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Almeno una volta nella vita, chi è piemontese si è sentito definire bogianen. Tradotto letteralmente, questo termine, che è l’unione delle parole bogia (muoviti) e nen (negazione, ovvero no) e si pronuncia bugianén, tutto attaccato, significa “non ti muovere”.
Se formulato come imperativo: “Ehi, ti, bogia nen!!”, può essere considerato alla stregua di un altolà. Oppure, se è la descrizione di una terza persona, si è soliti dire che qualcuno “è un bogianen”, per indicare una figura priva di iniziativa, refrattario ai cambiamenti, tradizionalista. Insomma, colui (o colei) che sta bene dove si trova e non ha bisogno di sproni o di novità per portare un po’ di vivacità nella sua esistenza.
In realtà la definizione, che potrebbe avere un’accezione negativa – o perlomeno è quanto spesso si è portati a credere – rivela una particolare risolutezza, una difficoltà a venire smossi dalle proprie convinzioni, una fermezza e caparbietà tipiche di chi ha carattere.
Rievocazione storica della battaglia dell'Assietta (Dany Bi).
Ma qual è l’origine di questa espressione? Per scoprirlo bisogna fare un tuffo nel passato, più precisamente ai tempi della Guerra di successione austriaca, che a metà del 1700 vide Francia, Baviera, Prussia e Spagna contrapposte a Austria, Olanda, Gran Bretagna e Savoia.
In questo contesto bellico andò in scena la battaglia dell’Assietta. I francesi e gli spagnoli, intenzionati a conquistare Genova, sferrarono un attacco dalla Costa Azzurra, ma furono fermati dai piemontesi. Pensarono allora di raggiungere la cittadina ligure attraversando le valli di Susa e Chisone, incontrando però le fortificazioni di Exilles e Fenestrelle, una sorta di grande muraglia piemontese difficile da penetrare.
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Restava sguarnito il colle dell’Assietta, dove una strada metteva in collegamento le due valli. Fu da lì che il 19 luglio del 1747 l’avanzata francese tentò l’assalto a Carlo Emanuele III che, nel frattempo, aveva incaricato i suoi soldati di realizzare rapidamente piccole opere difensive dove attendere gli invasori (nell'immagine sopra al titolo una planimetria dei trinceramenti settecenteschi).
I piemontesi erano in numero decisamente inferiore, potendo contare su un esercito di poco più di 7mila unità contro gli oltre 21mila francesi. Il Conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio, generale delle truppe che stavano combattendo sull’Assietta, dopo i primi scontri, intuendo l’evoluzione della battaglia, ordinò ai soldati di trovare riparo ritirandosi sul Grand Serin.
Il suo comando non fu ascoltato: guidati dal Conte di San Sebastiano, che affermò “in faccia al nemico le guardie non possono volgere le spalle”, i soldati risposero “Nojàutri bogioma nen”, ovvero noi non ci muoviamo. Nonostante l’inferiorità numerica le truppe piemontesi nella notte ebbero la meglio nello scontro, concludendo vittoriosamente la battaglia.
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Il racconto del loro coraggio, dell’eroismo e del patriottismo dimostrati si diffusero ben presto negli ambienti militari dell’epoca, valicando i confini nazionali. Celebre è il commento a tal proposito del re di Prussia, impegnato a combattere il Regno Sardo, che informato del coraggio dei soldati piemontesi dichiarò che se anch’egli avesse posseduto un simile esercito, si sarebbe potuto garantire la conquista dell’Europa.
Dalla battaglia dell’Assietta in poi i soldati piemontesi furono chiamati bogianen. Dai libri di storia il termine passò alla contemporaneità, dai militari approdò ai civili. Si affermò anche in ambito musicale, dato che un intero album di Gipo Farassino, risalente al 1972, si intitola appunto “Ij bogianen”.
Oggi sappiamo che, se qualcuno ci definisce bogianen, possiamo evitare di offenderci. Perché, in realtà, ci sta paragonando a dei valorosi soldati che, grazie alla loro disobbedienza, ebbero la meglio sul nemico.