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Con le piogge d’autunno entra nel vivo la stagione dei funghi. In breve sono sulla bocca di tutti, chi sa li trova, chi può li mangia, tutti ne parlano.
Il fungo, il “Re dei Boschi”, è un oggetto misterioso: nel Settecento Linneo lo classificò nel regno vegetale, anche se privo di radici, foglie, fiori e clorofilla. Per queste particolarità nell’Ottocento gli hanno assegnato un regno a parte, tutto suo.
Un re ingordo, che si nutre di sostanze organiche elaborate da altri organismi e si riproduce non attraverso stadi embrionali come le piante e gli animali, ma tramite spore. Alcuni esemplari si riproducono in modo asessuato, con spore che si sviluppano e staccano dalla madre dando origine a nidiate di funghi, o con spore maschio e femmina che, portate dal vento, dall’acqua o dagli insetti, si accoppiano e originano un nuovo individuo.
Un re capriccioso, che non si lascia coltivare, che può essere molto buono e curativo, ma anche cattivo e assassino, strano nelle forme, capace di luminescenza e di creare allucinazioni.
Gli antichi egizi lo chiamavano “erba dell’immortalità” e lo riservavano ai Faraoni. I Romani ne apprezzavano la bontà, ma ne temevano il veleno, lo chiamavano “portatore di morte” (funus = morte àgo = porto). Nerone divenne imperatore quando la madre Agrippina fece fare indigestione di funghi al marito Claudio, che li trovava “buoni da morire”.
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Lasciando stare i pettegolezzi e le tante leggende fiorite attorno a questo essere inclassificabile, le certezze sono che il più antico disegno di un fungo, a scopo rituale, risale ad almeno 7000 anni fa e si trova nel Sahara, a ricordo di un passato non desertico.
Il mercato di Via della Breccia in una vecchia immagine. L'annata sembra una di quelle in cui i funghi crescono in abbondanza, quando arriva la “bulaià“.
Il più antico “bulaiùr” europeo documentato non è di Giaveno ma è il famoso Ötzi, l’uomo di Similaun vissuto oltre 3000 anni fa. La mummia, conservata dal ghiaccio e rinvenuta nel 1991 nelle Alpi Tirolesi, aveva con sé un kit medicinale contenente il fungo “Piptoporus betulinus”, importante per le sue attività antibiotiche e vermifughe, e una massa lanuginosa ottenuta dal fungo “fomes fomentarius”. Studi hanno dimostrato che era infettato da vermi intestinali e che quindi probabilmente si stava curando con i funghi.
Molto più vicina ai giorni nostri la prima documentazione di una compravendita di funghi a Giaveno: dal libro dei conti del 1659 risulta che la Madama Reale, in villeggiatura nel castello di Giaveno, pagò una mezza doppia di Spagna ad una ragazza che le aveva portato dei funghi porcini.
Che nell’Ottocento a Giaveno si tenesse regolare mercato dei funghi lo documenta la delibera con cui nel 1892 il sindaco Fasella sposta “in via sperimentale” dal Paschero a via della Breccia (oggi via Marchini) il mercato dei funghi. Non so quanto è durato l’esperimento, ma da quella via troppo appartata a un certo punto il mercato si è spostato in Piazza Molines, dov’è adesso. Un timido tentativo di collocarlo sotto l’ala di Piazza Mautino è subito naufragato.
Mercato dei funghi a Giaveno in piazza Molines (anno 2013).
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Il mercato dei funghi di “via della Breccia”
Testo di Alfredo Gerardi, tratto dal libro Giaveno. Nei suoi monumenti, nella sua arte, nella leggenda e nei suoi ricordi, Giaveno, Carnisio, 1977.
Tra le molte risorse naturali di cui è sempre stata ricca a dovizia la città dalla stella d’oro in campo azzurro, primeggiano gli oscuri e squisiti campioni del sottobosco, che avvicendano la loro breve esistenza ai piedi del faggio, del castano e del rovere, seminascosti dall’erica o dall’umida muffa.
Il mercato giavenese dei funghi ha avuto rinomanza in ogni tempo per la quantità e la qualità del prodotto offerto, per l’afflusso dei compratori, ed anche dei ricercatori dilettanti.
Negli archivi comunali esiste un conteggio di spese varie della corte sabauda in villeggiatura nel Palazzotto, relative al 1659, in cui tra l’altro si nota l’erogazione di mezza doppia di Spagna ad una ragazza, venuta a portare funghi a Madama Reale: i delicati porcini nostrani, che fanno così bella mostra nei caratteristici canestri di giunco a forma di bigoncia.
Sino a qualche anno fa la vendita quotidiana dei bòlé durante la stagione del raccolto aveva luogo al fondo della «via della Breccia», all’ombra del platano tricentenario, dispensiere dell’ultima illusione del fresco al fungo e di un reale benessere ai venditori accaldati per le lunghe marce.
La località era stata scelta sotto l’amministrazione del sindaco Fasella con delibera del 29 maggio 1892, in cui si provvedeva che «il mercato dei funghi, in via di esperimento», si trasferisse dal Paschero «nella strada della Breccia superiormente alla porta carraia della casa dei fratelli Gaido».
Attualmente le contrattazioni e la mostra dei prodotti nei tipici cesti avvengono in piazza Francesco Molines, sotto una apposita tettoia a lato del condominio S. Cecilia, primo «grattacielo» giavenese.
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