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Quel giorno la quindicenne Livia Picco e le sue due compagne di scuola arrivate trafelate in via Sacchi guardarono sconfortate il trenino delle 14,20 appena partito. Avrebbero aspettato ore il seguente e rischiato l’assideramento per rientrare a piedi nella neve alta da Giaveno a Coazze, come racconta benissimo Livia nel suo libro “La Valsangone raccontata ai ragazzi… dalla bisnonna”, ormai esaurito nelle edicole.
Proprio quel treno è stato protagonista di uno degli episodi più sanguinosi della Seconda Guerra Mondiale in valle. Ad Orbassano venne mitragliato e incendiato dagli aerei alleati, con decine di morti e di feriti. I giornali diedero vasta eco alla strage, che possiamo trovare ampiamente documentata nel sito I tre confini e rivivere attraverso le testimonianze dei sopravvissuti raccolte in questo filmato.
Ecco come riporta l’episodio, nella parte destra della prima pagina, “Stampa Sera” del 10 gennaio 1945.
Il 27 gennaio un episodio simile avvenne a Sangano, con una sola vittima, Margherita Goitre.
Questi attacchi restano di difficile spiegazione: colpire le vie di comunicazione nemiche è purtroppo uno degli obiettivi nelle guerre, ma mitragliare dei civili in fuga va al di là della logica spietata della guerra. Fu fatta l’ipotesi che per errore il treno fosse stato segnalato come convoglio militare diretto all’aeroporto di Airasca.
Il mitragliamento del "trenino"
Ricordiamo l’episodio attraverso la descrizione che ne fa la pubblicazione La Resistenza Civile in Val Sangone 1943-45 (ripercorrendo i sentieri degli eccidi attraverso i disegni degli studenti delle scuole dell’obbligo)
Il 9 gennaio 1945 alcuni aerei alleati (inglesi o francesi, l'esatta provenienza non è stata accertata) scendevano bassissimi sulla ferrovia Torino-Giaveno e mitragliavano le carrozze quasi all'altezza della stazione "Depetris" di Orbassano. L'incursione voleva presumibilmente colpire convogli tedeschi in movimento verso l'aeroporto di Airasca, ma l'obiettivo era sbagliato: ad essere colpita era la corsa che partiva da Torino alle 14.20, stipata di lavoratori che avevano fatto il turno del mattino e rientravano in val Sangone.
La prima scarica di mitragliatrici colpiva le vetture di coda, meno affollate perché molti passeggeri erano scesi alla precedente fermata di Beinasco, ma la seconda incursione era devastante.
Le pallottole esplosive scaricate contro il fianco dei vagoni e contro i passeggeri in fuga facevano strage: trentaquattro persone morivano, alcune con la testa sfracellata dai colpi; oltre centocinquanta erano ferite in modo più o meno grave. Riuscivano a salvarsi solo coloro che avevano la prontezza di gettarsi nel fossato vicino, protetto dal tiro: molti, presi dal panico, cercavano invece di scappare verso i prati, diventando un bersaglio sin troppo facile.
Così invece, in terza persona, Livia Picco racconta l’episodio e la difficoltà di rientrare a casa, sfidando il coprifuoco:
Durante la guerra, nonostante tutto, il ‘tranvai’ ebbe il suo da fare. Se nel ’38 trasportò circa 110 mila passeggeri, nel ’43, in piena guerra, ne trasportò più di un milione e settecento mila. I torinesi per sfuggire alle bombe invasero la Valsangone e si pigiarono sul trenino, in piedi con borsoni, fagotti, valigie di cartone legate con lo spago.
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Dopo l’8 settembre un’altra cosa terrorizzava i passeggeri: i tedeschi con i mitra che salivano a controllare i documenti, a perquisire i fagotti e le borse, dopo aver bloccato le porte. Cercavano partigiani, giovani che non si erano presentati al distretto militare, persone che trasportavano viveri al di fuori della tessera.
Il peggio però erano i mitragliamenti degli Alleati… L’episodio più grave accadde il 9 gennaio 1945, ad Orbassano, nel primo pomeriggio. Ci furono 44 morti e più di un centinaio di feriti.
Quel giorno la bisnonna doveva prendere il trenino per tornare a casa da Torino con due compagne. Nel gennaio del ’45 si faceva scuola un giorno alla settimana per il gran freddo. Le aule, senza riscaldamento, avevano la carta da pacchi al posto dei vetri.
A Torino, i tram non funzionavano dappertutto. Le amiche e la bisnonna a piedi dovevano scavalcare mucchi di macerie rivestite di neve e di ghiaccio. Fu così che esse, arrivate finalmente in via Sacchi, videro il loro ‘tranvai’ filare verso Corso Sommeiller! Immaginarsi la rabbia e le recriminazioni: le corse non erano frequenti. Non sapevano invece quanto fossero state fortunate!
La gente si assiepò sotto i portici, le ore passavano. Da Giaveno non arrivavano né ‘tranvai’, né notizie. Finalmente, nel buio della sera, apparve un trenino con poche carrozze e la notizia di un ‘incidente’ a Orbassano. Nel parapiglia, le tre ragazze riuscirono a salire. Furono scaricate con tutti gli altri a Beinasco e dovettero proseguire a piedi nel buio e nel freddo. Nessuno sapeva che cosa fosse successo.
Avvicinandosi ad Orbassano passarono vicino al trenino in fiamme che illuminava una fila di sagome coperte da lenzuola, e figure nere intorno. Si percepiva l’infinito dolore e la disperazione della gente che si incrociava alla luce delle fiamme.
Dopo un tempo che sembrò infinito, da Giaveno arrivò una motrice. Presa d’assalto, fece la spola avanti indietro e, a un certo punto, la bisnonna e le sue amiche riuscirono a salire. Pigiate come sardine, verso mezzanotte arrivarono a Giaveno e, in un attimo, si trovarono sole in stazione, nella penombra di una lanterna.
In piazza S. Lorenzo il croc-croc degli scarponi tedeschi della ronda. Si appiattirono contro il muro, ma il freddo era insopportabile. Allora uscirono dalla parte posteriore della stazione, dalle parti dell’attuale via Rametti. (...)
Se non ci fosse stata la neve avrebbero cercato la scorciatoia che le avrebbe portare a casa, tagliando fuori Coazze e il presidio. La neve alta rendeva tutto impossibile.
Che fare? Vittorina e Luigina si ricordarono di una loro conoscente sposata alla Calvettera. Sapevano dove abitava. Dopo molte esitazioni, la chiamarono dalla strada con voci soavi. La signora venne fuori imbacuccata e le ospitò nella stalla, come fossero dei partigiani: la stalla era il luogo più caldo della casa, ma c’erano solo una mucca e delle galline. Felici si buttarono sulla paglia vestite con il cappotto e le scarpe. Dopo poche ore, al mattino prestissimo, confortate da una tazza di latte bollente, ripresero il cammino nonostante il coprifuoco.
Risalirono la ‘Rustà’ ghiacciata. Giunte in cima, ecco una raffica improvvisa dal vicino cimitero. Si buttarono a terra nella neve, intontite dal freddo e dalla paura. I tedeschi avevano fucilato qualcuno.
Il freddo era insopportabile. Quando al campanile batterono le otto, fine del coprifuoco, non sentendo altri spari si alzarono e come fantasmi affrontarono il posto di blocco. I tedeschi le lasciarono passare senza domande.
Alla Ruadamonte la bisnonna si accostò a una catasta di legno e disse: “Ormai sono vicina a casa. Proseguite pure per la vostra borgata. Mi riposo solo qualche minuto. Grazie per l’aiuto e la compagnia”. In realtà si sentiva svenire e soffocare dall’aria fredda.
Dopo un po’ venne una donna a prendere della legna. La guardò e la trascinò in cucina vicino alla stufa che ‘ronfava’. Il Paradiso! La padrona riempì una scodella di surrogato di caffè bollente. Suo fratello, alle spalle, trafficò con la scodella. La bisnonna bevve e si sentì il fuoco nello stomaco: aveva incontrato la grappa!
A poco a poco si sgelò e si sgelarono anche i viveri nella cartella, fece colazione e poté avviarsi verso casa. Delina e Giacinto erano intervenuti in tempo. Senza di loro e senza la compagnia di Vittorina e Luigina non sarebbe arrivata a casa. A quel tempo aveva 15 anni.
Tratto da: Livia Picco, “La Valsangone raccontata ai ragazzi”, 1° parte, cap.X, Echos Edizioni, Giaveno 2015. A questo link trovate il brano completo.
Così, in prima pagina, “La Stampa” del 10 gennaio 1945 racconta l'episodio.
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9 gennaio 1945: “Ho perso il treno!” urlò Livia disperata, ma fu la sua salvezza