Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
La galleria del Frejus fu un’opera tecnicamente molto complessa da realizzare. Il lavoro nel cantiere, che durò dal 1857 al 1871, era piuttosto rischioso, tanto che alla fine si contarono 48 morti fra i circa 4.000 operai che avevano prestato la loro opera, 18 dei quali a causa di una epidemia di colera scoppiata nel 1864.
Si parla anche di alcuni suicidi, tra cui quello raccontato nel 1885 dallo scrittore e divulgatore francese Louis Figuier nella sua opera “Les Nouvelles Conquêtes de la Science”: Pietro Bamba, un operaio che “volle morire dilaniato dalle punte della perforatrice pneumatica”.
Non sappiamo se i personaggi di cui parla Figuier siano effettivamente esistiti, né riusciamo a collocare sul territorio il villaggio nei pressi di Bardonecchia, chiamato "Monta".
Il racconto ci sembra comunque molto interessante, ve lo proponiamo come testimonianza della della risonanza internazionale di cui godette il traforo che, con i suoi 13.636 metri di lunghezza, in quel tempo era il più lungo del mondo.
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UNA STORIA DI AMORE E TRADIMENTO
«L'anima umana è la stessa ovunque. Sia che il sole splenda su di noi o che la notte ci circondi, che siamo potenti o miserabili, siamo tutti soggetti all'inevitabile impero del destino e alla concorrenza di eventi che non abbiamo il potere di prevenire o di prevedere. Questa era la riflessione che facevo, nella serata del giorno in cui, con l'aiuto di un caposquadra che si chiamava Coscoline, avevo visitato il cantiere del tunnel delle Alpi. Con lui, all’ora di cena, eravamo entrati in una sorta di osteria all'aperto che si trovava a Monta, un villaggio situato a due chilometri dall'imbocco del tunnel, dove venivano a mangiare gli operai. [...]. Eravamo seduti, io e lui, a un tavolo, sotto un pergolato ornato di caprifogli e vite vergine, quando vedemmo arrivare una fanciulla, miseramente vestita, smarrita e con lo sguardo fisso, che mi colpì.
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Ella passò in mezzo ai tavoli, e si fermò, senza dire nulla, davanti ad alcuni di essi, ricevendo un pezzo di pane, un frutto, o qualche moneta. [...] Questa vista mi impressionò, e non potei fare a meno di chiedere al mio commensale chi fosse quella infelice. “È una povera pazza”, mi rispose Coscoline. “La lasciamo fare, perché non fa del male a nessuno, e ispira solo pietà. Uno volta, non era così. Lei è di Bardonecchia, si chiama Margherita; ma di solito la chiamiamo “la Fiancée de l'Autrichien”.
La risposta, stimolò la mia curiosità. “Ma che cosa è successo? Come ha potuto perdere la ragione?”. E il caposquadra rispose: “La sua triste storia, ha suscitato molto rumore in paese. Poiché lo desiderate, ve la racconterò!”. Io mi accinsi ad ascoltare, dopo aver comandato una bella fetta di polenta, e un litro di vino di Cuneo.
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Coscoline intanto si accese la pipa, una bella pipa tedesca di schiuma, che veniva da Stoccarda, e che egli aveva comprato in una fiera. [...].
“Margherita non è sempre stata la miserabile folle che avete visto. Era una delle contadine più graziose dei dintorni di Bardonecchia, e la più simpatica, la più allegra delle ballerine del piccolo ballo che si tiene qui, ogni domenica pomeriggio. È lì che sono nate tutte le sue disgrazie. Avete visto stamattina che ciascuna lancia della macchina perforatrice è servita da due uomini, uno dei quali dirige i colpi delle lame d'acciaio per scavare i buchi nella roccia, e l'altro dirige nei buchi un getto d’acqua, che li libera dai residui del minerale. Addetti a una delle perforatrici, vi erano due ottimi lavoratori, un piemontese e un tedesco.
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Il piemontese, Pietro Bamba, era un giovane vigoroso e un lavoratore instancabile, ma spesso vittima dell’ardore della sua natura passionale, come molti suoi compatrioti [...]. Il tedesco, Wilhelm Brunner, era un lavoratore molto diligente, ma che rifuggiva dalla compagnia dei suoi colleghi, e non amava che venisse pronunciato il suo nome. [...].. I nostri due uomini, attaccati tutto il giorno alla stessa lancia, erano divenuti amici, e insieme mangiavano alla sera, e sempre insieme frequentavano il ballo della domenica. E fu lì, che essi conobbero Margherita, ed entrambi ne caddero innamorati. La giovane esitava a scegliere tra il piemontese e il tedesco, che le avevano entrambi chiesto la mano; ma questa situazione, non poteva durare.
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Una domenica, dopo il ballo, il piemontese prese da parte la ragazza, e le disse con fare risoluto: “Margherita, devi decidere tra noi. Qualcuno mi ha detto staresti per sposare l'austriaco, ma se ciò accadrà, ti avverto che io lo ucciderò, prima che tu metta piede in chiesa”.
“E io ti dico”, gli rispose Margherita, “che se tu oserai fare questo, io mi ucciderò sul suo corpo subito dopo!”. Ma Pietro Bamba, non sapeva con chi aveva a che fare: Margherita, aveva un carattere fiero, e la minaccia ottenne l'effetto opposto.
Così otto giorni dopo, nella bacheca del municipio di Bardonecchia, comparvero le pubblicazioni per il matrimonio di Margherita Franchi e Wilhelm Brunner. Tutto sembrava volgere verso le nozze del nostro felice compagno con la bella piemontese, quando, una mattina, avvenne un fatto inaspettato.
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Dal treno, vedemmo scendere quattro bersaglieri e due carabinieri reali. Essi entrarono nella galleria, alla luce di una grande fiaccola. Dopo mezz'ora di cammino, giunsero alla perforatrice dove lavoravano i due amici, e, rivolgendosi a colui del quale avevano la descrizione, chiesero se egli fosse Wilhelm Brunner. Alla sua risposta affermativa, esibirono un mandato di cattura, emesso dall'autorità militare di Vienna.
Wilhelm Brunner era un disertore dell'esercito austroungarico in Lombardia, venuto a nascondersi tra gli operai del Moncenisio, che si era illuso che nessuno sarebbe mai venuto a cercarlo nelle viscere della terra. Egli aveva disertato nel 1859: l'Austria era in guerra con il Piemonte e, secondo i codici militari di tutti i Paesi, la diserzione davanti al nemico era punita con la pena capitale.
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L'ordine di cattura verso il disgraziato tedesco, equivaleva dunque a una condanna a morte. Il povero giovane, si lasciò portare via senza opporre resistenza, rivolgendo però al suo compagno di lavoro, Pietro Bamba, uno sguardo di colmo di disperazione e di rimprovero. Che cosa devo dirle, signore? Passarono due mesi e nessuno seppe più nulla. Margherita non compariva più al ballo della domenica, e Pietro Bamba sembrava pazzo di disperazione.
Alla fine non ne poté più e, con il tarlo del rimpianto, si recò a Bardonecchia, dove si trovava la giovane, per ottenere qualche notizia. Margherita abitava, con la sua vecchia madre, in una povera casa in mezzo ai campi, dove le due donne coltivavano delle verdure da orto, che vendevano al mercato.
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Quando Pietro Bamba entrò nella casa, la prima cosa che lo colpì fu la vista di Margherita vestita di nero, con lo sguardo fisso, che sembrava estranea a tutto ciò che le accadeva intorno. Lui tentò di parlarle, ma lei non rispose. Allora la vecchia madre, tirò fuori una lettera da una cassapanca, e la diede al giovane.
Era la lettera di un uomo in procinto di morire: l'aveva redatta il povero Wilhelm, prima di cadere sotto il plotone di esecuzione. Egli scriveva il suo ultimo addio, mandando a Margherita una ciocca dei suoi capelli. Poiché la lettera era stata tolta dalla sua giubba dopo la fucilazione, la lettera era macchiata di sangue e il sangue aveva incollato alla carta la ciocca di capelli. Wilhelm aveva così sigillato, con il sangue, con la sua anima e con la sua vita, l'addio a colei che amava.
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Pietro Bamba, rendendosi conto di quello che aveva fatto, guardò Margherita disperato, ma lei lo agghiacciò, gridandogli: "Via di qui, assassino!". Di fatto, era stato proprio lui colui che aveva tradito l'amico, denunciandolo.
Quando aveva letto sulle pubblicazioni il Paese di provenienza del rivale, in preda alla rabbia, aveva scritto a Vienna, pensando di strapparlo a Margherita. Era cosciente che così facendo, lo avrebbe condannato a morte? La risposta la conosce soltanto Dio. In preda ora al rimorso e all’angoscia, Pietro Bamba vagò, come un essere abbandonato da Dio, perseguitato dai suoi incubi, per tutta la notte nelle campagne. All'indomani, si presentò al lavoro nella galleria, ma era pallido come una statua di marmo. Fu allora, che accadde qualcosa che non potrò mai dimenticare.
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L'operaio che aveva rimpiazzato il povero Wilhelm alla perforatrice, era ancora inesperto, e ubbidiva alle istruzioni che Pietro Bamba gli impartiva. Costui si avvicinò alla macchina, spinse di lato l’affusto con una spalla, e si piazzò tra le lame e il muro in fondo al tunnel, proprio nel punto in cui le punte dovevano battere la roccia per frantumarla. Poi diede al suo compagno, l'ordine di avviare la macchina: subito le lame si misero in moto, facendo il loro lavoro.
Ma questa volta, invece di perforare la roccia, trafissero il petto di un uomo: in luogo delle schegge di granito, fu il sangue a schizzare attorno alle punte d'acciaio. E le lame continuarono a colpire inesorabili, maciullandolo, e fermandosi soltanto quando il corpo si afflosciò, inanimato. Vi lascio immaginare la paura e lo sconvolgimento che tutti noi provammo, di fronte a questo spettacolo. Ecco, signore, è questa la triste storia, della “Fiancée de Autrichien”. Intanto, nel corso del racconto, a Coscoline si era spenta la pipa. Ma egli, con gli occhi lucidi, non pensò più di riaccenderla».
Louis Figuier, “Les Nouvelles Conquêtes de la Science”, secondo volume "Grands Tunnels et Railways Métropolitains"). Volume Illustré de 215 Gravures et Portraits, d’après les dessins de MM. J. Férat, A. Gilbert, Broux, etc.”. Paris, 1885. Librairie Illustrée Marpon & Flammarion.
Louis Figuier
Louis Figuier (Montpellier, 15 febbraio 1819 – Parigi, 8 novembre 1894), è stato uno scrittore e divulgatore scientifico francese.
Laureatosi in medicina nel 1841, fu professore di chimica alla Scuola di Farmacia della sua città natale nel 1846, poi in altre di pari grado di Parigi.
Famoso in ambito accademico per numerose memorie pubblicate in prestigiosi periodici scientifici, Figuier divenne popolare per delle opere a carattere divulgativo sul mondo degli animali e delle piante, e sulle scoperte della scienza.
Dal 1855 fu redattore scientifico al quotidiano «La Presse» e successivamente diresse «La Science illustrée», rivista alla quale collaborarono, tra gli altri, Jules Verne e Camille Flammarion.