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Verso la metà del XVII secolo le comunità valdesi in Piemonte erano concentrate perlopiù nelle valli San Martino (l'attuale Val Germanasca) e Luserna (l'attuale Val Pellice); la popolazione era di circa 13.500 persone.
Nella Settimana Santa del 1655 Maria Cristina di Borbone-Francia, reggente del duca Carlo Emanuele II di Savoia, scatenò contro esse violente persecuzioni, passate alla storia come "Pasque piemontesi". Le stragi cessarono dopo le pressioni diplomatiche esercitate dalle potenze protestanti europee, ma non terminarono vessazioni e violenze e Vittorio Amedeo II di Savoia qualche anno dopo impose la cessazione di ogni manifestazione pubblica valdese.
Nel 1685 le violenze in Piemonte ripresero vigore, tanto che fu di fatto eliminata l'intera comunità valdese, tranne quelli (circa 2500) che riuscirono a riparare a Ginevra, sotto la protezione dei protestanti svizzeri.
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Il “glorioso rimpatrio”
Nell'agosto del 1689 Guglielmo III d'Orange salì al trono d'Inghilterra, ricostituendo il fronte anti-francese della Lega di Augusta.
Approfittando dell'appoggio del re inglese i valdesi organizzarono una spedizione di rientro nelle loro Valli, non solo per riavere le proprie terre ma anche per ritrovare figli, che erano stati rapiti o adottati da famiglie cattoliche allo scopo di estinguere per sempre il focolaio del protestantesimo in Piemonte. Il Palazzo degli Stemmi, a Torino, era l'istituto in cui i piccoli valdesi venivano catechizzati per poi essere utilizzati da famiglie cattoliche come domestici.
Sostenuti economicamente e militarmente da Guglielmo d'Orange quasi mille uomini, tra valdesi e ugonotti, si riunirono sulla riva settentrionale del Lago Lemano per tentare un'operazione che incuriosirà studiosi, turisti e strateghi per la tenacia, la resistenza e l'abilità dimostrate per percorrere a piedi, in soli 15 giorni, i 250 chilometri che li separavano dalle loro valli. Napoleone fu fortemente impressionato dall'impresa, e persino il ministro italiano della Guerra incaricò, nel 1872, il capitano Eugenio Gallet di rifare il tragitto a piedi.
Gli inglesi Gilly e Acland, i pittori Bartlett e Brockedon svilupparono un'immagine così romantica dell'impresa fino a renderla leggendaria. Chi ha percorso a piedi quelle montagne, in condizioni di sopravvivenza ben più confortevoli, ha potuto rendersi conto dei disagi e dei pericoli che il capitano ugonotto Turel, comandante generale, e Henry Arnaud, uno dei tre pastori, capo carismatico dei valdesi, con i loro uomini affrontarono e superarono grazie al profondo attaccamento alle loro famiglie, alle loro valli e alla loro fede.
La battaglia di salbertrand
A San Giacomo, in Val Clarea, i valdesi si trovarono in una situazione delicata e pericolosa. Per raggiungere la Val di Susa, essi dovevano scendere per la Comba di Giaglione, dove potevano essere preda dei nemici nascosti sulle montagne; inoltre questo luogo era il limite di frontiera tra la Francia e lo Stato Sabaudo.
Decisero allora di muovere l'avanguardia per vedere se fosse possibile attraversare il ponte sulla Dora, tra Salbertrand e Chiomonte, e raggiungere il Colle dell'Assietta, che collega la Val di Susa con la Valle di Pragelato. Tutto il passaggio sarebbe avvenuto su territorio francese.
I loro piani furono però contrastati dalle truppe sabaude comandate dal piemontese Francesco Losa, che aveva concluso un accordo con Daiguines, comandante della fortezza di Exilles, secondo il quale egli poteva passare la frontiera francese per attaccare i «Lusernesi» (come allora la diplomazia chiamava i valdesi delle valli piemontesi) e dare loro la caccia.
L’avanguardia valdese fu subito scoperta dalle truppe piemontesi asseragliate sulle alture della comba.
Dal canto loro i valdesi cercarono senza riuscirci, di aprirsi un varco con l'aiuto di alcuni ostaggi (l'uso politico degli ostaggi era prescritto nelle famose Istruzioni di Giosuè Janavel, il capo carismatico della resistenza valdese prima dell'esilio e che in qualche modo del Glorioso Rimpatrio fu il promotore). Ma i piemontesi fecero prigioniero il capitano Paul Pelleuc e cominciarono a fare rotolare dei massi dalle alture.
I valdesi si trovarono impossibilitati ad uscire dalla Val Clarea, e la ritirata verso la Maurienne li avrebbe buttati in braccio ai francesi. Non restava loro che prendere ad ovest, e risalire il vallone del Tiraculo.
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Grazie alla velocità e alla resistenza di uomini abituati alla montagna, essi raggiunsero il territorio francese che passava al di sopra di San Giacomo e faceva un curvone fino alla Punta Ferrand.
La salita fu molto difficile e faticosa poiché i piemontesi continuavano l'inseguimento; i valdesi persero diversi uomini, che furono fatti prigionieri e liberati solo nel 1690, quando invece i prigionieri dei francesi partirono per le galere del Re Sole.
Dalle Grange della Thuille una mulattiera portava ai Quattro Denti, da dove i valdesi avrebbero potuto attraversare la valle e risalire al Colle dell'Assietta all'altezza di Chiomonte. Al colle, però, essi trovarono una compagnia di soldati che erano stati informati dei possibili movimenti dal capitano Losa. I valdesi riuscirono a patteggiare il passaggio del colle a condizione di non scendere direttamente a Chiomonte, ma di seguire ad ovest il sentiero che passava sopra ad Exilles e Salbertrand.
Grange della Valle (Exilles)
Costeggiarono allora la Cima del Vallone ed arrivarono alle Grange della Valle, da cui discesero verso Eclause al tramonto. Qui furono avvisati da un montanaro: i francesi li attendevano. In effetti quando giunsero a Moncellier, sopra Salbertrand, essi videro i fuochi francesi che li aspettavano al ponte Chenebières. Le truppe erano al comando del marchese di Larray, che nel 1688 era il comandante militare del Delfinato, il quale disponeva di soldati professionisti, ma anche di montanari del posto. Se non volevano essere accerchiati, i valdesi non avevano scelta: dovevano combattere per occupare il ponte che avrebbe loro concesso di passare sull'opposto versante della valle.
Decisero di attaccare dopo le dieci di sera. Spossati e numericamente inferiori essi riportarono una vittoria sorprendente, mossi dalla forza della disperazione dal momento che qualsiasi ritirata era loro proibita. Persero circa 20 uomini in battaglia ed altri si smarrirono nell'oscurità caddero nelle mani dei francesi il giorno seguente; in tutto 150 uomini, più qualche ostaggio che approfittò della confusione per darsi alla fuga.
Dopo la battaglia distrussero il ponte per impedire di essere inseguiti e, spossati e decimati, presero la via del colle dove arrivarono il giorno dopo, all'alba del 25 agosto.
Salvati prima del massacro da un cambio di alleanze
Ripreso possesso delle valli, i valdesi si impegnarono, nel prato di Sibaud a Bobbio Pellice, a mantenere fra loro unione e solidarietà.
Nell’autunno 300 rimpatriati si rifugiarono a Balziglia, dove fortificarono lo sperone roccioso dello Châtel. Lì resistettero tutto l’inverno, compiendo di tanto in tanto delle razzie nel resto della valle e mietendo in febbraio la segale che i contadini cattolici in fuga non avevano raccolto: lo scirocco aveva liberato dalla neve le spighe.
Henry Arnaud
L’esercito francese e i piemontesi li attaccarono nel maggio 1690. I valdesi attaccarono all’arma bianca una delle tre colonne francesi, facendo prigioniero il colonnello Parat, mentre il generale in capo Catinat fu costretto a scendere in pianura perché le voci di un imminente voltafaccia di Vittorio Amedeo II erano sempre più insistenti.
De Feuquières prese il comando e organizzò l’artiglieria per la soluzione finale. Sotto il fuoco dei cannoni non vi fu possibilità di difesa: Arnaud e compagni si rifugiarono a 1780 metri, sul Pain de Sucre, completamente circondati.
Vistisi perduti i 300 sopravvissuti, scalzi per non far rumore, scapparono per un precipizio e nei gioni successivi ricevettero un messaggio di Vittorio Amedeo: tregua, in attesa di ulteriori comunicazioni. Per essere credibile, il duca aveva liberato il pastore Moutoux e il chirurgo Malanot, due grandi protagonisti del rientro.
Il 4 giugno 1690 la notizia era ufficiale: i Savoia erano alleati con Guglielmo III d’Orange contro il Re Sole Luigi XIV. I Valdesi erano salvi.