di fiori o da felci.
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Si giocava anche ad altri giochi, ma la bisnonna, già un po’ smemorata, non li ricorda più. Comunque erano tutti giochi a costo zero.
In collaborazione con Guido Ostorero, Laboratorio Alte Valli propone alcuni estratti di La Val Sangone raccontata ai ragazzi... dalla bisnonna Livia Picco, importante testimonianza sulla vita e sul lavoro delle nostre montagne: li trovate RAGGRUPPATI IN QUESTO LINK.
Per saperne di più vi rimandiamo al sito ScuolaGuido, su cui potete leggere l'articolo completo: I divertimenti: giochi e giocattoli della bisnonna