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Il 27 luglio 1838 salgono al Rocciamelone i due figli maschi di Re Carlo Alberto e Maria Teresa d’Asburgo Lorena, Vittorio Emanuele, futuro primo Re d'Italia, e il fratello Ferdinando Duca di Genova, accompagnati dal cugino, il Principe Eugenio Emanuele Savoia-Carignano e da Cesare Saluzzo.
Eugenio Emanuele è figlio di Giuseppe Maria di Savoia-Carignano Conte di Villafranca e di Paolina Benedetta de La Vauguyon, a sua volta figlia del duca Paolo, pari di Francia. Nel 1825 Carlo Alberto lo ha chiamato a Torino per farlo educare nel collegio dei gesuiti e nel 1834 lo ha integrato nei diritti di principe del sangue. Il 29 marzo 1849 riceverà il titolo di altezza reale. Destinato alla marina da guerra, ne diverrà Comandante Generale nel 1844: sarà Luogotenente del Regno durante le guerre di indipendenza, reggente in Toscana e luogotenente a Napoli.
Cesare Saluzzo di Monesiglio, appartenente a una delle più antiche famiglie aristocratiche piemontesi, l'8 maggio 1830 è stato nominato da Re Carlo Felice capo precettore dei principi Vittorio Emanuele e Ferdinando. Il loro padre, divenuto Re il 30 giugno 1831, lo ha confermato in tale incarico: rimarrà loro governatore proprio fino al 1838.
I principi giungono a Susa la sera del 26 luglio: l’episodio suscita una vasta risonanza in tutto il circondario. Alloggiano nel palazzo vescovile, ospiti di Monsignor Pio Vincenzo Forzani, uomo appartenente ad una nobile famiglia di tradizioni ecclesiastiche di Mondovì, che sarà eletto Vescovo della diocesi valsusina il 23 dicembre di quell’anno.
Vittorio Emanuele
Ferdinando, Duca di Genova
Eugenio Emanuele
Il giorno dopo, in groppa ad alcuni robusti muli, accompagnati da due cantonieri del Moncenisio, da un conducente, da un sergente della scorta e dal prevosto Canonico Emiliano Breida, si avviano verso il Rocciamelone.
Le cronache dell’epoca ci raccontano di un’accoglienza calorosa degli abitanti delle frazioni di Mompantero e di numerosi giovani accorsi a vedere i figli del Re: un evento che non capita poi così spesso.
Dopo una lunga sosta alla borgata montana del Trucco, la comitiva giunge ai 2854 metri del rifugio Ca' d'Asti dove pernotta all'interno dell’annessa Cappella settecentesca. La serata è rallegrata da una cena a base di polenta.
Il mattino successivo il gruppo partecipa alla messa celebrata dal Canonico Breida, poi riprende il cammino per la vetta: la cima è raggiunta senza alcun problema.
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Il gruppo scende poi verso la Val Cenischia: i Principi si recano infatti a visitare l'antica abbazia benedettina della Novalesa.
Il Rocciamelone visto dalla montagna di Mompantero (Luca Favro)
Nel 1859 due figli di Vittorio Emanuele II, Umberto ed Amedeo, decidono di emulare l'esempio paterno: il tentativo si infrange contro una fitta nebbia che, senza guide, impedisce loro di salire l’ultimo tratto.
Alla morte del Re Vittorio Emanuele II, la sezione di Susa del Club Alpino Italiano pone sul Rocciamelone un ricordo in onore al “Re galantuomo”: una targa di rame.
L'inaugurazione, raccontata dalla Gazzetta Piemontese del 24 agosto 1878, ha luogo il 18 alla presenza di una trentina di soci del Club, fra cui quattro donne, di una compagnia di soldati Alpini e di altri invitati:
“Si era partiti quali da Susa e quali da altri luoghi fin dal mattino del giorno 17, ricchi di forze e di volontà, muniti dell’occorrente per riparare i primi attacchi dell’appetito e delle brezze alpine.
(…) E là su quella calcata vedetta susina divenuta ormai famigliare, quasi l’amica degli alpinisti, si giungeva alle 8 del mattino seguente, ed al suono della fanfara si scopriva la lastra di rame su cui campeggiava inciso il nome del gran Re, incastrata in una roccia all’ingresso della cappelletta di legno...”.
Il 6 agosto dell’anno successivo un gruppo di giovani escursionisti torinesi sfida il maltempo e porta in vetta un busto, in terracotta bagnata in silicato di potassio e poi tinta di color bronzo, raffigurante il Re: lo colloca al di sopra della targa. Inviano una fotografia a Roma: al Quirinale, al Re Umberto I.
L’opera, a causa delle intemperie, del clima rigido e del cattivo vizio dei turisti di staccarne dei pezzetti, cade precocemente in rovina: nel 1890 è del tutto persa.
Il giornale locale, “Il Corriere delle Alpi” lancia una sottoscrizione per la realizzazione di un’opera più solida e duratura: la partecipazione è tale che nel giro di pochi mesi è possibile bandire il concorso per la sua realizzazione.
Il torinese Cesare Biscarra propone un busto in tenuta da cacciatore, l’immagine che maggiormente caratterizza la figura del defunto Sovrano, assieme all’aspetto umano ed informale, e vince.
L'artista è figlio del pittore Carlo Felice e ha studiato all’Accademia Albertina di Torino. Lavora principalmente su bronzetti e ritrattistica; partecipa alle edizioni 1894 e 1896 dell'Esposizione triennale di Belle Arti di Torino e, più tardi, a tre edizioni consecutive della Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia. Opere importanti sono la tomba della famiglia Bona al Cimitero monumentale di Oropa, il monumento ai caduti sul lungolago di Baveno e l’obelisco celebrativo che orna Piazza degli Eroi Taggesi ad Arma di Taggia.
Nel 1914 realizza, con Giorgio Ceragioli, un monumento ad Ascanio Sobrero, inizialmente collocato davanti alla Stazione torinese di Porta Susa e spostato nel 2002 nel parco cittadino del Valentino. Appassionato di caccia, dipinge e raffigura plasticamente molti animali, in particolare cani.
In un assolato 31 luglio 1891, dopo un’ascesa difficile e faticosa, il busto è portato in vetta: i membri del comitato promotore ed i giornalisti seguono, con un telescopio, le operazioni. L'inaugurazione avviene il 4 agosto.
Il bozzetto dell’opera, in terracotta, nel 2017 è rintracciato dai volontari del Museo Civico Alpino Arnaldo Tazzetti di Usseglio, in Val di Lanzo, i quali, grazie ad una fortunata campagna di crowdfunding sostenuta da numerosi donatori, lo acquisiscono per l’ente.