Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
La valle di Susa rappresenta da sempre una terra di passaggio tra l’Italia e la Francia: un territorio che, attraversato dallo scorrere della Dora Riparia, ha visto nel tempo mutare i suoi confini geografici (modifiche ben illustrate dal sito del giornalista Lorenzo Rossetti, a cui vi rimandiamo per maggiori informazioni).
Nel tempo questi confini sono stati modificati più volte: l’alta valle di Susa aveva infatti già fatto parte del Delfinato, che comprendeva la val Varaita e la val Chisone, poi ceduto al Ducato di Savoia con il Trattato di Utrecht del 1713.
La prima linea divisoria tra le due nazioni fu tracciata nel 1861, alla nascita dello Stato Italiano: a delinearla era lo spartiacque tra il bacino idrografico della Dora e quelli dell’Arc e della Durance.
Poco meno di un secolo dopo, nel 1947, il trattato di Parigi mutò completamente lo scenario. La Francia, come risarcimento dell’aggressione italiana del giugno 1940 compiuta da Mussolini, pretese l’annessione del pianoro del Moncenisio, dell’Alta Valle Stretta e di una piccola parte del Monginevro, oltre alla revisione dei confini sul territorio ligure (Briga e Tenda).
I territori passati alla Francia: in azzurro quelli ceduti nel 1860, in cambio dell'appoggio di Napoleone III alla politica di unificazione italiana condotta dalla monarchia sabauda, in verde quelli ceduti nel 1947.
Oltre all’importanza dal punto di vista strategico-militare, si trattava di aree interessanti sotto l’aspetto economico, poiché vi erano dislocate centrali idroelettriche in grado di alimentare energeticamente Piemonte e Liguria.
L’accordo prevedeva che l’Italia avesse comunque diritto di utilizzare queste risorse: per quanto concerne le centrali di Gran Scala, Venaus e Mompantero, l’Italia avrebbe avuto garantiti i quantitativi d’acqua necessari al loro esercizio e la Francia si sarebbe occupata del funzionamento, rinnovamento e manutenzione di tutti gli impianti di controllo e fornitura idrica.
Il Moncenisio
L’acqua del lago del Moncenisio, che alimenta le centrali elettriche poste a valle, inizialmente era un possedimento italiano, così come tutto il pianoro fino all’omonimo colle. Con la nuova delimitazione, la linea di demarcazione venne arretrata a sfavore dell’Italia, che perse la frazione della Gran Croce di Venaus, parte del territorio venausino e alcune opere militari di rilievo, tra cui la piazzaforte del Malamot.
Confronto tra il confine del 1860, in alto (la linea rossa che va dalla Petite Turra agli Arcellins), e quello attuale, situato molto più in basso. Nel pallino rosso il Colle del Moncenisio (2083 m), che segnava il confine di allora: oggi si trova abbondantemente in territorio francese.
Gli accordi prevedevano comunque che l’Italia, qualora ne avesse fatto richiesta, fosse informata sulla quantità d’acqua presente nel bacino lacustre; relativamente all’ex centrale idroelettrica della Gran Scala fu pattuito che la Francia dovesse mantenerla in funzione garantendo il fabbisogno energetico italiano dopo aver coperto le esigenze locali, che comunque non dovevano superare quelle in vigore alla data della stipula del Trattato.
Per quanto riguarda l’esborso economico, all’Italia non sarebbe stato richiesto, a meno di successivi accordi reciproci, un prezzo superiore a quello fissato sul territorio francese per la fornitura di analoghi quantitativi energetici.
A vigilare sul rispetto di questi accordi venne posta una commissione tecnica composta dallo stesso numero di membri per ambo le parti costituenti, che aveva anche il compito di sorvegliare che la sicurezza delle valli sottostanti fosse garantita. L’invaso alimenta infatti sia la centrale elettrica italiana di Venaus, che ha una potenza di 240 Mw, che quella francese di Villarodin, la cui potenza è di 360 Mw.
Valle Stretta e Monginevro
Meta di piacevoli escursioni, la Valle Stretta è uno strano caso di amministrazione congiunta italo-francese. Il nuovo confine ha infatti fatto sì che l’area che dal Pian del Colle raggiunge il monte Thabor sia rimasta francese, mentre la parte iniziale che dalla conca bardonecchiese sale al Melezet, incluso il bacino elettrico delle Sette Fontane, sia invece territorio italiano.
Fu inoltre ceduta alla Francia tutta la zona del Colle della Scala, 1748 metri, un antico valico alpino usato in alternativa al Monginevro.
Cippo di confine nella zona del Colle della Scala (Rosanna Carnisio).
Pur essendo di sovranità francese, la quasi totalità dei terreni privati della Valle Stretta è posseduta da cittadini italiani, ed anche il rifugio III Alpini nel dopoguerra fu restituito dal Club Alpin Francais al CAI. Il legame con il territorio italiano è evidenziato dal fatto che quest’area ha il prefisso telefonico italiano (0039), e quello locale dell’alta valle di Susa, ovvero lo 0122.
Le annessioni territoriali nei pressi del valico del Monginevro furono invece più contenute, ed hanno interessato in gran parte il forte posto in vetta allo Chaberton, edificato tra il 1898 e il 1906, che fu smantellato nel 1957 per volere del governo transalpino.
LEGGI ANCHE: La Batteria dello Chaberton, la fortezza tra le nuvole più alta d'Europa
Più complessa è stata la definizione del confine a Claviere, che il Trattato di Utrecht aveva posto “a metà tra detto villaggio e quello di Monginevro”, quindi seguendo grosso modo la linea spartiacque.
Nel 1947 però la frontiera intorno a Claviere venne fissata lungo il corso del Rio Secco e di lì in poi lungo il corso della Piccola Dora, fino al ponte sul torrente Gimont. Il paese si trovò così diviso in due, perdette gli impianti di risalita ed i campi da golf e si ridusse quasi ad un'enclave.
La questione si risolse con uno scambio di lettere del 1967, poi ratificato sul terreno nel 1975. Italia e Francia si accordarono per un nuovo tracciato che restituiva a Claviere 0,10 km² di territorio: le abitazioni ad ovest del rio Secco e qualche terreno nella zona della Piccola Dora, dei campi da golf e dell'inizio della Val Gimont. Nonostante lo spostamento del confine di stato, il Posto di Dogana restò al centro del paese fino al 23 giugno 1989, quando venne trasferito ai margini dell'abitato.
Oggi che le frontiere non esistono più fisicamente, visitare questi luoghi mantiene comunque lo stesso fascino di un tempo. Non sono linee divisorie, steccati e recinzioni o controlli dei gendarmi a fare la differenza, bensì la buona manutenzione di aree permeate di storia e tradizione locale.