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La Danza degli Spadonari è sicuramente la manifestazione culturale più conosciuta di Giaglione. Non è però una prerogativa del paese: nell'ambito di un cerchio di circa 50 Km di diametro, tra la Valle di Susa, la Val Chisone e il confinante Alto Delfinato, presso Briançon, questa è in uso da molti secoli, collegata a cerimonie religiose o, talvolta, a feste annuali di carattere popolare, ognuna con proprie caratteristiche ma con un'indubbia simile origine.
Nei due paesi confinanti, Giaglione e Venaus, si svolge ancora secondo un'ancestrale codificazione, e quasi nulle sono le differenze nell'abbigliamento dei protagonisti. A Giaglione la Danza è eseguita il 22 gennaio, festa del patrono San Vincenzo, a Venaus ha luogo invece il 3 febbraio, San Biagio, patrono del paese, dove i quattro Spadonari eseguono la successione delle loro figure sul sagrato della chiesa.
A San Giorio si danzava il 23 aprile, sempre in occasione della festa patronale, che un tempo durava tre giorni. Come ricordato da Norberto Rosa e Giuseppe Regaldi, noti studiosi valligiani, il cerimoniale tradizionale venne poi rielaborato, con intenti folcloristici, in una Soppressione del Feudatario: un castellano che esercita il diritto di prima notte trucidato da un eroico futuro marito. Su questa trama si sono innestate le evoluzioni degli Spadonari, i cui costumi sono stati addirittura ridisegnati. La rappresentazione, viva tutt'ora, si è radicata probabilmente nella seconda metà del 1800, come riportato dal Regaldi nel 1866 nella “Dora”, su indicazione dell'allora curato del paese.
SCOPRI IL PROGRAMMA: 22 Gennaio 2023, gli Spadonari danzano per San Vincenzo
A Fenestrelle, in Val Chisone, ad agosto aveva luogo il “Bal dei Saber”, mentre a Pont de Cervières, sulla strada che da Briançon scende verso la Provenza, ogni anno, il 16 agosto in concomitanza con la ricorrenza patronale, il Ba-Cubert o Bacubert è ballato da nove giovani, vestiti in abiti provenzali, tra cui un capitano. La danza è cadenzata da una musica vocale eseguita da quattro donne: una specie di canto in sillabe ritmate, dettate dalla tradizione ma senza alcun significato letterale.
Risulta dunque evidente l'unità etnica della zona: nell'Alto Delfinato, in Val Chisone, in Alta Valle di Susa erano insediate le tribù liguri preceltiche e protoceltiche. Così come nel cuneese, a Bagnasco e Castelletto Stura, altre zone del Bal dei Saber, a Vicoforte, dove si è danzato fino al 1927, ad Acceglio e a Limone Piemonte, dove vi sono riscontri di antichi balli.
In Francia solo nelle terre di tradizione basca si hanno rappresentazioni parallele al Bal Cubert. Tutte queste Danze differiscono non poco da manifestazioni simili, ma più drammatiche, di origine germanica, britannica e slava ancora in vigore, e da quelle dell'Italia centro-meridionale, che hanno modalità troppo diverse per ritrovarvi un legame: ad esempio nelle province di Lucca, Massa Carrara, Reggio Emilia e Modena sono oggi uno spettacolo folcloristico inscindibile dalle cerimonie popolari legate all'avvento della primavera, la tradizione “del Maggio”, qui molto sentita. Nella più vicina Sampeyre, nel cuneese, invece la danza armata può essere colegata all'evocazione di battaglie fra cristiani e mori infedeli: la Danza Moresca.
In Valle Susa, oltre ai tre paesi in cui è ancora viva la Danza, tracce diverse sono state riscontrate a Exilles, dove un'anziana signora, Pierina Deyme, ricorda, in un'intervista raccolta da una ricercatrice, le parole del padre: “tante spade che si toccavano le punte e un ballerino che facevano danzare a suon di musica sulle spade. I ballerini formavano un cerchio con le spade e le facevano volare in aria”. Il Ballo descritto è simile a quello di Fenestrelle.
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Un'altra testimonianza reperita a Mattie riporta ricordi del Carnevale: ai primi del 1900 è ancora attiva una forma di teatro itinerante, la Rakinéis, a cui partecipano una trentina di persone preceduti da Spadonari (non se ne ricorda il numero) che fungono da armigeri. Poi a Meana: il Baratta, sotto questo nome si cela il poeta aviglianese Norberto Rosa, scrive che a metà del 1800 un maestro di Giaglione vi si reca a dare lezione agli Spadonari che accompagnano il Bran in occasione della festa patronale di San Costanzo. Infine a Salbertrand, Chiomonte, Chianocco e Vaie.
Gli Spadonari di Giaglione
Gli spadonari di Giaglione
A Giaglione, il gruppo degli Spadonari è formato da quattro uomini. L'origine della Danza non è chiara: qualcuno sostiene derivi, come le altre simili, dalle fantasie arabe, altri la riportano ai giochi dei gladiatori romani o alle giostre dell'epoca feudale, né manca chi la fa risalire ad antichi maggi campestri. Una tradizione vuole rappresenti i martiri della Legione Tebea o più probabilmente sia nata per ricordare il martirio del patrono locale: a sua conferma si rifanno al grembiule, indossato proprio a Giaglione, con cui tergere le spade del sangue di San Vincenzo.
Dubbia anche l'ipotesi che la lega alla crescita della natura, al favorire la fertilità della terra o a invocare l'abbondaza del raccolto e della caccia, in analogia alle feste di primavera che attingono a quella che, sbrigativamente, è definita una religiosità magica precristiana. Molto più probabilmente l'inizio deve perdersi nella tradizione bellica dei Celti. Secondo uno dei maggiori studiosi di Danze con le Spade, Konrad Meschke, le prime notizie di questi balli risalgono alla fine del 1300 e l'origine deve essere ricercata nel patrimonio culturale del popolo germanico, successivamente passato con le migrazioni e le conquiste agli altri popoli.
Tito Livio nella III Deca delle Storie narra, a proposito della spedizione di Annibale in Italia, che il cartaginese fa combattere fra loro alcuni capi locali catturati, promettendo la libertà ai vincitori: questi Celto-Galli prima di affrontarsi compiono una cerimonia rituale ballando con le spade. L'usanza pare volesse ricordare Ercole, mitico padre di Celto, che la leggenda vuole fondatore del popolo e che, secondo Scipione, aveva attraversato per primo le Alpi dopo aver ucciso Gerione in Spagna.
A questi riti con tutta probabilità assistettero anche i Romani: non dimentichiamo che poco più di una sessantina di generazioni ci separano dal loro arrivo in Piemonte e che la vita in montagna ha un suo ritmo più lento, obbligatoriamente legata alla tenace trasmissione degli usi e dell'esperienza delle generazioni precedenti: solo così si garantisce la sopravvivenza del singolo in condizioni di estrema durezza e difficoltà.
In questo quadro l'attaccamento alle consuetudini ben può estendersi alle cerimonie e agli svaghi: non deve stupire se tracce di antichi riti siano giunte sino a noi, trasformandosi e adeguandosi alle nuove usanze e alla novella religione, ma resistendo in alcune peculiari caratteristiche.
Gli Spadonari di Giaglione in un'immagine d'epoca (da "Bellezze d'Italia").
Gesti e abbigliamento sono del tutto avulsi dal tempo odierno, le movenze della Danza sono completamente slegate dal ritmo della musica eseguita dalla Banda giaglionese e sono pervase di teatralità e lentezza studiata: tutte prove della sua vetustà.
Tutto è però lasciato all'oralità: solo nei manoscritti delle due Sacre Rappresentazioni che si recitavano in paese, La Passione e il Martirio di San Vincenzo, si accenna alla presenza di uomini armati di spada, ma è troppo poco per trarre una qualsiasi conclusione.
Non ci sono citazioni nei documenti dell'archivio comunale come pagamenti o rimborsi spese: gli Spadonari sono sempre stati uomini del paese che danzavano fedeli a un'antichissima consuetudine, una sorta di dovere sociale, il più delle volte tramandato di padre in figlio.
Se incerta è l'origine certo è che, nel recente passato, l'abbinamento di una festa religiosa o di un evento importante con la Danza delle Spade rappresentava per le comunità un naturale complemento.
La Valsusa del 15 febbraio 1930 riporta, in occasione dei funerali dell'Avvocato Galassi di Giaglione, la partecipazione degli Spadonari con un velo nero sopra il tradizionale elmo infiorato. Secondo il Valerio quelli di Venaus, il 13 agosto 1837, danno un saggio della loro bravura sulla piana del Moncenisio in occasione di una inusuale festa di Santa Cecilia. Norberto Rosa nel descrivere l'annuale raduno delle Bande Musicali in occasione di un'altra Santa Cecilia, a Susa nel 1842, riporta che i gonfaloni di alcune di esse (Giaglione, Chiomonte, San Giorio, Venaus e Meana), sono precedute, nella sfilata, dai loro Spadonari.
Di nuovo La Valsusa del 31 gennaio 1953 annota che a Giaglione, in seguito al fatto che l'anno precedente “R.A.I. ed INCOM si sono interessati della caratteristica manifestazione, la danza degli spadonari è diventata veramente qualcosa di insostituibile nella vita e nella sagra del paese”. Sarà la prima di una lunga serie di riprese televisive (QUI la danza del febbraio 1952 nell'archivio dell'Istituto Luce) da parte di diverse emittenti nazionali e locali.
La loro assenza diventa essa pure motivo di notizia: sempre La Valsusa dell'8 febbraio 1936, per Giaglione: “Mancava all'esteriorità della festa il tradizionale branc e gli spadonari. È facilmente comprensibile come in questi tempi di austerità certe cose si debbano evitare. Quanto poi agli Spadonari due di essi stanno compiendo il loro dovere valorosamente in Africa Orientale”.
I costumi degli Spadonari di Giaglione
A Giaglione gli Spadonari indossano su una combinazione attuale (camicia, guanti bianchi, pantaloni uguali a quelli dei musicanti), dei corpetti di broccato, con alamari, dai colori diversi, ricamati in oro e argento, con il sottoposto grembialetto di foggia massonica, che a Venaus non è in uso. Più di questi colpisce il copricapo di eleganza caravaggesca: un tripudio di fiori e frutta, legato, a nodo sotto il mento, da cui un vivace fascio di nastri di seta pende sul dorso fin oltre la vita. Brandiscono modelli di spadoni da torneo simili a quelli presenti nel XIV e XV secolo, da usarsi con due mani, della lunghezza all'incirca di 130 cm: l'impugnatura è decorata di borchie in ottone e la lama dritta a doppio taglio.
La coreografia della danza si può dividere in due parti: la Marcia e la Danza propriamente detta. La prima avviene durante il corteo che parte dalla casa della Priora festeggiata per giungere alla chiesa e nel percorso di ritorno, dopo le funzioni religiose.
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Le Priore con il "Bran" (foto di Marco Cicchelli)
Gli Spadonari procedono in fila indiana innanzi alla Banda eseguendo, forse, le figurazioni più arcaiche. Hanno un capo che li precede e il loro cammino si svolge a passi ritmati, accompagnati da una parziale torsione del busto all'indietro, alternativamente a destra e a sinistra, e le spade sono brandite più con grazia che con animosità. Seguono i Musicanti, il Bran sul capo della portatrice e le sei Priore appaiate due a due, quindi parenti, amici, paesani e turisti.
Le Marce sono quattro: Normal (Normale), Basulén (Bussoleno), Stekàa (Stoccata) e Venusensa (di Venaus). Nel corso della Processione, che gira intorno all'edificio religioso, fanno da scorta d'onore alla statua del Santo Patrono o della Madonna, e in Chiesa assistono alla Messa o ai Vespri, due per ogni lato dell'altare, e sottolineano, in particolare, il momento dell'Elevazione con la presentazione delle spade.
La Danza delle Spade è eseguita sul sagrato della chiesa dopo la Messa e i Vespri, di fronte alle Priore e al Bran su un poggio isolato dal resto del paese, al cospetto del Rocciamelone, in un luogo che probabilmente doveva essere sacro già in periodo preceltico. Gli spadonari eseguono un insieme ritmato di mosse con la spada, tra la scherma e la parata: formano un gruppo che poi si scioglie, intrecciano e urtano vicendevolmente le armi, le lanciano nell'aria e le riprendono al volo.
Le danze sono anch'esse quattro: il Saluto, la Karà (la Quadrata), Lu Kor an din (il Cuore in dentro) e Lu Kor en fora (il Cuore in fuori). È nelle ultime due, dette anche la Krweisàa (Incrociata) e la Man (la Mano), che le spade vengono lanciate in aria e abilmente riprese: antichi detti locali vogliono che se una di esse cade durante l'esibizione sarà un anno poco fortunato. Ogni movenza segue precise tradizioni tramandate oralmente e di indubbia bellezza: qui tutto è rito, nessun carattere carnevalesco o folcloristico vi fa la comparsa.
La Danza è eseguita il 22 gennaio, festa del patrono San Vincenzo, sempre solennizzato anche se giorno feriale: dopo la Santa Messa e al termine del Vespro. Ripetuta la domenica successiva, l'Ottava di San Vincenzo, al termine della celebrazione Eucaristica mattutina e nel pomeriggio ad introduzione del concerto della Banda Musicale. Un altro Ballo avviene la prima domenica di ottobre, alla fine del Vespro in onore della Madonna del Rosario.