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Quando allestiamo il presepe non ci facciamo tanti problemi, l’importante è che ci sia la capanna con Maria, Giuseppe, il Bambino, il bue e l’asinello, l’angelo, i pastori e i Re Magi. Poi si aggiungono personaggi ed ambientazioni di fantasia.
In realtà ci sarebbero delle regole, e alcune inconsciamente e tradizionalmente le rispettiamo. Ad esempio i pastori trovano Maria e il bue alla destra di Gesù, che si mette solo alla mezzanotte del 25 dicembre. Alla sua sinistra si trovano l’asino e Giuseppe. Dal 6 gennaio si aggiungono i Re Magi, provenienti da destra, quindi dall’oriente. Sopra la capanna o nel cielo di carta non deve mancare la stella cometa.
Questa composizione è il frutto di una lunga tradizione, che ha aggiunto elementi e particolari alla cronaca della Natività, che compare solo in due dei quattro Vangeli canonici ed è molto succinta, lasciando spazio a molte interpretazioni e alle aggiunte degli evangelisti apocrifi.
Stalla o grotta?
Presepe deriva dal latino “praesaepe”, traducibile con “greppia”, “mangiatoia” o “recinto per capre o pecore”. L’unico riferimento evangelico all’ambiente di nascita di Gesù è in Luca: «Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.»
Anche se Luca cita i pastori e la mangiatoia, nessuno degli evangelisti parla esplicitamente di una grotta o di una stalla. In ogni caso a Betlemme la Basilica della Natività sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta ove nacque Cristo. Questo non è necessariamente in antitesi con la nascita in una stalla: l’orografia della Palestina è caratterizzata da numerose piccole grotte che venivano spesso usate come dispense o piccole stalle, sovente ampliate e incorporate in costruzioni in muratura.
San Francesco, rientrato dalla Palestina, allestisce il presepio di Greccio in una grotta, portandovi una mangiatoia, un bue e un asino. Era il Natale del 1223 e dava origine al presepe moderno, ed era anche il primo presepe vivente.
Nella cappella degli Scrovegni a Padova, nel 1303-05, Giotto affresca la sua prima Natività, ispirata al Vangelo di San Luca e al presepe di Greccio. La Madonna, come nella successiva rappresentazione ad Assisi, viene dipinta distesa, posizione più adatta ad una puerpera, che non quella in ginocchio dell’iconografia affermatasi in seguito.
La Sacra Famiglia
Al centro dell’iconografia della Natività c’è naturalmente Gesù, adagiato sulla paglia, che evoca la greppia o mangiatoia.
Maria, col manto azzurro che evoca il cielo, fino al XIV secolo veniva rappresentata sdraiata accanto al figlio, mentre nei secoli più recenti l’iconografia l’ha sempre raffigurata in ginocchio o adorante.
San Giuseppe è solitamente simile per abbigliamento e fisionomia ai pastori, è situato a lato di Gesù ed è caratterizzato da un bastone con l’impugnatura ricurva, i suoi vestiti tendono al marrone, simbolo di umiltà. Era spesso rappresentato dormiente, a sottolineare il ruolo passivo nella procreazione.
Personaggi canonici del Presepe, iconografia e simbologia (Scuola Guido).
Il Bue e l’asinello
Il bue e l’asinello, simboli immancabili di ogni presepe, derivano dal cosiddetto “Protovangelo di Giacomo” e da un’antica profezia di Isaia che scrive “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone“. Sebbene Isaia non si riferisse alla nascita del Cristo, l’immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino).
Secondo la tradizione il bue e l’asinello riscaldarono con il loro fiato la mangiatoia in cui venne riposto Gesù e nel presepio napoletano rappresentano simbolicamente il Bene (bue) e il Male (asino). Non sono due forze in contrasto, ma bilanciate fra di loro danno ordine al mondo intero: rappresentano l’equilibrio perfetto.
L’asino è collocato nella stalla dietro la mangiatoia che ospita Gesù, ed è, secondo alcuni, quello che avrebbe accompagnato Maria e Giuseppe nel loro viaggio. Nonostante il bue sia, come l’asino, citato solo in fonti apocrife, è considerato da tutti un elemento basilare e significa sottomissione.
Secondo alcuni avrebbe indicato, con i suoi muggiti, alla Sacra Famiglia l’esistenza della stalla, per i monferrini apparteneva al pastore Gelindo, come la stalla.
Era tradizione piemontese – diffusa non solo nel Monferrato – la messa in scena nei giorni natalizi della Favola di Gelindo. Vero e proprio Mistero popolare tra stalle e teatri di parrocchie, questa lettura del Natale da un copione forse seicentesco (stampato per la prima volta ad Asti due secoli dopo, nel 1809) vede l’intervento di una maschera locale, appunto Gelindo, ipotetico primo testimone della Natività. Una maschera che incarna sorridendo il bravo contadino monferrino, semplice e un po’ burbero, insicuro, pasticcione e sbadato, da cui l’appellativo popolare “Gelindo” a una persona svagata e distratta
Angeli e pastori
Se il bue e l’asinello derivano solo da fonti apocrife, sono riconducibili al vangelo di Luca, oltre alla mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la presenza di angeli nel cielo. Nel presepe tradizionale ritroviamo un angelo (l’arcangelo Gabriele) sopra alla grotta o dietro la culla di Gesù mentre in alcuni presepi ve ne possono essere molti di più.
Ad esempio nel presepe napoletano vi sono tre angeli sopra la grotta: al centro l’angelo chiamato Gloria del Padre che tra le mani tiene una pergamena con scritto Gloria, e rappresenta gli angeli che intonano il canto ai pastori; a destra l’angelo chiamato Gloria del Figlio che tiene tra le mani l’incensiere e a sinistra l’angelo Gloria dello Spirito Santo che suona la tromba. Nel presepe genovese gli angeli sono più numerosi.
Pastori e pecore rappresentano il “gregge” dei fedeli che incontra Dio grazie alla guida avveduta dei pastori, i sacerdoti. Il loro numero è variabile, vanno tradizionalmente collocati a destra della capanna, sul lato di Maria e del bue. Indispensabile nel presepe napoletano è il “pastore della meraviglia”, che assiste a bocca e braccia aperte al miracolo della Natività.
In ogni presepe vi è poi il pastore addormentato, chiamato Benino nel presepe napoletano, che rappresenta l’intera umanità, dormiente e pigra di fronte al divino. Il suo risveglio sarà su un “mondo nuovo”.
Nel presepe piemontese è invece sempre presente Gelindo, il pastore – contadino padrone del bue, che offre a Maria e Giuseppe la stalla in cui far nascere Gesù. I piemontesi sono molto affezionati a questa figura d’origine monferrina con agnello sulle spalle, dono ma anche simbolo del futuro sacrificio, cappello in testa, giacca e calzoni sotto il ginocchio, “cavagna” (cesto) al braccio.
Magi o Re Magi?
Solo nel Vangelo di Matteo si parla di “Magi”. Arrivano a Gerusalemme dall’oriente, perché avevano letto nel sorgere di un “astro” l’annuncio della nascita del re dei Giudei. Il legittimo re, Erode, resta turbato e li invia a Betlemme, sulla base della profezia di Michea, con l’intento di avere informazioni su questo re illegittimo.
Guidati dall’astro i magi arrivano “nella casa” e offrono a Gesù bambino “oro, incenso e mirra”. Avvertiti quindi in sogno di non tornare da Erode, che aveva intenti omicidi verso il possibile usurpatore, i Magi tornano nel loro paese.
Quindi Matteo non ne indica né il numero (che venne desunto dai tre doni portati) né la regalità: il termine indicava infatti degli astrologi, dei sapienti, non dei re. Questo ed altri particolari vengono aggiunti dai vangeli apocrifi, in particolare i loro nomi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, vengono desunti dal “Vangelo dell’infanzia Armeno”.
Le statuine che li rappresentano devono essere aggiunte tradizionalmente la notte precedente l’Epifania, alla sinistra della capanna. Sono rappresentati con abiti ricchi e reggono i tre doni.
Il numero dei Magi fu piuttosto controverso, oscillando tra due e dodici. In base ai tre doni da loro offerti, citati nel Vangelo di Matteo, papa Leone Magno stabilì che i Re Magi furono tre, con un decreto papale. Secondo alcune interpretazioni rappresenterebbero le tre età dell’uomo o i continenti conosciuti all’epoca e quindi sono spesso caratterizzati da differenze di aspetto e carnagione.
Secondo la tradizione, Melchiorre viene rappresentato come anziano, con la barba lunga e portante incenso, a ricordo della divinità di Gesù, e proverrebbe dall’Asia. Gaspare, più giovane, trasporta il simbolo della regalità, ossia l’oro, e rappresenta l’Europa; infine Baldassarre è il mago dell’Africa, naturalmente di colore scuro, recante la mirra, utilizzata per l’imbalsamazione e dunque a ricordo della futura morte di Cristo.
Quindi i doni dei Magi fanno riferimento alla duplice natura di Gesù, quella umana e quella divina. L’oro perché è il dono riservato ai Re e Gesù è il Re dei Re, l’incenso, come testimonianza di adorazione alla sua divinità, perché Gesù è Dio, la mirra, usata nel culto dei morti, perché Gesù è uomo e come uomo, mortale.
Presepio o albero? E si dice presepio o presepe?
Un tempo il presepio era “cattolico” e l’albero “protestante”, l’uno ideato da San Francesco, l’altro di origine nordica e di ascendenza pagana. Oggi per fortuna convivono tranquillamente nelle nostre case, contribuendo all’atmosfera natalizia.
Spesso i presepi vengono ambientati nella realtà attuale, un anacronismo che può veicolare un messaggio importante, l’attualità della Natività. Il presepe allestito nel transetto della Collegiata di San Lorenzo a Giaveno riproduce edifici significativi e chiesette montane (qui il filmato).
Si dice presepio o presepe? Qualche anno fa l'Accademia della Crusca ha sciolto il dubbio, ricordando che già in latino erano due i termini usati, praesaepe, più antico, e praesaepium. Anche Alessandro Manzoni, nella sua poesia "Il Natale", usa prima "presepio" e poi "presepe": questo ha sdoganato definitivamente entrambe le parole.
Oggi è indubbio un uso maggiore di "presepe", ma si possono usare entrambi i termini. "Che sia presepe o presepio vi auguriamo che anche il vostro sia perfetto: Buon Natale!": questo è l'augurio finale della Crusca, a cui non ci possiamo che associare.
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