Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
L’arco alpino piemontese appare dalla pianura come una grande muraglia che l’abbraccia ininterrottamente da sud a nord. Il Rocciamelone è una delle vette più alte e suggestive di quest’arco: ne è il Re dalla cui vetta si domina la Pianura Padana.
Nel 1600, al pari delle età precedenti, numerose sono le sue citazioni in scritti e documenti.
Nell'imminenza della festa, che cade il 5 agosto, verso la vetta c’è un grande flusso di pellegrini: più sacerdoti sono impegnati, in contemporanea, nella celebrazione di messe. Si adattano alla meglio, chi in cappella, chi sulla nuda roccia. Non badano né al rispetto delle regole imposte dalla liturgia tridentina, officiando anche prima dell’alba, né ai canoni sinodali in vigore nell’arcidiocesi torinese.
Contro di essi si scaglia Monsignor Carlo Broglia Arcivescovo di Torino: li redarguisce nel Sinodo convocato il 19 novembre 1608. Nell’VIII capitolo delle Constitutioni si proibisce ai sacerdoti di “celebrare ad altri Altari ivi, salvo a quello della Capella sudetta, sotto pena di sospensione a divinis ipso facto. Prohibiamo parimente sotto pena di sospensione ad ogni altro Sacerdote il celebrare ad alcuno Altare, che non sia con le qualità ordinate in detto capitolo”.
Monsignor Carlo Broglia.
Cesare Alessandro Scaglia di Verrua.
Cesare Alessandro Scaglia di Verrua, protagonista della storia diplomatica del primo Seicento, Abate Commendatario di San Giusto di Susa, è nella cittadina nel 1612.
La chiesa di San Paolo, sotto la cui giurisdizione ricade il territorio di Mompantero e del Rocciamelone, per l’occasione redige l’inventario dei suoi beni, custodito presso l’Archivio Storico Diocesano segusino.
Tra pianete di “gros-gras”, tovaglie, camici, amitti, borse con o senza corporali, messali e contraltari, una pietra consacrata per l’altare e portata in vetta all’occorrenza.
Un nuovo elenco di suppellettili è compilato, dopo il 1618, dal curato Batta Crocerio: oltre ai soliti oggetti e paramenti un camice e un amitto in “tela di rista”, canapa della migliore qualità, ex voti, un vasetto argenteo per portare il Santissimo Sacramento “alla montagna”, un calice dorato, con patena e astuccio in cuoio, donato nel 1618 da un pellicciaio di Torino.
Ancora più prezioso l’inventario del 1632: oltre al solito, un contraltare di cuoio con l’effigie della Vergine nel mezzo, “lasciato guastare dalla neve del 1634 e straciato”, e un ex voto del 1635. È un’immagine di un “homo da mesa cosscia in su, con doi cori picoli anco d’argento”.
La parrocchia di San Paolo sarà soppressa nel 1749: beni mobili ed immobili saranno trasferiti a S. Giusto che diverrà collegiata secolare.
Il geografo francese Melchior Tavernier, incisore e stampatore calcografico del Re, nella sua Carte Générale de la Savoye, Piemont, Monferrat, realizzata nel 1630, è il primo ad utilizzare l’attuale grafia francese Rochemelon.
All’incirca nella stessa epoca anche la carta realizzata da Jocodus Hondius, a corredo dell’opera di Gerardo Mercatore, cita “Roche Melon, montagne très haulte (sic)”.
Un prezioso calice, oggi visibile nelle sale del Museo Diocesano di Arte Sacra di Susa, figura nell’inventario redatto nel 1643 in occasione della visita pastorale, all’abbazia di San Giusto e alle Chiese di San Paolo e del Ponte, del Vicario Generale, Giovanni Antonio Baroerio, a nome dell’abate Filiberto Scaglia.
Marie di Maubec-Montlaur, marchesa d’Aubenas e vedova di Jean Baptiste d’Ornano, maresciallo di Francia, lo ha donato, il 21 giugno 1628, per utilizzarlo alla festa della Madonna della Neve. Per il resto dell’anno lo affida alla custodia della Confraternita dello Spirito Santo, insediata presso la Chiesa del Ponte.
La devozione alla Madonna del Rocciamelone è molto viva anche nelle vallate vicine: ad agosto vi si sale in processione. Da uno di questi atti ha origine la fondazione del Santuario della Madonna di Loreto a Forno Alpi Graie.
Il secolo XVII è un periodo di storia assai dolorosa per il Piemonte: le continue guerre volute dal Duca Carlo Emanuele I di Savoia trascinano con sé fame, peste e tasse che gravano sempre più sulle povere risorse della popolazione.
Gli abitanti delle valli, alla loro abituale povera vita di montagna, aggiungono l’emigrazione invernale in città, dove svolgono i lavori più umili e pesanti.
Il "miracolo dei quadri" di Pietro Garino
Pietro Garino originario di Forno Alpi Graie, oggi frazione di Groscavallo nella Val Grande di Lanzo, ma emigrante stagionale a Torino, è uno di loro.
Ritorna ogni estate in paese. La sera del 4 agosto 1629, con il capitano Guglielmo Milone e Bartolomeo Dagna, raggiunge la vetta del Rocciamelone.
Sulla facciata della cappella vede due quadri rappresentanti la Madonna di Loreto col Bambino e San Carlo Borromeo. Il sole e le intemperie ne hanno intaccato i colori: Pietro decide di prenderli con sé. Li farà restaurare e li riporterà l’anno seguente: è una promessa.
Ai primi di settembre, a Torino, li affida al pittore milanese Carlo Antonio Merutto. Nel 1630 è di nuovo al paese: ovunque imperversa la peste portata dai Lanzichenecchi. Ad agosto la malattia miete numerose vittime proprio nelle zone limitrofe, meglio rimandare a tempi migliori l’ascesa al Rocciamelone.
I quadri sono in un cassettone chiuso a chiave: Pietro li estrae ogni sabato per compiere dinanzi ad essi le sue abituali preghiere.
Giunge settembre: nella notte di venerdì 27 una voce lo chiama per nome. Pensa ad una allucinazione e non vi fa caso, ma tutto si ripete, alla stessa ora, il sabato. Balza dal letto, apre la finestra: si ode solo il rumoreggiare dello Stura poco lontano.
Nella notte successiva ancora la voce: Pietro avverte un presagio. Lunedì 30, al pomeriggio, va a raccogliere foglie di frassino per il bestiame in un podere all’imbocco del Vallone di Sea che conduce, fra altissime pareti di roccia strapiombanti, al ghiacciaio della Ciamarella e al Col di Sea, valico per la Savoia.
Salito su una pianta scorge sulla cima i due quadri, legati assieme come li ha deposti nel cassettone. Esterrefatto scende, si inginocchia, si scopre il capo e a mani giunte prega la Vergine e San Pietro: all’istante i due dipinti sono lì accanto.
Sbigottito scorge su un masso, ritta fra due donne, Maria: un velo verde sul capo, una lunga veste d’argento adorna di gemme e gioielli, il viso rivolto ad occidente.
Gli affida un messaggio per il Curato: il popolo deve essere più timorato di Dio affinché lei possa ottenere da Gesù la cessazione della peste. Lo benedice e scompare.
Il Garino recita le litanie e ritorna a valle con i quadri. Il mattino seguente è a Groscavallo: si presenta a Don Renaldo Teppati a cui racconta l’accaduto e poi torna a casa.
Nel pomeriggio, con Don Teppati e altri due sacerdoti, ritorna ai 1340 metri della Sea. Ridiscesi a Forno pregano fervidamente dinanzi ai dipinti, don Renaldo li benedice e lui li ritira nel cassettone.
Il giorno seguente il sacerdote invita Pietro a raggiungerlo, con i quadri, l’indomani nella cappella di San Rocco al “Campo della Pietra”: ascolterà Messa, si confesserà, farà la Comunione e assieme ritorneranno alla roccia dell’apparizione per deporvi accanto i dipinti.
A sera Pietro chiude a chiave la porta di casa, ma a notte fonda la sente aprirsi. Balza dal letto: è sprangata. All’alba chiede aiuto al vicino, Michele Venera, perché stranamente non riesce ad aprire il cassettone: è vuoto.
Corre ad avvisare il Parroco. Una processione sale in preghiera alla Sea: i quadri spuntano sotto il macigno sul quale è comparsa Maria.
Il Curato invita i fedeli ad inginocchiarsi e a cantare le Litanie. L'indomani Pietro Garino, sotto giuramento, in ginocchio e a mani giunte, innanzi al Parroco e a 22 testimoni di Groscavallo, rinnova il racconto dei fatti.
Il notaio Giacomo Caveglia di Monastero stende l’atto pubblico. Il Garino fa subito edificare sul luogo delle apparizioni un pilone per custodire i quadri, sistemati in un reliquiario barocco tuttora conservato.
La devozione alla Madonna di Loreto si diffonde velocemente nei paesi circostanti e in Francia: ogni estate è meta di pellegrinaggio.
La “Scala Santa” di accesso al Santuario negli anni '50.
Nel 1752 inizia la costruzione dell’attuale edificio, ultimato nel 1870: nonostante i 444 gradini per accedervi è uno dei santuari più frequentati delle alte Valli di Lanzo.
Non risulta che la Madonna apparsa avesse fattezze nere, ma la statua di Maria che accoglie i devoti ha il suo volto e quello del Bambino, che tiene in braccio, in ebano.
Il Santuario di Groscavallo (foto di Flavio Crovella).