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Il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), è un albero appartenente alla famiglia delle rosacee che deve il suo nome all’abitudine degli uccelli migratori di nutrirsi delle sue bacche. Diffuso nei territori contraddistinti da temperature fredde, cresce bene nel nord Italia fino ai 2400 metri di altitudine, abitualmente in boschi di conifere e latifoglie.
Proprio in virtù del fatto che attira grandi stormi di uccelli, il sorbo è stato spesso impiegato per favorire la loro cattura con apposite reti.
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Albero deciduo di dimensioni ridotte, in zone particolarmente fertili può comunque estendersi in altezza fino a raggiungere i 15 metri. Negli esemplari giovani la chioma è allungata; man mano che la pianta cresce, tende ad assumere forma tondeggiante.
Se le bacche, ricche di sostante nutritive, fanno la felicità degli uccelli, i germogli e le foglie sono molto ambiti dagli ungulati, ed il fogliame rappresenta un ottimo alimento per gli ovini.
Nella stagione autunnale, mentre la sua chioma cambia colore virando dal giallo oro al rosso acceso, la pianta si ricopre di frutti radunati in grappoli, di dimensioni molto piccole, che rimarranno attaccati ai rami per tutto l’inverno, abbellendo con vistose macchie rosse i giardini privati e i parchi pubblici in cui viene messo a dimora.
La sua corteccia è liscia, di colore grigio chiaro in età giovane: man mano che il tempo passa tende a scurirsi, fessurandosi spesso e ricoprendosi di licheni nelle zone esposte a nord. Il sorbo teme afidi e ragnetti rossi, ma a mettere particolarmente a repentaglio la sua esistenza è il tumore batterico, malattia che può causare la morte anche di piante adulte ed all’apparenza sane.
I fiori non sono propriamente profumati
Il sorbo degli uccellatori non richiede particolari cure: la sua collocazione ideale è in aree soleggiate. È molto importante che l’ambiente in cui viene messo a dimora non sia troppo umido.
I suoi fiori, di colore bianco panna, fanno la loro comparsa tra aprile e maggio. Hanno un odore caratteristico, molto acceso, che spesso crea repulsione ad alcuni soggetti particolarmente sensibili. A scatenarlo è la trimetilammina, gas tossico alcalino che somiglia all’odore di pesce ed è contenuto anche nei fiori del castagno e del biancospino.
Anche le sue bacche possono creare qualche problema all’uomo se consumate crude. I frutti del sorbo, chiamati sorbe o sorbole, sono infatti ricchi di sostanze nutritive per gli uccelli, ma pericolosi per l’alimentazione umana per la presenza di alcune tossine.
Le sorbe contengono acido malico che nell’industria alimentare viene utilizzato come acidificante, acido sorbico impiegato come antibatterico e conservante, acido citrico, una sostanza zuccherina chiamata sorbitolo, tannini, pectina e una serie di vitamine, tra cui predomina la vitamina C. Contengono però anche amigdalina, in grado di liberare l’acido cianidrico che può contenere cianuro.
Questo composto è termolabile, ovvero la cottura o il gelo lo eliminano completamente. Pertanto, non bisogna mai mangiare le bacche crude, perché potrebbero infiammare le mucose dell’apparato digerente e provocare ulcere; viceversa, gelatine e confetture di sorbo sono ottime per condire carne e formaggi, così come sono prelibate le bacche gustate sotto spirito.
Una pianta che racchiude riti, segreti e misteri
Il sorbo degli uccellatori è collegato al mondo della stregoneria e del riti magici, in particolar modo nelle isole britanniche e nel Nord Europa. Nei paesi di lingua anglosassone, infatti, è conosciuto come Rowan, ovvero Runa o Mountain-ash, che equivale a frassino montano.
Sulla sua corteccia i druidi incidevano le loro formule rituali, note appunto come rune, e si riteneva che il suo legno allontanasse i licantropi, mentre i frutti rossi non avrebbero lasciato avvicinare le streghe. I celti lo consideravano sacro, perché i suoi frutti erano nutrimento degli dei.
Ancora oggi, nel nord Europa, l’albero viene piantato in giardino per propiziarsi la fortuna o nei cimiteri per garantire l’eterno riposo ai defunti. In passato, le sue bacche essiccate venivano impastate con la farina per arricchire il pane, mentre gli antichi romani le lasciavano fermentare insieme al grano al fine di produrre una bevanda dolciastra.
Merlo tra le bacche di sorbo degli uccellatori (Alberto Blisa).
In Friuli Venezia Giulia la cultura popolare locale consigliava l’impiego di bacche di sorbo essiccate per tenere lontani streghe, demoni e lupi mannari, oltre che come antidoto in caso di malefici ed incantesimi.
Senza scomodare le credenze popolari le bacche di sorbo, facilmente rinvenibili sulle nostre montagne, possono essere impiegate per ricavarne una maschera antietà. Un trattamento ricco di acidi che penetrando in profondità garantiscono un effetto antiossidante ed esfoliante, contribuendo a riparare le fibre di collagene ed elastina danneggiate e a mitigare eventuali tracce acneiche.
Per attenuare le rughe del viso, godendo in un benefico effetto tonificante, è sufficiente lavare ed asciugare una decina di bacche mature, privarle di buccia e semi, schiacciarle con un cucchiaio di farina di semi di lino e mescolare fino a che non si ottiene un preparato simile ad una crema. Una volta applicatolo sul viso, lo si lascia agire una ventina di minuti, dopodiché si risciacqua con acqua tiepida.
Il risultato? Una pelle liscia, ringiovanita e rimpolpata. Se non è magia, poco ci manca.