Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Le campagne militari napoleoniche, e prima ancora la Rivoluzione Francese, innescano uno dei più colossali movimenti di opere d’arte conosciuti nella storia: un continuo “trasloco” che, tra il 1792 al 1815, coinvolge Egitto, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Prussia e soprattutto l’Italia, saccheggiata a più riprese tra il 1796 e il 1814 (nella foto sopra al titolo una litografia ottocentesca rappresenta il "Bivacco delle truppe francesi a Susa").
Nell'agosto del 1794 Henri Grégoire denuncia all'Assemblea Nazionale “le distruzioni operate dal vandalismo”: la nazionalizzazione dei beni della corona e del clero e il loro saccheggio hanno infatti recato al patrimonio artistico ingenti distruzioni. Si istituisce una Commissione per la sua tutela e prende corpo, da parte del barone Dominique Vivant Denon, l’idea di creare al Louvre un grande Museo Universale che con Napoleone diverrà l’apoteosi culturale del suo impero: simbolo estetico delle sue conquiste territoriali.
In pochissimi anni le vittorie delle armate francesi, le clausole dei trattati di pace con i vari stati, che prevedono la cessione di beni artistici e l’operato dei Commissari della Commission pour la recherche des objects des Sciences et dell’Art fanno affluire a Parigi migliaia di quadri, statue, libri, codici, strumenti scientifici, modellini di fortificazioni e oggetti preziosi antichi e moderni: la città è una concentrazione di gran parte delle opere riconosciute come capolavori mondiali.
Passaggio dell'armata francese al Moncenisio.
Nel 1796 avviene la prima spedizione dall’Italia: i beni provengono da Milano, Pavia, Cremona e dalle città emiliane e romagnole.
L'epistolario Dall’Italia (1796-98) del matematico Gaspard Monge, uno dei Commissari, attraverso le lettere, spedite soprattutto alla moglie e poi ai superiori, fa luce su questi “viaggi”.
Gaspard il 9 settembre scrive che il convoglio, raggiunta Tortona, il 3 si è avviato per Parigi, via Nizza-Aix-en-Provence-Lione. La presenza di bande di briganti sul Colle di Tenda ha obbligato a ripiegare su Cuneo per poi passare le Alpi al Moncenisio. Per timore che la carovana non riesca a superare il valico, vista la stagione già avanzata, le casse di grandi dimensioni e quelle contenenti le opere più pesanti sono lasciate indietro: verranno imbarcate a Genova per Tolone e giungeranno a Parigi solo il 31 luglio 1797. Sei carri carichi di libri, reperti di storia naturale e strumenti dell’Istituto delle Scienze di Bologna attraversano il Colle senza problemi e giungono a destinazione l’8 novembre.
Vecchia stampa del Moncenisio.
La missiva del 13 novembre informa di un nuovo carico formatosi a Modena, diretto a Genova e da qui, via mare, a Nizza.
Dal 1° aprile al 10 giugno dell’anno successivo, da Roma partono 6 convogli: raggiungono Livorno, dove s’imbarcano per Marsiglia, poi, navigando su fiumi e canali, Parigi. L'epistola del 15 luglio parla di tradotte composte ognuna in media da 12 carri, costruiti appositamente e tirati ciascuno da 7 paia di buoi, affiancati da veicoli con attrezzi e pezzi di ricambio.
Se ne vanno capolavori di scultura e pittura ceduti in conseguenza dell’oneroso Trattato di Tolentino, firmato fra Francia e Stato Pontificio. Gran parte del carico è costituito da sculture antiche in marmo: gli 84 capolavori del Museo Capitolino e delle Raccolte Vaticane, poi 16 quadri, codici, volumi e vasi antichi della Biblioteca Vaticana e le opere delle collezioni private confiscate agli Albani e ai Braschi.
Il 27 e 28 luglio 1798 a Parigi, per celebrare le vittorie dell’Armata d’Italia, sfilano le opere da qui provenienti. Secondo il pittore Etienne Delécluze le statue antiche chiudono il corteo ma, tranne i Cavalli di San Marco, sono imballate: scritte a caratteri cubitali indicano i nomi dei capolavori. L’evento è immortalato in modo fantasioso su un vaso monumentale in porcellana della manifattura di Sèvres, realizzato da Antoine Béranger.
Molti dei capolavori sono collocati al Louvre: viene preparato un catalogo, il primo del genere.
Il vaso di Sèvres che celebra la sfilata.
Antonio Canova.
Dopo la caduta di Napoleone a Waterloo e il Congresso di Vienna le nazioni rivendicano anche i propri tesori artistici. Papa Pio VII incarica del recupero, anche per altri Stati italiani, Antonio Canova, grande scultore ma anche Ispettore Generale alle Antichità e Belle Arti dello Stato Pontificio.
La missione è molto difficile. A 58 anni l’artista fa testamento e il 15 agosto lascia Roma: è a Parigi 2 settimane dopo.
Lui e gli altri emissari impiegano oltre un mese per entrare al Louvre ed è possibile solo grazie all’intervento degli inglesi, che si accolleranno i costi del rientro delle opere in Italia.
Canova redige un elenco molto dettagliato delle opere, divise a seconda della loro destinazione finale. È talmente efficiente nel lavoro da guadagnarsi il sarcasmo del Primo Ministro Talleyrand: lo ribattezza“Monsieur l'Emballeur”.
Fuori i parigini, sobillati da Vivant Denon, scrittore e storico dell'arte, tentano di ostacolare il deflusso delle opere: picchetti armati, forniti dal Duca di Wellington, li scoraggiano.
Un grande convoglio, organizzato dagli austriaci, raccoglie anche le opere del Regno di Sardegna, Lombardo-Veneto, Ducato di Parma Piacenza e Guastalla, Ducato di Modena e Reggio, Granducato di Toscana e di parte dello Stato Pontificio.
I carri lasciano Parigi fra il 23-25 ottobre, scortati da 2 squadroni di ulani tedeschi, trasportando centinaia di capolavori: viaggeranno via terra. Un’altra carovana, diretta a Roma via mare, parte il 28. Canova il giorno successivo salpa per l’Inghilterra per ammirare l’esposizione dei marmi del Partenone.
Il 25 ottobre, 49 tonnellate d’arte caricate su 41 carri, trainati da 200 cavalli, si avviano finalmente verso Milano via Moncenisio.
Manca un resoconto dettagliato del viaggio, ma la stagione è molto avanzata e le condizioni atmosferiche sul Colle sono pessime: un infortunio coinvolge la cassa contenente il gruppo statuario marmoreo del Laoconte, di proprietà dello Stato Pontificio. La famosa statua, copia romana in marmo della seconda metà del I secolo a.C. di una scultura ellenistica, raffigura il sacerdote troiano Laocoonte e i suoi figli assaliti da serpenti marini, un episodio narrato nell'Eneide.
L'incidente è descritto nel Processo verbale della caduta del carro che portava il Laocoonte, pubblicato da Antonio d’Este nel 1864, in Memorie di Antonio Canova.
Il documento originale è redatto a Susa alle ore 11 del 26 novembre e firmato dai Consiglieri Comunali, dal Segretario Giuseppe Grassier e dal falegname Giuseppe Gillio.
Il Corriere Pontificio Felice Salleri sollecita l’Amministrazione cittadina a recarsi “al quartiere Rosazza” per verificare eventuali danni occorsi alla statua “arrivata jeri sera alle ore otto in condotta di Claudio Rambaud vetturale del luogo di Truet, dipartimento dell’Isère”, dopo che il carro che la trasportava si è ribaltato, “in vicinanza della barriera d’Italia”, alle 16 del 23 per il “ghiaccio coperto di molta neve caduta nei giorni scorsi”.
Si convocano 8 falegnami “ed artisti diretti dal capo mastro Giuseppe Gillio per disfare”, sotto la supervisione del Salleri e del collega Antonio Bonomi, “il telaro dentro il quale esiste la statua con spartimento della fodera in bosco”. Si constata che il Laoconte è lesionato nel fianco sinistro, “dall’ombelico in giù”.
La rottura è larga “oncie cinque in figura di cuore”: la fessura è trasversale “obliqua di basso in alto, da destra a sinistra” e si estende, da quest'ultimo lato, fino alla parte inferiore del braccio “presso all’articolazione del corpo dello stesso lato” e a destra fino al “manto che appoggia sullo scoglio”.
I Corrieri raccolgono i frammenti in una scatola “con apposizione di semola in essa”, la richiudono e, “per andare al riparo d’ulterior guasto”, si sigillano le fessure “con mastice formato tra gesso e mattoni, e con puntelli di legno” assicurano il tutto, “onde evitare la menoma scossa”. Provvedono a far riparare e fortificare telaio e fodera e saldano al Gillio la somma di 61 franchi per l’intervento.
Chiedono sia messo a verbale che il 23, dopo l’incidente e la discesa a Susa del Bonomi per far costruire un “traineau” per caricarvi la statua, il Salleri si rivolge al “capo conduttore dei vetturali” per avere “soccorso in uomini ed ordegni” e gli viene negato.
Lui stesso allora, la mattina del 25, “con quei mezzi che si è procurato sul monte”, risolleva il carro. Invia un “espresso” alla cittadina per “contromandare” la realizzazione del “traineau”, ma non giunge in tempo: si devono pagare 15 franchi sempre al Gillio.
Si sottolinea l’impossibilità di prevedere la presenza del ghiaccio nascosto dalla neve nonostante tutte le attenzioni “usate, tanto da essi sigg. Salleri, Bonomi e compagni, quanto dallo stesso Rambaud vetturale, i di cui sforzi furono inutili”.
Il 27 novembre i primi carri arrivano a Torino: si scaricano 25 casse destinate alla città e a Genova.
Il resto del convoglio è a Milano a inizio dicembre, qui il carico è smistato verso le località di destinazione. I 12 carri di Roma, con il Laoconte, giungono in città il 30 dicembre.