Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Nel corso dei secoli i 3.536 metri del Rocciamelone hanno spesso fatto parlare di loro: un continuo intreccio di storia, credenze, religione e ascensioni.
Fra i tanti a scriverne, nel secolo XIX, anche Federico Garelli, considerato il fondatore del teatro dialettale piemontese: compone la commedia Lena dël Ròcia-Mlon, La Lena del Rocciamelone, tradotta anche in lingua romancia dal poeta svizzero Carantash.
In quegli anni, il 5 agosto e nei giorni di vigilia, i sentieri cheportano in cima, salendo da Foresto, Mompantero e Novalesa in Valle di Susa, Usseglio in Val di Lanzo e Bessans in Maurienne, sono percorsi da una moltitudine di fedeli. Quando la vetta è battuta dalla tormenta nessuno s’arrischia oltre i 2.854 m del rifugio Ca’ d’Asti, dove si celebra la Messa. Vi si rinuncia in caso di pioggia o bufera.
Il Rocciamelone da Malciaussia.
L'istituzione di un giorno sacro alla Vergine, con il titolo di Madonna delle Nevi, risale alla leggenda della fondazione di Santa Maria Maggiore sull’Esquilino a Roma: la notte del 4 agosto del 358 la Madonna appare in sogno a Giovanni, un giovane patrizio romano, a sua moglie e a Papa Liberio chiedendo loro di erigerle una chiesa nel luogo in cui all'alba avrebbero trovato neve fresca.
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L’Almanacco di Torino del 1879-80, edito nel 1881 dalla Libreria torinese Casanova di Piazza Carignano, riporta una minuziosa cronaca della festa, a firma Acrofilo, Carlo Ratti.
Nei giorni precedenti, gli “intraprendenti alpigiani” con i muli fanno la spola fra le varie borgate poste sulle pendici del monte, per “stabilire depositi di provvigioni qua e là nelle case presso cui passerà la gente”. Al Passo della Capra, al riparo di una grossa rocca, un oste di Lemie annualmente allestisce un punto di ristoro per i fedeli provenienti da Usseglio.
“Buona parte degli accorrenti” sono valsusini, soprattutto di Susa e circondario. C'è chi partecipa ogni anno convinto di ottemperare “ad un sacro precetto”, chi mosso da devozione o voto da adempiere, chi attirato dalla pura curiosità e dal potere raccontare l’avventura al ritorno.
Il maggior numero parte al mattino della vigilia e con diverse tappe raggiunge Cà d’Asti per “comporsi un giaciglio” dove dormire: chi arriva presto si riposa, si ristora con le proprie provviste, prega la Madonna o fa penitenza. Il bel tempo invoglia qualcuno a salire in vetta e rientrare.
Ca’ d’Asti.
I pastori delle “margarie” e i valligiani, abituati a camminare sin da bambini per quei viottoli, si avviano nel pomeriggio-sera e “raggiungono in breve le più pigre comitive, e le avanzano”.
Pochi i solitari, spesso si tratta di marito e moglie, di un’intera famiglia o di una comitiva di amici, come quelle che solitamente trascorrono la domenica “nella bettola del villaggio”. Qualcuno s’impegna a scortare “una brigatella di figlie da marito” o un gruppo di donne e giovani alla prima ascesa.
Il 4 agosto, a qualsiasi ora e da qualunque punto si parta, si cammina in compagnia: puntando un cannocchiale si vedono ovunque “processioni serpeggianti” salire i “dirupati sentieri”.
Quando lo stomaco “chiede rinforzo", sostando ai “casolari” e agli “alp”, alpeggi, si trova accoglienza: un’insegna improvvisata con un ramo di ginepro, una cucina di fortuna, tavole imbandite sulle pietre e “divengono altrettante bettole che all’affluenza degli avventori parrebbero esercizi ben avviati nel centro d’un sobborgo”.
All’imbrunire si fa una modesta “refezione” con quello che offrono gli osti estemporanei: minestra, polenta, carne, prosciutto, uova, formaggio e burro, latte freddo e caldo, pane bianco e un “discreto vino”. Con le ombre della sera che si allungano, si discorre sottovoce o si recita il Rosario, poi gruppi di giovanotti intonano canti di montagna.
Cala il silenzio, si sentono solo più i passi frettolosi di qualche ritardatario che incede silenzioso. Gli altri riposano poche ore, poi riprenderanno la via per Cà d’Asti.
“Nulla può dare un’idea del genere di spettacolo che presenta il luogo di Casa d’Asti” in questa notte: un continuo sopraggiungere di gente. Muoversi è difficoltoso, “ad ogni momento o s’incespica o si rischia di pestare qualcuno placidamente addormentato sulla nuda terra”.
Accanto alla cappella sorgono “due o tre basse casuccie”, delle “meschine tettoie” e fra le rocce “sono scavate delle tane”: le persone vi dormono strette le une alle altre, vestite, avvolte in coperte e “circondate da un tanfo e da un buio che interdicono l’avanzarsi ad un naso alquanto delicato”.
Ca’ d’Asti, 1920 circa.
Alcuni girano intorno alla chiesetta biascicando giaculatorie e Rosario. Dentro, pigiati oltre misura e rischiarati da candele, si venera l’immagine della Madonna cantando litanie e laudi.
Per tutta la notte è attivo uno “spaccio di brodo a scodelle” a 10 centesimi ognuna. L'attesa è lunga: si grida, si spinge e si bestemmia in vari dialetti ed è “molto se si riesce a berne una parte, chè il resto si rovescia addosso a qualcuno”. C'è poi chi cerca vino e acqua “a un soldo al litro”, o pane e “companatico”. I venditori di acquavite, provvisti di lanterna, si aggirano fra la folla gridando a squarciagola: “smerciano bicchierini a iosa”.
Al “tocco”, l'una di notte, tutti si preparano all’ultima salita: 4 ore anziché le 2 necessarie. Aprono la Processione i Sacerdoti: i servitori fanno luce con torce e lanterne. Si accodano, in fila indiana, montanari gagliardi, cittadini più o meno esperti, bambini, giovani e vecchi, uomini e donne, ubriachi e spossati dal freddo o dal digiuno. Alcuni “temerari scalano in qualche punto le roccie per sopravvanzare gli altri” e qualcuno rinuncia a salire.
All'albeggiare, a metà percorso, si è alla “Crocetta”, la Croce di Ferro, un pilastro che ospita in una nicchia una rozza croce: i devoti la baciano e alcuni vi depositano una preghiera.
La Croce di Ferro.
La vetta vista dalla Croce di Ferro.
Le fiaccole sono spente da tempo quando si giunge in cima e qui “ognuno che sbocca in quel po’ di spazio supremo”, guardandosi intorno, si dimentica della fatica sopportata.
L'afflusso continua ancora per una buon’ora: arrivano 1.000-2.000 persone e un altro migliaio si sono arrestati a Cà d’Asti o per via. Sui ghiacciai, verso la Francia, si scorgono “delle fila di savoiardi che lentamente s’avanzano verso di noi”: sono saliti dalla valle del Ribon.
Il ghiacciaio visto dalla Valle del Ribon.
Ogni foggia del vestire è rappresentata. Le floride donne di Valsusa e di Usseglio indossano scialli e cuffie dai colori vivaci, le “ulciesi” calzano un “cuffione bianco sollevato posteriormente a guisa d’aureola” e vestono una “pezzuola a più tinte incrociata sul petto”.
Spente le savoiarde: calze, vesti, cuffie scure e “di pessimo gusto”. I loro uomini e qualche nostro anziano portano calze scoperte, calzoni corti e l’ormai sorpassato “abito colle code”. Alcuni, “dall’espressione più delicata dei lineamenti” e dagli stessi vestiti, tradiscono un’origine cittadina. Non mancano gli inglesi nel loro “strano abbigliamento alpinistico”.
La piccola cappella che, “ben pigiate” ospita circa 20 persone, è “un baraccone quadrangolare col tetto a due versanti” e l’entrata, sempre aperta, rivolta verso Torino. Le pareti interne sono ricoperte da nomi ed ex-voto. Fuori, appoggiate alle rocce “lapidi marmoree rese quasi illeggibili ed insudiciate da scritture”.
Donna valsusina...
...e di Usseglio in abito tradizionale.
La cappella in vetta.
Spicca anche una costruzione in pietra e calce, di circa 3 m di altezza: un cubo a cui si è “nel mezzo sovrapposto un prisma”. È stata eretta lo scorso anno in sostituzione della piramide di 8 m, distrutta da fulmini e intemperie, innalzata tra il 1821-23 per la misurazione, da parte degli astronomi Plana e Carlini, “dell’arco del parallelo medio compreso fra la Torre di Cordovan Sull’ Atlantico e quella di Fiume sull’Adriatico”.
Fra la folla cala il silenzio: i ceri sono accesi, si espone il Trittico di Rotario.
Appena il sole sale all’orizzonte, il Sacerdote, “designato da Susa”, celebra la Messa. I colleghi, unitisi a lui per voto o propria devozione, potranno fare altrettanto dopo. Al termine si distribuisce la “Carità”, il pane benedetto durante la funzione. C'è chi va “in giro scuotendo un bossolo per ricevere oblazioni”. I penitenti, con il cappello in mano, recitano preghiere e Rosario.
Si cantano inni sacri e “volgari canzoni”. I venditori di acquavite anche qui “esitano i loro bicchierini con somma facilità": il freddo è intenso. La gente, piano piano, riprende la discesa. Alla Croce di Ferro si recita ancora il Padre Nostro e giunti a Cà d’Asti si può partecipare alle Messe, ma i più, riuniti in piccoli gruppi, finiscono di consumare le provviste.
I venditori di medaglie e souvenirs vari fanno buoni affari, e poi si torna a valle: "Intanto che scendono nuovi reduci dalla vetta, altri se ne partono, ed è bello allora il vedere le chine verdeggianti del monte tutte cosparse di persone dall’andatura franca e spigliata che per varie parti si dirigono”.